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Le Monografie di Onda Musicale: Le Orme

Le Orme e la copertina di Collage

Per le nostre “Monografie”, oggi analizziamo la carriera de Le Orme, una delle band chiave del rock progressivo italiano. Lo faremo concentrandoci ovviamente sulla fase più prog del complesso.

Le Orme nascono nel 1966 a Marghera, periferia industriale di Venezia. Non è certo il luogo più romantico a cui si possa pensare, eppure è da lì che partirà una piccola rivoluzione della musica italiana.

Il complesso nasce dall’incontro di Nino Smeraldi e Aldo Tagliapietra. Il primo è un chitarrista elettrico di Venezia, il secondo suona coi Corals, tipica band di cover dell’epoca. Tagliapietra ambisce a qualcosa di più impegnato e, con l’ingresso del bassista Claudio Galieti e del batterista Marino Rebeschini, nascono Le Orme.

I quattro sono grandi appassionati degli Shadows, gruppo strumentale inglese allora di gran moda; vorrebbero così battezzarsi Le Ombre, ma subito emergono due problemi. Esiste già una band con quel nome e, inoltre, ombre in dialetto veneto allude anche ad abitudini alcoliche.

Gli esordi sono all’insegna di un beat che – nel giro di poco tempo – viene blandamente rivestito di una spolverata di psichedelia. I primi tempi vedono ripetuti cambi di formazione. Nel 1968, per la CAR, il gruppo incide Ad Gloriam, album ancora pienamente calato nel beat, pur con qualche originalità.

Il titolo del disco allude alle scarse velleità commerciali del periodo; il lavoro viene inciso, appunto, per la gloria. Il nuovo tastierista Antonio Pagliuca, reduce da un viaggio a Londra, vorrebbe virare il sound verso la sperimentazione. I contrasti con Smeraldi, che preme per dare più spazio alla chitarra, finiscono con l’abbandono di quest’ultimo.

La formazione de Le Orme passa in breve da quintetto a terzetto, stabilizzandosi nella struttura classica; Tagliapietra canta e suona il basso, ma alla bisogna imbraccia la chitarra, proprio come Greg Lake di là dalla Manica. Pagliuca suona le tastiere, in attesa di procurarsi gli immancabili sintetizzatori. Alla batteria è invece arrivato Michi Dei Rossi, al posto di Rebeschini.

Con la produzione esperta di Gian Piero Reverberi e il passaggio alla Phillips, all’improvviso nasce il capolavoro: Collage.

Collage è considerato da molti l’alba del prog italico. Le ispirazioni di Tagliapietra e compagni sono i grandi gruppi d’oltremanica, a partire da Emerson, Lake & Palmer; non mancano citazioni di The Nice e Yes, ma il debito più grande è forse coi Quatermass.

Collage de Le Orme è sicuramente il primo lavoro italiano a obbedire in toto alle regole del rock progressivo; se i New Trolls avevano mischiato in modo spericolato rock e classica e gli Osanna di lì a poco introdurranno il concetto di hard e di jam, Le Orme propongono un suono già perfettamente strutturato.

I brani sono divisi in movimenti perfettamente amalgamati, i cambi di ritmo appaiono sempre ben organici alla struttura; i testi sono raffinati e impegnati e le qualità degli strumentisti sopraffine. Perfino la copertina espone ottimamente le atmosfere e le qualità del complesso.

Non solo, Collage è anche un disco di grande successo.

Ciononostante, da subito Le Orme vengono osteggiate dalla parte più radicale del movimento; l’accusa è quella di un certo disimpegno politico, cosa imperdonabile per le avanguardie del periodo. L’attacco viene sferrato senza tanti giri di parole da Paolo Giaccio, voce radiofonica di Per Voi Giovani.

Le Orme si difendono tramite Ciao 2001, rivista a loro più amica, ma il seme del dissapore è gettato. Il rapporto tra la band e l’avanguardia sarà sempre difficile, soprattutto a partire dal successivo e più commerciale Uomo di Pezza.

L’esordio lascia comunque il segno. Cemento Armato è forse il pezzo clou, con lunghissime divagazioni strumentali e il tema ecologista in ampio anticipo sui termini. Era Inverno è una bellissima ballata, ma il testo forse un po’ paternalistico attira per la prima volta qualche critica dai duri e puri del movimento. La canzone narra l’incontro tra una prostituta e un cliente.

