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Blue’s, il trionfo all’insegna del soul bianco di Zucchero

Blue's

Nel giugno del 1987 esce uno dei dischi più importanti della musica italiana anni Ottanta, Blue’s di Zucchero. Un album forse più soul che blues e che porta in classifica una musica che pochi italiani avevano osato fare.

Quando esce Blue’s, Zucchero è già un uomo di trentadue anni che nel suo viaggio musicale ha collezionato più delusioni che trionfi. Suona in varie band da quando ha tredici anni ma, a un’età in cui Beatles e Rolling Stones erano già vecchi, non ha ancora trovato la chiave giusta per sfondare.

Zucchero si chiama in realtà Adelmo Fornaciari e ha scelto il suo pseudonimo ricordandosi del modo in cui lo chiamava la maestra. Adelmo è un passionale, un viscerale, arriva dall’Emilia Romagna e ha un percorso che lo ha portato a un passo dal diventare veterinario. Del resto, si sa: tra curare i cocker e diventare il Joe Cocker italiano il passo è breve.

L’amore per la musica, quella nera del blues e del soul in particolare, lo ha però preso al laccio senza mollarlo, trascinandolo in una vita on the road all’emiliana.

Ecco che il musicista allora alterna le serate in cui emula i suoi idoli, da Cocker a Ray Charles, a lavori con cui sbarca il lunario e incamera storie e figure da raccontare. Zucchero fa il tornitore, il fornaio, il salumiere, ma la ricetta giusta per imporre il soul in Italia è più complicata di quella di un bel panino.

La gavetta è lunga e non priva di occasioni: Zucchero riesce per ben quattro volte a partecipare al Festival di Sanremo. Un traguardo che, per uno di provincia come lui, pare più un miraggio che una meta tangibile. Eppure, le cose non vanno. A parte Nuvola del 1983, che arriva in finale ma che ricordano in pochi, il nostro arriva sempre penultimo. Una volta, per dire la lungimiranza del festival all’epoca, davanti a Vasco Rossi, buon ultimo.

Dopo il flop di Un po’ di Zucchero, album d’esordio in cui i compromessi con la produzione imbrigliano i suoi demoni blues, e di Donne e Canzone Triste, ancora a Sanremo, Zucchero ribalta il tavolo e tenta il tutto per tutto. Va a risciaquare i panni come Manzoni, ma non nell’Arno: Adelmo va alla fonte, in America, a bagnarsi nelle acque del Mississippi, e ritorna deciso a giocare la carta della disperazione.

In America Zucchero fa lega con Corrado Rustici, bravo chitarrista fratello di Danilo degli Osanna e attivo a sua volta all’epoca del prog con la band Cervello. Corrado si è fatto un nome come produttore e forse è l’uomo giusto per l’ambizioso sound che ha in mente Fornaciari. Il sodalizio produce Rispetto, album che doveva vedere Mogol ai testi. Sono proprio i contrasti tra il passionale Zucchero e il metodico Mogol a far saltare tutto.

Adelmo, allora, prende il toro per le corna: scrive i testi da solo per la prima volta e dedica la sulfurea title-track proprio al paroliere di Battisti. Finalmente qualcosa si muove e il disco fa parlare di sé, anche se a fare scalpore è più il sound che i testi. Con Zucchero suona la Randy Jackson Band e si sente: un suono così corposo e nero in Italia è una vera novità.

Blue’s è il disco della conferma, quello dove Zucchero è chiamato a sfondare o a rassegnarsi a una carriera di qualità ma dentro una nicchia ben precisa. Ora sappiamo già come andrà a finire: il musicista, tra alti e bassi, tra successi e qualche caduta di stile, impazzerà in testa alle classifiche per almeno un paio di decenni. Allora, però, la situazione è tutt’altro che scontata e Zucchero si prende i suoi bei rischi.

Blue’s è un disco che osa. Nei mezzi, intanto, con un grande come Gino Paoli che collabora ai testi di ben tre canzoni, la celebre Con le mani, non tutti lo sanno, è sua. O come con Clarence Clemons, sassofonista che arriva diritto dalla E-Street Band di Bruce Springsteen.

Ma soprattutto, i rischi Zucchero se li prende con testi come Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’Azione Cattolica, brano portante dell’album che va a sollecitare il pubblico su un tema che nell’Italia libertaria ma bigotta degli eighties si potrebbe ritorcere contro: l’invadenza della morale religiosa nella vita di tutti, specie dei giovani.

Il disco si apre con una breve introduzione in cui si affaccia il tema di Solo una sana e consapevole libidine, poi parte l’immortale riff di Con le mani. È il tempo di Joe Cocker e della colonna sonora di 9 settimane e mezzo e Con le mani si cita a piene mani. Il testo di Paoli è osé al punto giusto, i cori femminili da chiesa sconsacrata dell’Alabama e i fiati puntellano manco fosse un disco della Stax.

