Recensioni e Interviste

“La repubblica del bilocale” è il nuovo album di Angelo Romano

Già anticipato dai due singoli “La noia” e “Una canzone“, venerdì 21 giugno 2024 esce su tutte le piattaforme digitali “La repubblica del bilocale“, il nuovo album di Angelo Romano.

Un cantautore,un isolano che non sa nuotare, un cantautore che si muove sul palco come Mick Jagger e un poliglotta che non ha paura di cambiare lingua tra inglese, italiano e siciliano, il tutto mentre vi consegna la sua anima ferita su un piatto con un mezzo passetto di danza. 

Primo album in italiano dopo diversi episodi in inglese e siciliano, “La repubblica del bilocale” nasce dall’urgenza di presentare la sua visione artistica attraverso l’uso della propria lingua madre e dalla coincidenza del suo rientro in Sicilia dopo 15 anni in giro all’estero. Malgrado ciò, rimane pur sempre un album internazionale, composto e registrato in toto tra Berlino e Barcellona e caratterizzato da una vena tanto eterogenea quanto cosmopolita, tra le narrazioni di fantomatici viaggi oceanici di “Vanuatu” (“una canzone d’amore nei tempi del global warming” secondo le parole dell’artista), incontri ravvicinati con un pianoforte in una stazione di Amsterdam alle cinque del mattino di rientro dal concerto dei Rolling Stones (“Galleggia“), camminate alcoliche per Berlino (“Allo zoo“), riflessioni personalistiche come in “Una canzone”, “Kafka” e “Flâneur“, o altre ben più ampie e aspre come “Totum revolutum” (che nasce durante i primi giorni della guerra in Ucraina) o “Elucubrazioni” (critica giocosa alla superficialità del dating online).

Incuriositi dal suo personaggio, poliglotta e itinerante, lo abbiamo intervistato a riguardo, e non potevamo fare scelta migliore.

  1. Se quello che racconti nel tuo ultimo singolo “Una canzone” è uno dei tanti modi che utilizzi per scrivere un brano, quali sono gli altri che invece non racconti?

Salve e grazie per l’intervista! Rispondendo alla domanda, non credo che ci sia un modo predefinito per scrivere un pezzo. Ogni canzone ha una sua genesi originale che inizia in modo distinto e “suo”. Mi è capitato di ritrovarmi una canzone addosso nella testa mentre camminavo in bicicletta, mentre suonicchiavo senza pretese uno strumento oppure mentre mi interfacciavo con una persona originale o una storia degna di essere vissuta e raccontata. Tutto è arte, tutto è musica, e la capacità dell’artista è quella di trasferire il vissuto e il quotidiano in una canzone, un dipinto o via dicendo; il modo è personale come l’artista stesso, alla fine.

  • In che modo pensi che il tuo essere poliglotta possa aver cambiato e influenzato il tuo modo di scrivere? E l’italiano è una scelta o una necessità?

Sinceramente non so se ha davvero influenzato il mio modo di scrivere, di sicuro mi ha portato a un pensiero più critico e attento nella scelta delle parole e nel modo di raccontare una storia in base alla lingua scelta. Poi, ovvio, ogni lingua ha le sue pecularità: il siciliano, ad esempio, è una lingua ruvida e molto poco avvezza al sussurrato, mentre l’inglese porta con sé l’idea di “lingua franca” e l’italiano è fondamentalmente la più flessibile e musicale di tutte. Poi, come Battiato ci ha insegnato, è anche bello mischiare lingue e modellare i pezzi al di là dei testi, per rendere le parole una musica a loro volta.

  • I brani che costituiscono il tuo nuovo album, sono legati tematicamente tra di loro?

Sono dodici canzoni che parlano di me, anche se non necessariamente attraverso me. Non è un concept album, non hanno un tema in comune, sono state scritte e registrate a volte in periodi diversi (anche se tutte tra Berlino e Barcellona) ma tutte nascono dalla visione dell’artista come narratore di se stessi, storie di cui è stato osservatore, la società e il mondo di cui fa parte; il tutto da una posizione originale quale è quella di chi ha la capacità di raccontare storie attraverso la poesia e la musica.

  • E approfondendo la tua biografia. Che cosa ti ha portato a partire e ad allontanarti dalla Sicilia, la primissima volta che sei partito?

Sono andato via a diciott’anni per andare a studiare a Pisa all’università. All’epoca era un passaggio obbligato per un siciliano medio che sognava di ambire a qualcosa nella vita; oggi, ahimè, lo è ancora di più se possibile. Mi considero fortunato di aver avuto l’opportunità di tornare in Sicilia, cosa non affatto scontata per tutti i miei conterranei che vivono fuori dall’isola.

  • Quali pensi possano essere i limiti del pubblicare musica in estate?

Gli unici limiti che mi verrebbe da dire sono quelli inerenti al tipo di musica che l’ascoltatore estivo, tendenzialmente più distratto, si ritrova cercando, nonché all’atteggiamento dei vari media che, da giugno a settembre, sono ossessionati dall’idea di trovare il famigerato “tormentone” con cui fare ballare e cantare le masse. Personalmente lo ritengo un costrutto sociale più che una vera necessità, la musica buona è come la pizza: se è buona, è buona tutto l’anno!

— Onda Musicale

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