Lo stesso vale per Sguardo verso il cielo, all’epoca il brano più celebre del disco; la canzone è un grande successo e passa infinite volte sul Primo Programma della Radio Nazionale. Il testo è esistenzialista ma con aperture alla speranza di stampo quasi mistico; un aspetto che – come sempre – vale a Le Orme l’ostracismo dei militanti di sinistra.

Non passa nemmeno un anno e Le Orme battono il ferro finché è caldo. Esce Uomo di Pezza, lavoro che si propone l’obiettivo di superare le influenze britanniche, per approdare a un suono più personale. Rispetto a Collage i suoni e le atmosfere risultano più leggeri, a tratti onirici e fiabeschi; i temi delle canzoni, invece, sono spesso piuttosto duri, creando un contrasto sorprendente con la musica.

Uomo di pezza può definirsi un concept album spurio. Infatti, anche se manca una vera storia che unisca le sette tracce del disco, il filo conduttore è quello della donna. Tutte le canzoni, o quasi, raccontano la storia di una donna, a volte con tinte drammatiche. I testi si servono di metafore, raffinate ma spesso oscure, tanto che alcune liriche forse non vengono comprese appieno. Gioco di bimba, poi, è destinato a diventare il pezzo iconico del gruppo, vera croce e delizia.

Per anni la band stessa ha un po’ giocato sull’ambiguità, ma la storia è quella di una bimba stuprata da un pedofilo.

Secondo Tagliapietra, Pagliuca fu ispirato da un fatto di cronaca. L’arrangiamento è delicato, fin troppo, con intarsi di moog e una parte cantata addirittura a cappella. Il pezzo, al di là di qualche dettaglio, è sostanzialmente pop, tanto che il brano sfonda in classifica. Potrebbe sembrare un successo per il complesso e, invece, le dinamiche complicate dell’epoca, fanno sì che Gioco di bimba sia quasi la tipica zappa sui piedi.

Insomma, Uomo di Pezza è un grande successo commerciale, probabilmente il più netto del gruppo. D’altro canto, un po’ a ragione e un po’ a torto, il lavoro costa al complesso il definitivo ostracismo di gran parte della controcultura. I ragazzi, però, a questo punto meditano il colpaccio. Felona e Sorona è di gran lunga il loro progetto più ambizioso.

Siamo di fronte al più classico dei concept album. Felona e Sorona racconta la storia opposta di due pianeti: Felona, simbolo di amore, luce ed equilibrio e Sorona, luogo oscuro e caotico. Insomma, una rappresentazione metaforica della vita e dei principi dello yin e yang. Il lavoro viene inciso anche in inglese e pubblicato – ci testi di Peter Hammill – dalla prestigiosa Charisma.

Si tratta di un lavoro complesso e maturo, tra passaggi classici e purissimo prog. Nonostante la fruibilità molto minore rispetto agli standard a tratti pop de Le Orme, il disco ottiene buoni riscontri e oggi è assurto allo stato di cult.

A Felona e Sorona segue un periodo ancora di grande successo, anche nel Regno Unito, dove i nostri si cimentano in una avventurosa tournée. Nel 1974 esce Contrappunti, lavoro che inizia a mostrare una certa stanchezza nella formula; i tempi, del resto, stanno iniziando a cambiare e il movimento progressivo – già in declino in Europa – nel giro di un paio d’anni tramonterà anche da noi.

Contrappunti, come fa presagire il titolo, è un disco pieno di contrasti tra tracce più blande e improvvise accelerazioni. Nei testi il complesso cerca la provocazione in modo forse un po’ strumentale, come a volersi rifare delle accuse passate. Il risultato è che alcuni brani, che parlano d’aborto e bomba atomica, vengono censurati ma senza valere l’oro l’ormai perduta stima della controcultura.

Con Smogmagica, del 1975, Le Orme tentano di rinnovare un suono che, seppur validissimo, inizia a sembrare un po’ troppo stagnante per le continue rivoluzioni dell’epoca. Il prog è agli sgoccioli e – tra grandi contrasti interni – si decide di inserire un vero chitarrista. La scelta cade sul giovane Tolo Marton, strumentista eccezionale ma votato al blues e all’americana, generi non proprio affini al prog.

