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Sabbath Bloody Sabbath, l’ennesimo capolavoro dei Black Sabbath

Sabbath Bloody Sabbath, la copertina

Sabbath Bloody Sabbath esce a dicembre del 1973 al culmine di un periodo forsennato per la band di Ozzy Osbourne e Tony Iommi. In appena tre anni la band ha pubblicato cinque album.

E non si tratta di lavori fatti uscire così, per compiacere un mercato che si mostra benevolo. Fino a Sabbath Bloody Sabbath, ognuno dei lavori dei Black Sabbath è una pietra angolare dell’hard rock prima, e dell’heavy metal poi. Già col Vol. 4 sono però iniziati una serie di problemi interni, dovuti soprattutto ai ritmi insostenibili e all’uso massiccio di droghe più o meno pesanti.

Non bisogna dimenticare che, tra un disco e l’altro, i ragazzi di Birmingham sono impegnati in sfiancanti tour in tutto il mondo, America compresa. Quando la tournée che lancia Vol. 4 finisce, i Black Sabbath fanno quello che fino ad allora sono abituati a fare: si chiudono in studio per registrare l’album successivo.

Il posto scelto è Los Angeles, siamo nell’estate del 1973.
Il management affitta una villa a Bel Air e prenota i Record Plant Studios, gli stessi delle “stupefacenti” registrazioni del predecessore. A quel punto, però, succede qualcosa di nuovo. Iommi, dalle cui corde della chitarra pendono tutti gli altri, si inceppa e non riesce a scrivere nulla di nuovo. Nemmeno uno dei suoi proverbiali riff sgorga dalla chitarra; per quanto il musicista si sbatta, non esce fuori niente.

Geezer Butler, il bassista, svela in un’intervista che dopo il tour il gruppo era completamente esausto, soprattutto Tony. In realtà, si tratta un po’ del segreto di Pulcinella. Tutti, infatti, avevano visto Iommi collassare all’Hollywood Bowl, alla fine del massacrante tour, direttamente sul palco.

Tony, dal canto suo, sente la pressione perché, come dichiara, se lui non riesce a scrivere pezzi nuovi i Black Sabbath vanno in stallo; è pur vero, come racconterà Ozzy anni dopo, che in quel momento Tony è talmente schiavo della cocaina che il vero mistero è come riesca a sopravvivere.

In ogni caso, dopo un mese al sole della California, è chiaro a tutti che i Black Sabbath sono in un vicolo cieco. In quegli anni è prassi ricorrere all’isolamento in qualche sperduta magione britannica, magari un castello, per ritrovare smalto e ispirazione. O magari per darci dentro con la droga in un posto più isolato. I Black Sabbath decidono di affittare il celebre castello di Clearwell nella foresta di Dean, nel Gloucestershire.

Il castello, che fa di tutto per sembrare un ameno luogo medievale, è invece una struttura neogotica del Settecento. Il posto non è nuovo al fracasso dell’hard rock e alle intemperanze dei giovani musicisti; infatti, è già stato teatro delle registrazioni di Led Zeppelin, Deep Purple e Mott the Hoople.

Nei giorni a Clearwell succede un po’ di tutto. Bill Ward rischia di dare a fuoco al maniero quando si addormenta troppo vicino al camino; Ozzy e Tony si convincono di aver visto una sorta di fantasma con un teatrale mantello nero; tutti, in un modo o nell’altro e nonostante l’immagine di lugubri rocker di Satana, finiscono per spaventarsi a morte e vogliono lasciare il castello.

Succede però anche qualcosa di davvero magico: Tony Iommi ritrova improvvisamente l’ispirazione e concepisce il riff di Sabbath Bloody Sabbath. Una volta sbloccato, il chitarrista accumula nuovo materiale e – abbandonata la sinistra magione – la band completa le registrazioni ai Morgan Studios di Willesden.

Iommi, che già dal lavoro precedente mostra una propensione ad attingere agli stilemi del prog allora imperante, fa il colpaccio e si assicura la collaborazione di Rick Wakeman, signore delle tastiere degli Yes.

Wakeman non vuole essere pagato per il suo contributo e si accontenta di essere foraggiato a birra. Un altro aneddoto delle registrazioni riguarda i Led Zeppelin; nonostante la rivalità ventilata tra le due band, i ragazzi sono ottimi amici e non perdono l’occasione per suonare assieme un’improvvisata jam. L’esibizione viene registrata, ma i nastri non saranno mai pubblicati.

