Gli Iron Maiden pubblicavano Dance of Death l’8 settembre del 2003. Tredicesimo album in studio per la band britannica, l’album segna un lieve passo indietro rispetto all’esplosività del precedente Brave New World. Riscopriamo insieme la storia.
Il singolo Wildest Dreams, già presentato dal vivo in occasione del tour estivo del 2002, anticipa il nuovo album Dance of Death. Si tratta del secondo lavoro in studio dopo il ritorno di Bruce Dickinson al microfono e Adrian Smith alla chitarra. Secondo album con tre chitarristi, e anche secondo album con il produttore Kevin Shirley, che aveva già preso parte al precedente Brave New World.
Ho notato un certo interesse per un po’ di variazione, un po’ di cambiamento nel suono dei Maiden. Non è diverso solo per il gusto di essere diverso. Mostra anche un po’ di fantasia e un po’ di talento.”
Bruce Dickinson
L’album è stato registrato tra il gennaio e il febbraio del 2003 presso i Sarm West Studios di Londra. Un lavoro perlopiù apprezzato dai fan e della critica, anche se qualitativamente un passo indietro rispetto al precedente lavoro. E almeno due passi indietro rispetto agli anni d’oro, gli anni Ottanta, che restano comunque un’altra storia. Alla fine del 2002, dopo il Give Me Ed… ‘Til I’m Dead Tour che li tiene impegnati da maggio ad agosto, la band inizia a lavorare al nuovo materiale ed entro Natale ha scritto già ben sette canzoni,
Ci siamo concessi sei settimane per scrivere l’album e non lo abbiamo scritto mentre eravamo in viaggio, quindi è stata tutta un’esperienza un po’ snervante. Ma è emozionante, perché non sai mai cosa ti verrà in mente”.
Steve Harris

Le canzoni dell’album
Il dato da cui partire è la velocità con cui hanno lavorato al disco. La band è piena di idee e sicuramente la reunion di alcuni prima porta ancora i suoi frutti. Le contaminazioni, specie con il progressive, sono sorprendetemente piacevoli. Musicalmente accattivante e complesso Dance of Death è un disco difficile da inquadrare nel contesto dei primi anni Duemila. L’uscita, della durata di quasi 68 minuti, include quattro canzoni che durano ben sette minuti.
Mentre andavamo avanti con la registrazione, sempre più idee cominciavano ad insinuarsi che non avevamo nemmeno considerate durante le prove. E alcune erano davvero carine.”
Bruce Dickinson
Altra curiosità: questo è l’unico disco della band in cui il batterista Nicko McBrain compare come autore di canzoni, avendo co-scritto il brano New Frontier. Altro record: è il primo album in cui ogni musicista è accreditato come autore dei brani.
L’album si apre con Wildest Dreams, un brano potente e massiccio scritto da Smith. Segue Rainmaker, scritta dall’altro chitarrista Dave Murray, con un riff delizioso all’inizio ispirato da Dickinson. Il momento più alto del disco lo troviamo con la tiratissima No More Lies. La struttura nella composizione dei brani degli Iron Maiden è un marchio di fabbrica. Esordio lento con arpeggio, crescendo di ritmo e poi ritornello esplosivo con cavalcate centrali, che culminano con la ritrovata quiete del finale. Anche Montséegur è una cavalcata potente con un ritornello a tratti un po’ ripetitivo.
Applausi scroscianti per la titletrack Dance of Death. Senz’ombra di dubbio è il brano più sperimentale. Una sintesi perfetta tra l’heavy metal maideniano e il progressive rock. New Frontier, che vede come autore anche il batterista Nicko McBrain, è un brano contro la clonazione umana:
Personalmente credo che Dio abbia creato l’uomo ed è solo diritto di Dio creare un essere umano perché solo Lui può darti un’anima. Quando l’uomo tenta di creare l’uomo, allora è un mostro in una provetta.”
