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Fabrizio De André in concerto con la PFM, storia di un capolavoro

Fabrizio De André in concerto

Fabrizio De André in concerto – Arrangiamenti PFM esce nel 1979 ed è una sorta di spartiacque per la musica italiana. Vi raccontiamo la sua storia.

Quando Fabrizio De André in concerto esce, la musica rock non è ancora stata del tutto sdoganata in Italia. Certo, dire che il cantautorato non era ancora stato toccato nemmeno in minima parte da atmosfere rock, come troverete scritto da varie fonti, non è esatto. Ivan Graziani, Eugenio Finardi e diversi progetti nell’ambito del rock progressivo avevano già dimostrato che musica d’autore e chitarre elettriche potessero convivere.

Se pensiamo alla musica internazionale, il discorso è ancora più ampio e il rock d’autore è una realtà da più di dieci anni. Ovvero, dall’affaire del Newport Jazz Festival e dei fischi dei puristi all’indirizzo di Bob Dylan.

Eppure, quando Fabrizio De André in concerto viene rilasciato, qualche polemica arriva. De André viene accusato da alcuni di essersi venduto al mercato, di essere diventato commerciale, qualsiasi cosa voglia dire questa parola sempre in bocca ai più ottusi critici. È paradossale ed emblematico dell’arretratezza italiana in ambito rock il fatto che, in tono molto minore, Fabrizio riviva il processo a cui fu sottoposto Bob Dylan oltre dieci anni prima.

Alla fine degli anni Settanta, i famosi anni di piombo tanto rimpianti da chi non li ha vissuti o non li ricorda bene, vige ancora una distinzione ferrea tra musica d’autore e musica disimpegnata. La prima vuole gli artisti seri se non seriosi, impegnati politicamente e dediti ad arrangiamenti scarni e preferibilmente acustici. La parte musicale, e sì, sembra un scherzo, non deve essere preminente.

Anzi, se le canzoni suonano tutte uguali, magari solo chitarra e voce, il primo passo verso il disco d’autore pare fatto. In questo clima, abbinare il cantautore più rispettato e serio d’Italia, Fabrizio De André, a una band di grande livello ma indubitabilmente rock come la PFM, suona come un’eresia.
Quelle che tanto piacciono a Fabrizio.

Il rapporto tra De André e la PFM, in realtà ha radici profonde.
Nel 1970, quando Fabrizio provoca un altro scossone tra i movimenti della controcultura pubblicando La Buona Novella, vuole come turnisti i ragazzi di una band beat, I Quelli. Il complesso, ancora dall’incerto successo ma dalla tecnica solidissima, non è altro che il prototipo della PFM che – un paio d’anni dopo – si prenderà lo scettro di band chiave del nascente rock progressivo.

Prima del disco prende forma l’idea del tour, dalle cui registrazioni l’album è tratto. De André ha appena pubblicato Rimini ed è molto indeciso sulla via da prendere. Da sempre restio, soprattutto per la proverbiale timidezza, alla vita sul palco, Fabrizio pensa che una scelta di rottura totale come quella di proporre il repertorio arrangiato in chiave rock possa essere quella giusta.

Fabrizio De André in concerto viene registrato tra il 13 e il 16 gennaio 1979, nelle date di Firenze e Bologna.

Il cantautore ricorda a proposito: “L’idea di un tour con un gruppo rock sulle prime mi spaventò, ma il rischio ha sempre il suo fascino: forse in una vita precedente ero un pirata, e così una parte di me mi diceva di accettare. In più ero tormentato da interrogativi sul mio ruolo, sul mio lavoro, sull’assenza di nuove motivazioni. E la PFM mi risolse il problema, dandomi una formidabile spinta verso il futuro. La tournée con loro è stata un’esperienza irripetibile perché si trattava di un gruppo affiatato con una storia importante, che ha modificato il corso della musica italiana. Ecco, un giorno hanno preso tutto questo e l’hanno messo al mio servizio.”

Il lavoro, piuttosto compatto, è composto da dieci tracce. La scelta è così ampia e il successo tale che, un anno dopo, uscirà un Volume 2, inevitabilmente di minor pregio ma sempre di grande qualità.

Il lavoro della PFM è eccezionale: le canzoni appaiono allo stesso tempo uguali e rivoluzionate. De André dal vivo pare sicuro come mai prima e ogni componente della band si ritaglia lo spazio per far vedere le proprie qualità senza che le canzoni diventino occasione di futile virtuosismo. È forse la scatenata versione de Il Pescatore, brano del 1970 mai troppo considerato, a trascinare al successo tutto il disco.

Il lavoro si apre con un classico, ma quasi tutti i brani della raccolta lo sono, Bocca di Rosa. Il pezzo, apparso per la prima volta nel 1967, beneficia del trattamento PFM a partire da una lunga intro. Inutile stare qui a commentare l’immortale testo, che rimane quello ben noto. A colpire è il break strumentale prima del finale della canzone, buono per capire come i brani vengano valorizzati senza togliere nulla alle atmosfere originali.

