Recensioni e Interviste

Daniele Faraotti: la follia romantica di “Phara Pop Vol.1”. La nostra intervista

Daniele Faraotti continua a far parlare di sé con il suo album “Phara Pop Vol 1” che racchiude un universo di sensazioni ed emozioni tramite una miscela di generi musicali che “generi” non sono, creando il proprio personale ed eclettico adito artistico.

Una intervista pungente, lunga, forse trodove il sarcasmo e l’intelletto abbracciano dolcemente (e con arroganza al tempo stesso) il passato, il presente e un ipotetico e frastornato (forse sopravvalutato) futuro di una società che ha perso completamente la concezione di tempo. Ma il tempo potrebbe non esistere e qui ne parliamo ampiamente con Daniele Faraotti, tra citazioni, filosofia, anime della memoria, ricordi di svariate vite vissute e riferimenti puramente o volutamente casuali. Questo disco spartiacque dal titolo “Phara Pop Vol.1” è un mix afrodisiaco per menti affamate di musica e quindi libere da volgari e noiosi stereotipi colpevoli di aver assassinato bellezza e spontaneità, pilastri tra i più antichi del concetto di arte. Ma esiste davvero un concetto? Per l’appunto…

Lo sai bene che le parole sono importanti. E tu sai come usarle Daniele. Tempo. Il tempo dentro questo disco è tutto. C’è una frase che mi ha colpito in “La ruota” e dice qualcosa che suona simile a un futuro ci sarà e non sarà l’apocalisse. Io partirei da qui. Qui secondo me c’è tutto. In primis: sembra parlare di speranza, parli di futuro, ma tempo che tu stia alludendo a qualcosa di peggio dell’apocalisse che da molte parti significa anche un ricominciare da zero… sbaglio forse?

«Mah, non saprei di preciso. L’apocalisse? Mi piacerebbe essere presente per riferire poi in una o più canzoni. Cambierei nome però, pensavo a Don Giovanni. Il tempo non esiste ma non bisogna sprecarlo. Bisogna che il tempo si metta in relazione con tutti i tempi che riusciamo a percepire. Ricominciare da zero, esatto!  Tutte le volte che scrivi una canzone. Lo zero però è solo la facoltà di lasciarsi andare».

Vonnegut diceva nella sua famosa frase: quando siete felici fateci caso. Io trovo che questo sia un leitmotiv di tutto questo lavoro, da “Stagioni” a “La felicità non è allegra”. E di nuovo si torna a combattere con il concetto di tempo

«Ho già vissuto molte vite a quanto pare, almeno quattro vite solo in questa. Sono il mio serbatoio, penso sempre di essere a corto di idee per i testi delle mie canzoni. La musica assorbe oltre misura… ci vogliono 40 anni per riempire il sacco e 30 per elaborare il tutto, mi pare lo scrisse Schopenhauer, vabbè Arthur lo scrive meglio».

Che rapporto hai con la nostalgia? Ecco un altro ingrediente di questo disco. Sono tantissime (se non tutte) le volte che nelle narrazioni torni a rimestare tempi passati, persone della tua vita, luoghi…

«A tre anni ti mandano all’asilo, a cinque a scuola… la tua vita segue un percorso già tracciato. La mia vita ha vissuto negli interstizi di questa gabbia. E il lavoro? Vogliamo parlarne? E per l’ennesima volta citerò Zappa: “Trovati un lavoro e fai la musica che vuoi”. E la seconda parte recitava: “Se succede qualcosa bene, altrimenti ti sarai divertito”. C’è sempre posto per la nostalgia… i creativi sono spesso melanconici… diceva Fellini: “Quando finalmente riesco a liberarmi di una persona, poi rovino tutto richiamandola per un futile motivo”. Perché? Se sei vivo, attento, innamorato, sei sempre nostalgico».

Perché se proprio vogliamo dirla tutta, “La nave”, la nostalgia che racconti: ho pensato agli anni ’30, al Be Bop, ho pensato a tutto questo e l’ho ritrovato… sono fuori pista?

