Conosciuta come una delle canzoni più cupe, ma allo stesso tempo ironiche, della discografia di Bowie, “The Man Who Sold The World” cela nei versi la vera e propria essenza di un uomo che incontra sè stesso e vi dialoga.
Secondo quanto raccontato da Tony Visconti, produttore dell’artista, Bowie scrisse il testo all’ultimo momento, poco prima delle registrazioni che avvennero parte nei Trident Studios e parte negli Advision Studios di Soho.
“The Man Who Sold The World”, tratta dall’omonimo album, ebbe scarso successo commerciale, ma rappresenta uno dei brani dal significato profondo e molto introspettivo
Probabilmente, Bowie fu ispirato da più fronti: la schizzofrenia da cui era affetto il fratello, il racconto di fantascienza degli anni ‘50 di Robert Heinlein “L’uomo che vendette la luna” e la poesia “Antigonish” di Hughes Mearns. Quest’ultima inizia proprio con dei versi che si avvicinano all’inizio del brano “Yesterday, upon the stair, I met a man who wasn’t there”. Si tratta di una poesia di fantasmi in un’ambientazione scozzese, una visione spettrale, ripresa dall’artista, che la trasforma in un dialogo con sè stesso in cui appare da un lato, un uomo che non ha mai perso il controllo e, dall’altro, uno in cui prende il sopravvento la parte più tormentata del proprio subconscio, mettendo in risalto il conflitto interiore di un uomo che si è costruito un personaggio, rischiando di dimenticare sè stesso per essere accettato dalla società che lo ha conosciuto come il personaggio che interpreta.
Il suddetto verso rispecchia un po’ la voglia di cancellare quello che si è, per far spazio al proprio personaggio di successo. Bowie, in un certo qual modo, però, prende le distanze da questo modo di fare e di essere
A far chiarezza sul vero significato della canzone è lo stesso Bowie che, in un’intervista rilasciata alla BBC nel 1997, dichiarò di aver scritto il pezzo perché era alla ricerca di una parte di sè, quella parte con la quale non si viene in contatto durante la propria giovinezza, una vera e propria ricerca di sè, in un momento della vita in cui non si sa ancora chi si è realmente. L’uomo descritto da Bowie è una persona comune che per apparire in un certo modo agli occhi della società, perde la bussola e inizia a mentire sul vero essere, pur di piacere agli altri, perdendo il controllo della realtà. Una sorta di visione pirandelliana in cui lo sdoppiamento esistenziale e l’impiego delle maschere, diventano gli unici modi per sopravvivere all’interno di una società in cui non ci si riconosce.
Il brano di Bowie è scritto durante gli anni ‘70
In un periodo in cui la società era poco attenta ai bisogni dei giovani che si sentivano sempre più isolati e in difficoltà rispetto alla ricerca della propria personalità, per via dei prodotti standardizzati. In un quadro alienante, il Duca Bianco sviscerava tale sentimento e andava contro gli schemi sociali precostruiti con la creazione di personaggi che erano in totale disagio.
All’interno del medesimo album “The Man Who Sold The World”, trovano spazio anche dei riferimenti alla teoria nietzschiana del superuomo, l’ambiguità sessuale, la fantascienza assolutistica delle scalate al potere con remissione delle responsabilità che ne derivano a un computer, la paranoia e l’isolamento. Durante le registrazioni dell’album, il Duca Bianco cercava di distrarsi e distaccarsi, delegando il più possibile ai musicisti e al produttore, forse per via delle rievocazioni provocate dai suoi stessi testi che erano legati a periodi spiacevoli della propria vita: la morte del padre, la paura di perdere sè stesso e la follia del fratellastro Terry, ampiamente descritta in All the Madmen.
Una delle curiosità legate all’album, riguarda la copertina
Inizialmente, la copertina originale era stata creata da Michael Weller, amico del Duca Bianco, in stile pop art a fumetti, raffigurante sullo sfondo la clinica di igiene mentale in cui era ricoverato Terry, il fratellastro di Bowie e, in primo piano, la caricatura di John Wayne vestito da cowboy. Questa versione, però, fu accettata e, successivamente commercializzata, solo negli Stati Uniti. In Inghilterra, invece, tale copertina non approvata dalla casa discografica, fu sostituita da una foto di Bowie semisdraiato in posa vittoriana, con una carta in mano e un vestito da donna. Quest’ultima, fu ulteriormente sostituita da un’altra in bianco e nero per le edizioni successive, che ritraeva il Duca Bianco sferrando un calcio in aria.
Della copertina di “The Man Who Sold The World” esistono altre due versioni più recenti
Una tedesca pieghevole e un’altra che omaggia il famoso film Metropolis di Fritz Lang, in onore del titolo che lo stesso Bowie avrebbe voluto inizialmente dare all’album: Metrobolist.
Un brano riscoperto e portato agli apici del successo dal Grunge degli anni ‘90
Passano gli anni, cambiano le generazioni ed il giovane Kurt Cobain scopre The Man Who Sold The World, quasi per caso, in un negozio di dischi di Boston e ne resta completamente affascinato a tal punto da inserirlo nel proprio show Unplugged di MTV a New York. Un’esibizione malinconica che entra di prepotenza a far parte della storia della musica e una canzone che si sposa a pennello con l’atmosfera cupa e quasi spettrale della scenografia con candele nere, gigli e luce soffusa.
The Man Who Sold The World è un brano che riesce a catturare l’attenzione di Kurt
Proprio per la vicinanza che ha con il conflitto interiore provato dall’artista, che ha la capacità di smuovere le masse a tal punto da rispecchiare la disillusione e la confusione di un’intera generazione. Per Kurt Cobain questo brano rappresentava una sorta di incontro tra il vecchio e il nuovo, tra il passato e il presente cambiato dal successo, rispecchiando il dramma esistenziale dell’artista per aver “venduto” il Grunge al mainstream.
Kurt Cobain fa suo il pezzo di Bowie a tal punto da risultare quasi profetico, un destino macabro che si sarebbe compiuto di lì a qualche mese
Kurt trasforma il verso “we must have died alone” sostituendolo con la prima persona, in modo da far trasparire il pessimismo cosmico inguaribile e, per certi versi, profetico. Bowie, d’altro canto, rimase sbalordito dalla scelta di Kurt Cobain di coverizzare un proprio pezzo, il quale dichiarò che sarebbe stato curioso di poter parlare con Kurt per capire bene le motivazioni di tale scelta.