La voce di De André, sempre ferma e profonda, riesce a fondersi coi nuovi arrangiamenti evitando l’effetto corpo estraneo che si poteva forse temere.

Si prosegue con Andrea, pezzo all’epoca nuovo di zecca reso alla perfezione in una versione folk rock da antologia. L’arrangiamento non è nemmeno troppo diverso dall’originale, ma basta accelerare un po’ il ritmo ed eliminare i coretti femminili per migliorare la resa del pezzo.

Giugno ‘73 è la bellissima ballata del 1975, già apparsa su Volume 8.
La lunga intro di Patrick Djivas col basso fretless sostituisce quella di violino dell’originale, il delicato arrangiamento quasi da ninna nanna rimpiazza quello orchestrale. Il risultato, senza nulla togliere all’originale, è da brivido e beneficia del tono di De André, che in questo live risulta particolarmente asciutto e privo di qualche orpello di troppo.

Si prosegue con Un Giudice, altro grande classico tratto da Non al denaro non all’amore né al cielo. Anche qui il tappeto sonoro è rispetto all’originale molto più veloce e ricco. A prendersi la scena sono sicuramente la fisarmonica di Flavio Premoli e il basso rotolante di Dijvas. La PFM va a intervenire soprattutto sul celebre controcanto, quasi assente nell’originale, ampliandolo e facendone il marchio di fabbrica del pezzo.

Ed è un altro superclassico a chiudere la prima facciata, La Guerra di Piero.
Anche qui il trattamento è estremamente rispettoso ma comunque arricchisce di sostanza e struttura la spoglia versione originale.

Il secondo lato si apre con Il Pescatore, forse il pezzo cult della raccolta.
La versione originale, quasi country con tanto di fischio e chitarra saltellante, è sostituita da un arrangiamento indiavolato. È forse uno dei brani dove il trattamento PFM è più robusto, dai suoni rock ai coretti ormai leggendari. La durata quasi doppia rispetto all’originale testimonia lo stravolgimento salvifico del Pescatore targato PFM.

Zirichiltaggia, anch’essa tratta dall’allora recente Rimini, è una specie di filastrocca scioglilingua in sardo. Il pezzo è in pieno stile cajun e ricorda molto da vicino The Back Door di D.L. Menard. Il testo, scritto in credibilissimo sardo dal neofita De André, narra una lite tra fratelli per una eredità. Lucio Fabbri, al violino, suona come tarantolato e rende onore alle radici cajun del pezzo.

Tocca poi al classico dei classici, La Canzone di Marinella. A parte una lunga introduzione, la versione è molto rispettosa dell’originale anche se inserisce qualche novità, come la batteria. Poco da dire, un capolavoro che suona bene in qualsiasi resa.

Volta la Carta, ancora tratta da Rimini, è una specie di filastrocca cantata su un tema popolare che pare quasi una giga irlandese. Il testo cita varie filastrocche tradizionali per un risultato che stempera la tensione dopo Marinella e prima del finale intenso che sta per arrivare.

Amico Fragile è ritenuta, anche dallo stesso autore, una delle canzoni più importanti del repertorio di De André. Apparsa per la prima volta su Volume 8 del 1975 con un arrangiamento orchestrale alla Leonard Cohen e una durata di poco più di cinque minuti, qui Amico Fragile è trasfigurata.

La durata, intanto, ben oltre i nove minuti. L’arrangiamento, poi, che paga pegno a certe atmosfere floydiane coeve. Franco Mussida regala una delle parti di chitarra più belle del rock italiano, una vera perla che non ha nulla da invidiare a tanti assoli osannati di David Gilmour e altre star del rock internazionale. Per dire, la celebre Comfortably Numb dei Pink Floyd, non lontanissima da certe suggestioni di Amico Fragile, arriverà solo qualche mese dopo.

Insomma, se volete convincere l’appassionato rock duro e puro – sono i peggiori – della grandezza di De André, forse è bene partire da qui.

Fabrizio De André in concerto finisce qui. Sembra impossibile, in tempi di streaming e di doppi e tripli album a volontà, una durata così breve. E invece, come spesso capita per i prodotti dell’epoca, la compattezza è forse la dote migliore del lavoro, trascurando il vantaggio di poter uscire con un Volume 2 già l’anno dopo.

Fabrizio De André in concerto rimane, dopo oltre quarant’anni, una pietra miliare dei live italiani. Oggi pare grottesco pensare che quella volta un lavoro del genere potesse scatenare polemiche. A riprova che i contemporanei quasi mai sono in grado di soppesare a dovere i capolavori.

Probabilmente, chi oggi osanna un disco così come esempio della musica che non esiste più, all’epoca sarebbe stato tra quelli che lo condannavano come scandaloso.

— Onda Musicale

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