La chitarra è, per certi versi, mattatrice del disco ma il suono non pare organico del sound della band. In alcuni casi, addirittura, i brani sono composti prima dell’arrivo di Marton, che si trova a dovere intervenire su pezzi pensati per la tipica formazione de Le Orme senza chitarra. Il suono di Marton è graffiante, la sua tecnica eccellente, ma l’amalgama con la band è sostanzialmente fallimentare.

Alla fine, Smogmagica sarà l’unico album con Tolo Marton in formazione e quello che Tagliapietra riterrà sempre come l’esito di cui va meno orgoglioso.

Il successivo Verità Nascoste vede l’arrivo alla sei corde di Germano Serafin, ma allo stesso tempo la riduzione delle parti chitarristiche. Il complesso si separa dallo storico produttore Gian Piero Reverberi e inizia a prodursi da solo. Il suono vira decisamente verso la musica leggera. Un pop patinato che poco ha da spartire con la storia progressiva del gruppo e appare troppo blando per piacere ai vecchi fan.

Il successivo Storia o Leggenda sancisce l’inizio di un periodo piuttosto confuso. Mentre il mercato decreta il successo di novità musicali che arrivano dal Regno Unito, il punk, e dagli Stati Uniti, la New Wave e la Discomusic, i nostri chiudono con questo disco la prima fase della carriera e si fermano un paio d’anni.

Al ritorno, i nostri si ripresentano con strumenti classici. Florian li vede impegnati tra clavicembali, violini e violoncelli. Lo stesso per Piccola Rapsodia dell’ape, altro lavoro intriso di ballate e classicismi. In un tempo che va verso l’elettronica e pulsioni ritmiche da discoteca, la scelta è coraggiosa ma passa quasi inosservata. I ragazzi se ne accorgono e propongono una nuova svolta, stavolta verso l’elettropop di Venerdì.

I cambiamenti radicali, a questo punto, iniziano a essere troppi e in troppo poco tempo per risultare credibili, sancendo dissapori interni e la confusione del pubblico che non riesce a seguire le evoluzioni del complesso. Marinai, portato al Festival di Sanremo del 1982 e anticipatore di Venerdì, è forse la goccia che fa traboccare il vaso.

Le Orme, di fatto, non esistono più. A parte una sporadica partecipazione ancora a Sanremo nel 1987, bisognerà aspettare il 1990 per un nuovo album. Da allora, però, il gruppo inizia quella che è un po’ la parabola delle vecchie glorie, tra cover e partecipazioni televisive, ritorni estemporanei al prog e nuove incisioni. Solo dagli anni ‘10 del nuovo secolo, col revival del rock progressivo, il gruppo inizia una proficua ultima parte di carriera all’insegna dei live nei festival dedicati al genere.

Le Orme si esibiscono coi vecchi rivali New Trolls, reincidono il capolavoro Felona e Sorona e passano attraverso innumerevoli cambi di formazione. Se una volta i loro pezzi andavano giustamente celebri per i cambi di ritmo, ora pare gli riescano altrettanto bene quelli di formazione. Un carosello che vede per esempio arrivare alla voce Jimmy Spitaleri, carismatico leader di una band rivale all’epoca, la Metamorfosi.

Una storia, quella de Le Orme, che dura ancora oggi. Della formazione originale, dopo liti e reunion, rimangono Michi Dei Rossi e Tony Pagliuca, mentre Aldo Tagliapietra ha interrotto la collaborazione dal 2009. Quest’anno, poi, è tornata la chitarra di Tolo Marton, dopo una carriera internazionale densa di soddisfazioni.

In conclusione, se siete appassionati di rock progressivo e anni Settanta, possiamo tirare le somme coi nostri consigli discografici. Assicuratevi i primi tre lavori, Collage, Uomo di Pezza e Felona e Sorona. Se proprio volete approfondire, procuratevi Ad Gloriam e Contrappunti e vi sarete garantiti ore di buon rock italiano della miglior qualità.

— Onda Musicale

Tags: New Trolls, Osanna, Greg Lake, Shadows
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