Nicko McBrain
Paschendale parla dell’omonima battaglia della prima guerra mondiale. Scritta da Adrian Smith, il brano presenta elementi di progressive, come la lunghezza, la struttura è molto dettagliata, con molteplici cambi di tempo durante la canzone. Per Dickinson “la bellezza di ‘Paschendale’ non sta nell’epicità della canzone – anche se devi ammettere che è un corpo musicale potente ed emozionante – ma nei dettagli”.
Nel finale del disco altra traccia molto significativa è Journeyman. E non solo perché è la prima traccia acustica della storia dei Maiden. Inizialmente avrebbe dovuto essere un brano con gli strumenti elettrici, ma come ricorda Dickinson “sembrava giusto suonare con qualcosa di totalmente inaspettato e fuori dal comune dopo tutto il duro colpo che abbiamo dato all’ascoltatore nell’ultima ora di musica”.
[Dance of Death] è molto vario. Ha degli incredibili contenuti tematici. Ci sono dei colpi davvero brevi e netti nel cervello e penso che ogni album ne abbia bisogno. Ma ci sono anche alcune canzoni molto più profonde.”
Janick Gers

La copertina del disco
Sicuramente la copertina del disco non è il piatto forte da offrire ai fan. Realizzata una prima versione in computer in grafica da David Patchett, la band propone al grafico una nuova versione ritenendola troppo vuota e incompleta. Interviene il manager Rod Smallwood e fa disegnare dei personaggi che circondano la mascotte Eddie, chiedendo al grafico di lavorare su quel modello. Il grafico elabora quindi una nuova versione ma alla fine la band decide di utilizzare una versione della cover diversa, ancora incompiuta, quella che è diventata a tutti gli effetti la cover ufficiale.
Ed è chiaro per quale motivo Patchett abbia chiesto di togliere il suo nome dai credits del disco. La copertina, un caso unico nella storia della band britannica, scontenta praticamente tutti, band inclusa. Dickinson la definisce “imbarazzante” e nelle classifiche stilate dai fan degli Iron Maiden occupa sempre l’ultimissimo posto.
Dalle foto presenti qui sopra si evince quale fosse la prima versione proposta dal designatore e si può anche comprendere l’insoddisfazione dello stesso. Resta da chiedere per quale motivo la band non ha provato a cambiare la copertina, ma forse potrebbe non aver avuto voce in capitolo.
Accoglienza della critica
Dance of Death ha debuttato al numero 18 della classifica degli album di Billboard a settembre, ma non è diventato disco d’oro. Poco tempo dopo la band si imbarca per il Dance of Death World Tour che ottiene moltissimo successo in tutto il mondo e dal quale sarà tratto il live album e dvd Death on the Road.
Le recensioni per l’album sono state tendenzialmente positive. Kerrang! lo ha descritto come “roba stupenda e prova concreta che i Maiden sono elettrizzanti e importanti come lo sono stati da molto tempo”. Anche Sputnikmusic è dello stesso parere, dando una menzione speciale a Paschendale, descritta come “l’ultimo capolavoro” del gruppo. Pur riconoscendo che le prime tre canzoni sono “rinfrescanti ma insignificanti”, AllMusic descrive Dance of Death come “un trionfante ritorno alla forma”.
Pur criticando l’album per la sua lunghezza e per essere lontano dal suo predecessore, PopMatters ha elogiato il sestetto per essere ancora in grado di “surclassare la maggior parte delle band nu-metal più giovani di oggi”. Per i fan il giudizio è positivo anche se viene considerato inferiore rispetto a Brave New World: sono in tanti a parlare di inzio del declino in studio della band.
Personalmente è difficile, oltre che ingiusto, classificare l’album rispolverando dischi passati come The Number of the Beast o Powerslave. Quel periodo d’oro è lontano ma all’inizio del secolo la band di Steve Harris decide di riaffacciarsi di nuovo con prepotenza sul mercato con una reunion e tre chitarrie e ciò ha riacceso le speranze e l’entusiasmo dei fan di tutto il mondo. Si avverte l’energia e la potenza creativa, ma forse manca una direzione precisa. A tratti troppo ‘sperimentale’ ed epico, a tratti ripetitivo e troppo ‘confuso’. In sostanza: un disco potente, che riporta a galla i “nuovi” Iron Maiden.