Quel modo di pensare al suono e alla canzone come fossi dentro la casa-bottega di un vecchio rigattiere vestito di cilindro e frac, con una bottiglia di sambuca per attraversare la notte, tra fumose leggende e misteriosi amuleti.
Ginez e il Bulbo della Ventola tornano con un disco nuovo dal titolo “Sambuca Sunrise”. E questo disco nuovo in realtà, pensando anche alle sue prime battute in tracklist, sembra davvero confermare tutto quel sentore tipico della formazione ligure se non fosse poi per innesti fuori dagli schemi, di suoni e di modi soprattutto. Come se per incanto quel rigattiere uscisse dalla sua confort zone e andasse a spasso anche dentro un mondo mercificato dalle grandi industrie. E nonostante questo, sono i momenti più intimi quelli dentro cui la voce e il sangue di Ginez fa registrare un salto in avanti assai interessante e personale… perderemmo tempo ad etichettarlo in un modo o in un altro. Ci sono brani come “Lettera” o come “Le luci della sera” che meritano silenzio tutte d’intorno…
Un nuovo disco per Ginez e ci preme sottolineare che la denuncia sociale è un punto fermo. Uno dei cuori del disco. La pandemia ha seminato bene?
«Oserei dire che la pandemia è stato in un certo modo la punta di un iceberg. Ho l’impressione che quello che le classi dirigenti stanno mettendo in atto sia un vero e proprio attacco alle libertà personali e una vera mistificazione della realtà. La protesta è inevitabile».
Ci sono canzoni pre pandemia? E se si, come e in che modo le canti oggi? Oppure, nel caso, ti sei scoperto a dover modificare qualcosa?
«Le canzoni nell’album pre pandemia sono Autunno e È qui, le altre sono durante e dopo. Le canto esattamente come canto tutte le canzoni, cercando di viverle per renderle credibili. Se c’è stata qualche modifica l’abbiamo fatta negli arrangiamenti in studio. Immagina che in studio ci abbiamo passato praticamente un anno».
Nel disco anche tracce di sano pop e di sano rock. Non so bene se te li vedo bene addosso… e di certo non è la prima volta. Come se il disco lasciasse meno spazio al teatro e più alle radio… di sicuro in due brani ma non solo… cosa ne pensi?
«Si, ogni tanto qualche canzone rivolta un po’ di più al pop o al Rock esce fuori, però ti posso assicurare che il discorso radio o teatro non c’entra nulla. La fortuna di non avere contratti discografici ci permette di sentirci liberi nelle scelte e di metterci in gioco. Per noi creare è un piacere, non abbiamo bisogno di essere ruffiani».
Scrivi di getto, lo hai dichiarato più volte. Certo gli arrangiamenti sono più studiati… ma la domanda è: col senno di poi, le canzoni sono migliori di getto o nella forma finale, quella studiata negli arrangiamenti?
«Le canzoni continuano a essere di getto, la maniera di scriverle non è cambiata. Abbiamo preso solo più tempo per gli arrangiamenti. Come ti dicevo prima ci piace provare situazioni diverse».
“Sambuca Sunrise” è come se volesse dirmi: attendiamo l’alba portandoci dietro la notte anche abbiamo sulle spalle. Non so se ti piace la mia lettura. Ma se avesse senso ti chiedo: è così che vivi la tua vita oggi?
«Quella che tu fai è esattamente la lettura del disco, per lo meno quella che immaginiamo noi. Tutti noi in un certo senso aspettiamo l’alba, ma non c’è alba migliore dopo una notte vissuta intensamente».