In un mondo, il nostro di oggi, dove ogni mistero viene risolto con un click, forse è meglio così.

La celebre copertina di Sabbath Bloody Sabbath è opera dell’artista Drew Struzan e raffigura un uomo tormentato da demoni e topi. Allegria.

L’apertura del disco è affidata alla title track, annunciata da un tipico e robusto riff di Tony Iommi. La voce citofonata e inconfondibile di Ozzy irrompe quasi subito e – altrettanto velocemente – il ritmo rallenta per una parte quasi soffusa. Il tutto si ripete un paio di volte, prima che a metà pezzo parta il primo assolo del chitarrista.

I cambi di ritmo si susseguono, coi riff sempre più pesanti che ormai suonano pienamente heavy metal; il blues pesante degli esordi è ormai un pallido ricordo. Il finale è ancora appannaggio della chitarra elettrica. Il titolo del brano, secondo l’ipotesi più accreditata, si rifà al film Domenica, maledetta domenica di John Schlesinger, pellicola che in quel periodo fa scandalo.

A National Acrobat, pezzo davvero molto bello, vanta un altro riff prezioso, scritto stavolta da Butler. Sono sei minuti in cui, oltre al carisma di Ozzy, a farla da padrona è ancora la chitarra di Iommi. La sezione centrale incede come una sorta di pesantissimo funk, mentre il finale è tutto dedicato alle evoluzioni della sei corde.

Fluff è uno strumentale quasi folk, tra le cose più delicate mai incise dai Black Sabbath. Il titolo è ispirato al disc jockey della radio della BBC Alan “Fluff” Freeman. Un brano del tutto inconsueto per la band, che pure aveva già registrato ballate, ma riuscitissimo.

Sabbra Cadabra rispolvera un certo andamento blues indiavolato. Ozzy declama un testo d’amore che risulta quasi straniante su un tappeto così veloce, mentre il sound pare fare il verso ai Deep Purple più muscolosi dell’hard rock. Curiosamente, di lì a qualche anno, sia Ian Gillan che Glenn Hughes incideranno coi Black Sabbath al posto di Ozzy.

Le parti di pianoforte e Minimoog sono a opera di Rick Wakeman, che doppia la voce effettata di Osbourne. Uno dei capolavori dell’album, indubbiamente.

Killing Yourself to Live apre la seconda facciata ed è un pezzo composto da Geezer Butler. Il bassista era ricoverato in ospedale per un problema ai reni causato dall’eccesso di alcol ed è un’amara riflessione sul suo stile di vita. Il ritmo è sostenuto e la vera protagonista – ancora – è la chitarra di Iommi, che suona diverse parti sovrapposte.

Notevoli le parti in cui la chitarra doppia la voce di Ozzy, con un risultato quasi hendrixiano.

Who are You è un pezzo composto da Ozzy Osbourne al Moog, strumento che compra e che per sua ammissione non sa usare. Tuttavia, il risultato è comunque eccellente, per un brano che mostra un lato dei Black Sabbath che solo un paio di anni prima sarebbe parso impossibile. Il pezzo, va detto, non è un capolavoro ma rappresenta comunque un curioso passaggio ai confini col prog, più dentro che fuori del genere.

Looking For Today è un altro brano che alterna tirate hard a passaggi melodici quasi prog-folk. Iommi si cimenta brevemente anche al flauto, prima di incendiare il brano nel finale con uno dei suoi micidiali assoli.

La chiusura è per Spiral Architect, brano che parla del DNA e il cui testo si deve a Butler. Dopo un attacco acustico, la potenza di fuoco dei Black Sabbath esplode al massimo del suo fulgore. Pare che Butler abbia composto il testo della canzone in pochi minuti, mentre Ozzy lo osservava esterrefatto parlando al telefono.

Molti considerano questa chiusura di Sabbath Bloody Sabbath uno dei più bei pezzi della band, per chi scrive queste note nel canzoniere c’è ben di meglio. Il brano dà anche il nome a una band metal norvegese.

Sabbath Bloody Sabbath è un ennesimo grande successo per il complesso di Birmingham e – sorpresa – anche la critica inizia a storcere meno il naso davanti al proto-metal della band. Le recensioni, infatti, sono piuttosto lusinghiere.

Tempo un anno e mezzo e arriverà Sabotage, album nato in mezzo a beghe legali e molti esperimenti. E che segnerà la chiusura di una prima parte di carriera fenomenale.

— Onda Musicale

Tags: Led Zeppelin, Ozzy Osbourne, Tony Iommi
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