Recensioni e Interviste

Silvia Conti: mettendo in circolo la libera urgenza di sé, l’intervista

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Si intitola “Ho un piano B” il nuovo disco di una figura storica della scena d’autore toscana.

Silvia Conti, nata artisticamente per il grande pubblico a Sanremo nel 1985, rompe quel grande silenzio degli anni a seguire con due dischi davvero importanti. Il primo nel 2017 con “A piedi nudi (Psichedeliche ipnotiche nudità)” fatto di colori beatlesiani e un pop d’autore molto attento alla melodia. Ci aveva “illuso” poi di una sua direzione decisamente blues con il singolo “L’incrocio del diavolo”, ovvio rimando all’epica leggenda di Robert Johnson.

Ma poi la svolta, “americana” come diremmo poi: esce sempre per la RadiciMusic Records questo disco dai forti colori di libertà, nella scrittura come nella forma. Il pop lascia spazio ad una dimensione spirituale di folk passando per sfumature di rock negli ottimi arrangiamenti curati da Roberto “Bob” Mangione. E attorno a questo disco anche un libro: “Gli anni sprecati” scritto negli anni ’80 dal padre dell’artista toscana. Non è una rinascita né una normalissima evoluzione: il nuovo disco di Silvia Conti è manifesto di consapevolezza.

Molti parlano dell’America come uno dei luoghi di questo disco. Cosa rispondi, cosa ne pensi?

“Penso che mi faccia piacere, e tanto. D’altra parte, sono fermamente convinta che chi scrive canzoni sia influenzato principalmente da ciò che ascolta e io ascolto quasi esclusivamente musica d’oltremanica e oltreoceano. Non per snobismo, sia chiaro. Semplicemente è il mio mondo, quello con cui sono cresciuta e nel quale mi riconosco.”

Prima di parlare del libro di tuo padre parliamo di questa bandiera “partigiana” con cui descrivi il tuo modo di fare musica… che intendi di preciso?

“Intendo che considero questo un disco politico e quindi partigiano, ovvero (Ça va sans dire) che sa da che parte stare. Ho parlato di accoglienza, di diritti, di guerra: in tutti i brani ho cercato di raccontare ciò che mi sta a cuore, affrontando, a modo mio, ovviamente, argomenti importanti ed esponendomi in prima persona, e questo, per me, significa essere partigiani.”

Che poi “Ho un piano B” in qualche modo rompe le aspettative blues che avevi seminato con il singolo “L’incrocio del diavolo”. Posso chiederti perché questo cambio di rotta?

“Guarda, è stato casuale. L’interruzione forzata dovuta alla pandemia ha procrastinato l’uscita del disco a cui stavamo lavorando e, avendo tanto tempo libero, io ho continuato a scrivere mentre, nel frattempo, Bob trovava altri arrangiamenti. Alla fine, è venuta fuori un’anima rock, che fa comunque parte di noi, tanto quanto il blues.”

E troveremo anche questa veste nel futuro di Silvia Conti?

“Eh, a saperlo! Non ho idea di che cosa farò stasera, figuriamoci domani! Il futuro per me non esiste, è tutto un oggi lunghissimo!”

Come dici in “Moltitudini”, resti ancorata per la paura di nuotare. Lo dichiari: forse il brano più intimo per te. Siamo tutti delle moltitudini… in fondo anche questo disco lo è, non trovi?

Sì, esatto. “Moltitudini” è il pezzo più intimo che io abbia scritto perché descrive come sono “dentro”, parla delle mie paure e dei miei limiti. E’ stato liberatorio e importante, mi ha aiutata a crescere.”

E se possiamo svelarlo, il CD fisico ci regala qualcosa che non ci aspettavamo e che, a proposito di moltitudini, esce fuori da tutto. Che dici, ce la racconti la Ghost Track?

“SuperPippo” è davvero la mia rappresentazione: faccio un disco serio e poi butto tutto in “caciara”! A parte gli scherzi, questa è una canzone praticamente dovuta, un omaggio a Gianfilippo Boni, il nostro personalissimo George Martin al quale dobbiamo tanto, sia professionalmente che a livello di amicizia. E poi ognuno ha il suo eroe, il mio è Superpippo!”

In “Lucciola” come in “Farfalla”, la condizione della donna si fa centro per il disco. Parlando proprio di questo secondo brano che si apre con la voce tua e di Bob Mangione: chi è Alessandra e perché ha 2000 anni? Come a dire che il tempo e la pioggia non è per tutti uguale?

“Bob e io recitiamo una poesia di Daniel Vogelmann tratta dalla raccolta “Fondamentale” che io trovo bellissima. Come tutte le poesie è impossibile da spiegare ma, se proprio vogliamo, credo si possa dire che in pochi versi il poeta riesca a esprimere quanto la vita possa essere effimera ed eterna allo stesso tempo. Mi piaceva citarla prima del brano “Farfalla”, appunto, che parla della carenza di intelligenza emotiva che caratterizza il nostro tempo e di quanto questa mancanza, che a qualcuno potrebbe sembrare irrilevante, possa essere in grado, a volte, di distruggere delle vite.”

A chiudere pesco “Settembre”: che questo basso iniziale, che queste chitarre distorte ma lontane, che questo suono molto grunge sia una delle tante citazioni del disco?

L’inizio del brano ha un forte riferimento a “No quarter” dei Led Zeppelin e per il resto, più che con il grunge, si possono trovare delle assonanze con i Cure e il post-punk in genere. Il bellissimo intreccio delle chitarre di Matteo Urro e Bob Mangione ha fatto il resto.”

Silvia Conti è su Instagram e Facebook.

— Onda Musicale

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