Recensioni e Interviste

Anna D’Elia, l’intervista per Onda Musicale

Copertina singolo di esordio da cantautrice di Anna D'Elia

Anna D’Elia, polistrumentista, compositrice ed autrice pubblica il nuovo singolo “(re)born”, un brano strumentale con forti tinte neoclassiche

Il nuovo brano di Anna D’Elia si muove verso un climax costante, tra suoni di basso travolgenti e batterie sempre più incalzanti. L’artista presenta il singolo dicendo: «Questo brano è il simbolo della nostra esistenza, di come la vita possa essere oggi vittoria e domani sconfitta, senza seguire uno schema ben preciso. È quell’ossimoro che lascia un nodo alla gola: sono gli ostacoli, la gioia delle piccole cose, la sofferenza e il ritornare a respirare.»

Abbiamo intervistato Anna D’Elia per un approfondimento in merito a questo singolo che la vede debuttare con un brano come compositrice e produttrice indipendente.

(re)born è il tuo singolo d’esordio come compositrice e produttrice indipendente. Qual è stata la scintilla che ha fatto scaturire l’ispirazione per la creazione di questo brano e qual è il significato profondo che ha per te un brano che si presenta con un titolo legato al concetto di rinascita?

«Ho iniziato a scrivere (re)born in una fase di passaggio della mia vita. Era novembre del 2021, eravamo ancora nel pieno della pandemia e stavo vivendo un periodo ricco di ansie. La scintilla è nata proprio grazie all’incontro con una persona che, vendendomi ancora un po’ avvilita, mi fece aprire gli occhi. “Ricomincia dalla musica”, mi disse. È successo in un momento in cui l’avevo accantonata, non per scelta, ma per mancanza di energie. Non mi era mai capitato prima d’allora e avevo anche un certo timore a ricominciare. Così, una sera, provai a comporre qualcosa, come una sorta di esercizio. Di lì a poco, invece, mi resi conto di star mettendo in musica la mia vita in modo del tutto involontario e di avere già il titolo senza pensarci. La rinascita è un concetto che ci lega tutti, è la storia di ognuno di noi. La vita non è un percorso lineare: si cade, ci si rialza e si rinasce, ma bisogna tener presente che si potrà ricadere ancora. Ed è proprio rinascendo che daremo vita a versioni migliori di noi stessi.»

Hai unito elementi di musica classica ed elettronica in “(re)born” per creare un brano interamente strumentale, che scivola dolce lungo tutta la sua durata. Come hai affrontato questa fusione di generi e quali sfide hai incontrato nel cercare di trasmettere la tua visione attraverso questa combinazione unica di stili musicali, soprattutto considerando che hai affidato alla sola musica, senza parole, l’onere della comunicazione emotiva?

«La fusione di generi è stata spontanea. In quanto produttrice amo particolarmente i suoni elettronici: da quelli più potenti e “terreni” come gli 808; a quelli più dolci e “sospesi” come i pad. È stato un fluire continuo, ho iniziato con dei synth ma in fase di scrittura ho percepito quanto il brano avesse bisogno di una sezione d’archi. Da ascoltatrice, prima ancora di “addetta ai lavori”, trovo che gli archi abbiano il potere di scomporre e ricomporre la nostra anima come nessun altro strumento, proprio grazie ai loro intrecci. È un po’ come una sessione di terapia e questo è ciò di cui il brano aveva bisogno. Il semplice atto del guardarsi dentro. Nessuna parola, nessuna voce: il solo abbandonarsi alla musica e lasciarsi cullare come quando si è nel grembo materno. Scrivere un testo sarebbe stato troppo banale per un concetto così trascendentale.»

Ci hai detto che “(re)born” rappresenta la vita con le sue vittorie e sconfitte imprevedibili. Come riesci a gustare il sapore delle tue grandi e piccole vittorie e come invece affronti le sconfitte che la vita purtroppo a volte deve offrirti? Come pensi che un brano come questo tuo nuovo singolo possa fare da colonna sonora a questi momenti?

«Vivo appieno ciò che sento, che siano vittorie o sconfitte, e le condivido con le persone che amo. In linea di massima, non tendo a festeggiare, anche quando si tratta di grandi vittorie. Bisogna sempre restare con i piedi per terra. A me bastano le piccole cose, come può essere il sorriso di un genitore fiero del proprio figlio o un momento di gioia condiviso con chi ami.
Stando alle sconfitte, invece, bisogna farne tesoro. Il dolore non va scacciato, viverlo è necessario per poter andare avanti. Dobbiamo abbracciare tutte le sensazioni che viviamo e metabolizzarle anche attraverso l’arte. È proprio ciò che affronta (re)born: la dualità della vita quasi a toglierti il respiro, fino a poi finalmente fermarsi. È perfetto per le gioie, ma anche per le sconfitte e viceversa
».

“(re)born” presenta una combinazione avvincente di suoni neoclassici, bassi travolgenti e una crescita costante verso un climax. Puoi parlare delle influenze musicali che ti hanno ispirato mentre lavoravi a questo singolo e come hai cercato di rendere uniche queste influenze nel tuo
stile compositivo?

«Il mio percorso musicale è nato grazie al rock, nonostante adesso componga tutt’altro genere. Figure rivoluzionare come quelle dei Queen o più semplicemente dei Nirvana o degli Alter Bridge mi hanno segnato profondamente. Ma se non fosse stato per artisti come Matt Kidd (ora Slow Meadow, che all’epoca conobbi come Aural Method), Ólafur Arnalds, Einaudi, Yiruma e Nobuo Uematsu, il mio progetto solista non sarebbe mai nato. Senza considerare il forte amore che nutro per l’arte di Levante che mi è stata accanto durante tutto il periodo compositivo di (re)born insieme alle dolci ma malinconiche melodie del primo disco di Ólafur Arnalds, Eulogy for Evolution. La mia è una commistione di mondi differenti che rispecchiano molto la mia persona: si incontrano e viaggiano insieme per creare un universo nuovo e unico».

— Onda Musicale

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