«Beh, sì e del resto non è difficile accorgersene, la musica si articola in quell’old style, il mood me lo ha dato una vecchia sigla televisiva, Tv7 per la precisione, un pezzo di Stan Kenton che nel finale viene citato. Pensa, ho nostalgia persino delle sigle televisive. E che sigle. Oggi non ci sono più e infatti non guardo più la televisione. Non solo perché mancano sigle così belle».

Che poi, giusto per lasciarmi libero nelle nostalgie e nelle impressioni, quando parli di un amore tuo degli anni ’70 qual meglio citazione è “Johnny Be Good”, che inevitabilmente mi rimanda a Marty McFly? Ma solo nel titolo e nel tema perché poi di quel rock’n’roll non c’è nulla… credo…

«Ma no, non c’entra Marty McFly. Quel film mi rattristò parecchio, insieme alla febbre del sabato sera naturalmente. Segnò uno spartiacque. Lo riferì anche Mauro Pagani a Demetrio Stratos di ritorno dalla sua tournée negli USA con la PFM: “C’è un coglione che sta avendo un gran successo”. Si riferiva a John Travolta. Avevo 16 anni, i Nomadi si esibivano al Piro Piro di Castel Bolognese con un set di 30 minuti, schiacciati in un panino di disco music. Oh, mica per i Nomadi, non mi piacevano. Così, per dire. Cmq qui Johnny B. Good vuole dotare di nome e cognome il mio pisellino quattordicenne, prigioniero in jeans attillatissimi… poverino. Forse ci hanno resi meno fertili ma erano così belli da farti rizzare in piedi al suono dell’attacco di chitarra di Chuck Berry. Attacco che era già vecchio di 17/18 anni. E la versione di Hendrix? Musica senza tempo amico».

Lo sai che in questo disco, a parte forse dentro quella frase che citavo all’inizio, non ho mai trovato il futuro? Forse sbaglio, è facile perdersi dentro un disco così grande… ma davvero, faccio fatica se mi chiedessero del futuro dentro questo disco. Cosa mi rispondi in merito?

«Ma di che futuro intendi? Il futuro che deciderà la NATO per te, per noi, per tutti? Quello che ha già deciso qualcun altro? Chi decide il futuro? Chi stabilisce che la musica è o non è proiettata verso il futuro?  Si tratta forse di superare certe forme obsolete. Ce ne sono altre evidentemente che esistono fuori dal gradimento, le classifiche, i concerti, i mille like. Se poi a queste forme fosse concesso di accarezzare, ossia frustare l’orecchia di quel pur sempre ipotetico pubblico… ecco lì, si potrebbe misurare quello che poi mi chiederai nell’ultima domanda. Il futuro è contenuto nel passato: futuro/fui… In un’altra intervista PFUI, memoria di chissà quanti fumetti, chiosava in merito alla poca importanza di queste considerazioni. Ogni cosa, compresa la musica, a forza di essere ricoperta di commenti senza fine diventa di per sé inattendibile. Dall’abbondanza di parole troppo spesso nascono discorsi insensati».

Persino nei suoni, per quanto digitali, per quanto sovversivi nelle abitudini… anche loro citano il passato…

«Se mi dai del sovversivo evidentemente hai dei riferimenti molto precisi. Rispetto a cosa? C’è una norma? Forse l’idea di futuro ti preoccupa, o è il presente a poter donare destabilizzazione? Un certo punto l’identificazione va abbandonata. Sono cose che avvengono da sé. Non bisognerebbe darsene pena».

