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We Are The World: la notte che ha cambiato il pop

We Are The World

Un documentario ben fatto ma che paga il pegno di raccontare una vicenda troppo nota.

“We Are The World: la notte che ha cambiato il pop” è un documentario del 2024 incentrato sulla notte in cui 46 superstar musicali si sono trovate per incidere assieme la canzone “We Are The World”.

L’idea del singolo benefico venne a Harry Belafonte dopo aver visto un documentario sulla fame in Etiopia. Sulla scia di quanto già fatto in Gran Bretagna dal progetto Band Aid, il cantante e attivista volle spingere per la realizzazione di un disco singolo i cui ricavati fossero destinati a combattere la fame nel Paese africano. Egli contattò quindi il manager e produttore Ken Kragen; questo volle coinvolgere Lionel Richie, che a sua volta propose Quincy Jones come produttore. Lui interpellò subito il suo “protetto” Michael Jackson, che accettò di scrivere il pezzo assieme a Richie. Si trattava dei “pesi massimi” del pop dell’epoca, e i loro nomi invogliarono altri grandi artisti a partecipare, tra questi Bruce Springsteen, Ray Charles, Bob Dylan e Tina Turner, fino ad arrivare a 46 superstar che si ritrovarono assieme per incidere il pezzo.

Fu scelta la data del 28 gennaio 1985 perché molti di loro già sarebbero stati nello stesso posto, a Los Angeles, per gli American Music Awards. L’evento fu piuttosto breve, e alle dieci di sera i cantanti erano già riuniti presso gli Hollywood’s A&M Studios. Una breve parte solista fu affidata a Kim Carnes, Ray Charles, Bob Dylan, Daryl Hall, James Ingram, Michael Jackson, Al Jarreau, Billy Joel, Cyndi Lauper, Huey Lewis, Kenny Loggins, Willie Nelson, Steve Perry, Lionel Richie, Kenny Rogers, Diana Ross, Paul Simon, Bruce Springsteen, Tina Turner, Stevie Wonder e Dionne Warwick; tutti gli altri parteciparono al coro del ritornello.

La registrazione si svolse con qualche intoppo, ma non grave

Waylon Jennings se ne andò perché riteneva il progetto troppo “nero” e di non appartenere a quel mondo. Sheila E. abbandonò la sala dopo aver cantato nel ritornello, perché capì che era stata invitata solo come “esca” per far partecipare anche Prince, il quale era innamorato di lei. L’artista di Minneapolis comunque non si presentò, nonostante avesse dato la sua parola (è però noto che Prince non si trovasse a suo agio con molta gente attorno). Anche Bob Dylan, abituato a lavorare da solo, non riusciva a cantare in mezzo a tutte quelle persone; dovettero fare uscire tutti, e solo allora il menestrello di Duluth poté incidere la sua parte. Prima delle otto del mattino tutte le registrazioni necessarie erano state fatte.

Il disco fu un successo, e vendette 80 milioni di dollari dell’epoca (oltre 125 milioni rapportati al 2024); il documentario omette di dire che al singolo seguì un album, al quale partecipò anche Prince con il brano “4 the Tears in Your Eyes”. Complessivamente il progetto “We Are the World” riuscì a raccogliere oltre 100 milioni di dollari dell’epoca, tutti devoluti in beneficenza. La pellicola è composta, oltre che dai filmati dell’epoca, anche da nuove interviste ai cantanti che parteciparono al progetto.

Recensione

Il documentario è ben realizzato, tuttavia – nella continua ricerca di rendersi interessante e di mitizzare l’evento – ha il difetto di enfatizzare ogni cosa, anche fatterelli minimi. Ha così tanta importanza che due cantanti se ne siano andati, se tanto avevano già inciso la loro parte? È così fondamentale dire che la bigiotteria di Cindy Lauper facesse rumore, quando è bastato fargliela togliere per non sentirlo più nella registrazione?