Zucchero è però il perno di tutto, la sua voce roca e sofferta omaggia i grandi del genere riuscendo però a evitare il temibile effetto parodia. Con le mani è l’attacco perfetto in cui ogni ingrediente è dosato alla perfezione, americano più dell’America.

Si va avanti rimanendo nelle stesse atmosfere con Pippo, altro pezzo assurto a icona dell’artista. Il brano, attribuito al solo Zucchero pare però vantare un contributo di vasco Rossi; il testo ironizza amaramente su un amico del cantante che cerca di mettersi in mezzo al rapporto traballante di Adelmo con la moglie.

Un furbo “Pippo, che cazzo fai” fa borbottare i perbenisti, garantendo un certo risalto alla canzone. Il successo è in ogni caso meritato, Pippo è un pezzo travolgente in cui Zucchero pare Joe Cocker più di Cocker stesso.

Dune Mosse è la prima frenata del disco, un lento dall’atmosfera quasi floydiana in cui il cantante forse per la prima volta ricorre a uno dei suoi topos futuri, il miscuglio tra italiano e inglese. L’autore del testo è Marco Figliè, compianto cognato dell’artista, ed è davvero notevole. Il brano, lento e ipnotico, con la chitarra trattatissima di Rustici e atmosfere rarefatte, è per molti il vertice del lavoro e forse della discografia tutta di Zucchero.

In Bambino io, bambino tu torna a collaborare ai testi Gino Paoli. Si tratta di un brano in levare, un esperimento ai limiti del reggae che si mescola con atmosfere abbastanza tipiche del canzoniere di Gino Paoli. Un passaggio forse non riuscitissimo, sicuramente un po’ disorganico nell’economia di Blue’s.

Non ti sopporto più torna alle atmosfere soul care al bluesman emiliano. La canzone, come molte altre del disco, è un attacco o forse un semplice sfogo verso la moglie Angela Figliè. La registrazione di Blue’s, forse il disco più riuscito di Zucchero, non corrisponde paradossalmente a un buon periodo per il cantante, il cui matrimonio era alle battute finali. Una situazione sofferta al punto da permeare quasi com eun’ombra oscura le atmosfere dell’album.

Ne è la prova la successiva Senza una donna, ancora ispirata al suo matrimonio e che diventerà il suo più grande successo internazionale. Il pezzo è ancora un soul-blues lento che esita però in un ritornello melodico che unisce l’America all’Italia. Forse gli arrangiamenti sono un po’ troppo levigati, forse la bella chitarra di Rustici meritava più spazio e forse la moglie non meritava l’ennesimo dissing non proprio di buon gusto, ma è innegabile che Senza una donna sia un pezzo praticamente perfetto.

Dopo il breve intermezzo a cappella di Into the groove, arriva un organo alla Procul Harum ad annunciare un altro momento molto alto del disco, Hey Man, forse quanto di più vicino al blues mai inciso da Zucchero. Il cantante si strugge da vero soulman e inneggia all’amicizia maschile, con Rustici che gioca a fare Clapton.

Il blues e Rustici, forse non è un caso che Slowhand in persona si cimenterà in questo pezzo quando sarà chiamata a un duetto con Adelmo.

Blue’s però non conosce tempi morti, o almeno non stecchiti, e si va avanti col pezzo simbolo Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’Azione Cattolica. Tutto è azzeccato: il testo provocatorio per chi è disposto a farsi provocare, naif per i più scafati, il ritmo agitato e irresistibile, il sound tipico degli anni Ottanta.

La chiusura è per Hai scelto me, ballata che si apre con un bel pianoforte che odora tanto di Beatles e di John Lennon. Zucchero si fa carezzevole, sussurra mentre il piano va in crescendo fino all’ingresso di una voce femminile che vocalizza come fossimo in The Great Gig in the Sky. Hai scelto me è breve ed è davvero una piccola perla che chiude un lavoro a suo modo perfetto.

Il disco fa il botto e garantisce a Zucchero una vita di successi come musicista, quello che in fondo sognava. Un paio d’anni dopo Oro, Incenso e Birra farà ancora meglio come vendite e, secondo alcuni, anche come qualità. Blue’s è però la fonte da cui tutto origina ed è sicuramente più importante a livello filologico. Da allora in poi Zucchero riesce a costruire il suo piccolo impero soul.

Ma Zucchero segna anche un’altra impresa difficilmente eguagliabile: diventa punto di riferimento del blues italiano – per chi del blues sa davvero pochino – senza suonare forse mai in carriera un vero pezzo blues.

— Onda Musicale

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