Citazioni: tema occulto. Chi ne sarà capace? Ma “Le chiome è i Falò” prende spunto da Pavese per caso? E dentro “Dezo e Dan” giochi a fare un poco Bennato di “Buoni e Cattivi”? E in “Due Mona” invece ci sento un Battiato di amori perduti e cose così…

«Mah guarda, quando si va in studio per mixare un pezzo, il fonico ti chiede talvolta di portare delle canzoni di altri artisti per avere un riferimento.  Però, ascoltare la musica mettendo in relazione ciò che stai ascoltando con quella decina di cantautori che conosci, è fuorviante. Quando ti insegnano a meditare non ti suggeriscono forse di liberare la mente? Per indurti all’ascolto ovviamente. Ma anche se fossero quelli gli spunti? Ma che importanza ha? Cmq no, nessun Pavese, nessun Bennato, ti posso dire però che DeZo e Dan pur essendo autobiografica, prende spunto da un sogno tratto dal “Libro dei sogni” di Borges.
Per me è uno dei testi “più meglio” di Phara Pop Vol 1.  Il futuro che si sta facendo fatica a cogliere è proprio nell’epilogo finale di quella canzone. È un caso. Suona un po’ retorico ma posso dire che quando scrivo non penso. Ma poi, è proprio così importante questo futuro?  Forse non lo si coglie perché si riconduce sempre al proprio vissuto musicale e ci si sforza di trovare appigli rassicuranti tra Bennato e Battiato». 

Andiamo sul sociale. Perché spesso hai toccato il tema dell’espansionismo industriale, delle fabbriche e delle loro rivoluzioni. Ma ora te lo chiedo: l’innovazione industriale, il futuro tecnologico, porterà secondo te al benessere? Oppure nel futuro ci stiamo involvendo verso le origini?

«Ecco la domanda più orientale. “Siamo UUUOOMINI” diceva Totò. Peppino rispondeva: “E ho detto tutto” e Totò: “Ma che hai detto tu con sto ho detto tutto che non hai detto niente”. Evolvendo, involvendo? Battiato, tanto per rimanere in tema diceva: “Sono qui per evolvermi mica per fare figli”. Se da piccolo vieni abbandonato nella foresta e vieni cresciuto dagli orsi, molte sinapsi potrebbero non accendersi più, poco male. Se poi però in età adulta dovessero portarti a vivere in questo mondo, beh ti lascio immaginare le conseguenze. Devo al computer la possibilità di produrre dischi. Devo al computer la possibilità di fare video animando dei disegni. Su YouTube puoi trovare senza sforzo il Sederunt Principes e la Bagattella per due fagotti scritta da Stravinsky per ringraziare il medico di paese che aveva guarito sua figlia. Impensabile fino a 20/30 anni fa. Ma bisogna sapere cosa farsene di cotanta tecnologia. Bisogna forse, anche sapere cosa farsene di cotanta cultura. Bisognerà pure restituire qualcosa. Eccolo qui l’Ouroboros». 

E a proposito di mali del nostro tempo: “L’ospite”. Anche qui Battiato vive nel sottobosco, anche qui il synth imperioso che caratterizza il substrato del brano è tipico di Faraotti (una soluzione che è tornata spesso se la memoria o le impressioni non mi ingannano). Giuseppe Berto scriveva “Il male oscuro” (da leggere assolutamente). La depressione, le ansie, il pessimismo… Tu pensi davvero che sia questo il vero cancro dell’uomo di oggi? 

«“C’è una interiorità da vivere”, così chiosa alla fine il testo della canzone… Si è sempre inadeguati. Lo dicevo all’inizio dell’intervista. Si è l’angelo di casa, poi vai a scuola, e non sei più tu… “La maestra mi ha detto che oggi non puoi uscire a giocare! Ma mamma, sono sempre io, sono sempre quello del 30 settembre”. (Ai miei tempi la scuola cominciava il 1° ottobre). C’è una interiorità da vivere. Battiato? Continuo a consigliare di abbandonarli i riferimenti. Siamo qui, forse per superare la dualità. Malanga su YouTube impazza con questi argomenti. Beh, il duale, quanto ad ansie, depressioni e pessimismi, te lo raccomando, non è questo il caso o forse sì».

— Onda Musicale

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