Il limite maggiore del film è però dato dalla notorietà del fatto raccontato: ha senso fare un documentario su di una cosa straconosciuta, di cui è già stato detto tutto? Il film aggiunge pochissimo a quanto già si sapesse; a parte il fattore nostalgia, forse vi sono pochi motivi per guardarlo.

La critica italiana

Aldo Grasso sul Corriere della Sera scrive: “Mentre le più importanti star della musica entrano in studio, Lionel Richie appende un cartello su cui scrive a mano una citazione: «Check your ego at the door» (Lasciate l’ego fuori della porta). Per fortuna, l’invito è stato bellamente disatteso perché la parte più interessante del documentario è proprio lo scontro di ego, la differenza di ego, le strategie degli ego.”

Claudio Todesco su Rolling Stone Italia: “Tra le cose belle, i colleghi che improvvisano Day-O per rendere omaggio a Belafonte, i big come fan che si scambiano autografi sugli spartiti, Bob Geldof che ammutolisce la classe di star indisciplinate raccontando quel che ha visto in Etiopia, Michael Jackson che arriva in anticipo e canta da solo, poche frasi che valgono il documentario, Diana Ross che lascia lo studio per ultima e piange perché non vuole che finisca. […] il documentario non spiega come furono impiegati gli 80 milioni raccolti dalla vendita dei dischi, come se il gesto bastasse e avanzasse.”

La critica internazionale

Richard Roeper del Chicago Sun-Times ha dato al film tre stelle su quattro con questo giudizio: “Ripensandoci a distanza di tanti anni, è una specie di miracolo che, nei giorni precedenti agli SMS e alle e-mail, quando dovevi comunicare via fax e con telefonate su rete fissa, così tanti artisti abituati ad essere le più grandi star nella stanza hanno deciso di riunirsi con un preavviso relativamente breve e trovare un modo per registrare uno dei singoli di maggior impatto nella storia della musica.”

Brian Tallerico di RogerEbert.com ha assegnato al film tre stelle su quattro specificando: “I biopic musicali potrebbero essere a corto di energia, ma ‘La notte che ha cambiato il pop’ funziona essendo specifico e illuminante”.

Sul sito aggregatore di recensioni Rotten Tomatoes il 98% delle 44 recensioni della critica è positivo, con una valutazione media di 7,7/10. Il consenso del sito web recita: “Una celebrazione dal ritmo vivace di un momento musicale unico nel suo genere, ‘La notte che ha cambiato il pop’ svela nuove storie ricordando agli spettatori la visione umanitaria che ha reso possibile tutto ciò.”

Colonna sonora

La soundtrack del film ovviamente comprende la canzone “We Are The World”, udibile in quasi tutto il documentario, ma anche altri brani. Nella parte iniziale del film, infatti, molti artisti vengono presentati facendo sentire un loro pezzo. La scaletta della colonna sonora del film è la seguente:

  1. All Night Long (All Night) – (L. Richie) Lionel Richie
  2. Day-O (The Banana Boat Song) – (W. Attaway, I. Burgie) Harry Belafonte
  3. Banja Luka Live In Zurich/ 1961 – (P. Woods) Quincy Jones
  4. Wanna Be Startin’ Something – (M. Jackson) Michael Jackson
  5. Dancing In The Dark – (B. Springsteen) Bruce Springsteen
  6. Born In The U.S.A – (B. Springsteen) Bruce Springsteen
  7. Whenever I Call You Friend – (K. Loggins, M. Manchester) Kenny Loggins
  8. The Heart Of Rock & Roll – (J. Colla, H. Lewis) Huey Lewis & The News
  9. The Glamorous Life – (P. Nelson) Sheila E
  10. Party Animal – (R. Page, J. Ingram, M. Vieha) James Ingram
  11. Theme from “The Dukes of Hazzard” (Good Ol’ Boys) – (W. Jennings) Waylon Jennings
  12. We Are The World – (M. Jackson, L. Richie) USA for Africa

— Onda Musicale

Tags: Michael Jackson, Bruce Springsteen, Lionel Richie
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