Il bluesè tra le meraviglie musicali del 900. Infatti, all’alba dello scorso secolo in Occidente, una delle novità musicali più importanti è stata proprio l’apparizione del linguaggio jazz-blues di matrice afroamericana, che si è affiancato e sovrapposto a quello classico-europeo.
Questo ramo lo si conosce già, e da allora non ha avuto novità fondamentali. Qui, invece, si vogliono rammentare le più importanti radici e ramificazioni dell’albero dei maestri chitarristi che sin dall’inizio dell’elettrificazione fino ai nostri tempi, pur essendo quasi sconosciuti ai più, hanno amalgamato creativamente due cardinali linguaggi: quello jazzy (sofisticato e verboso) e quello bluesy (stringato e incisivo).
Charlie Christian (sul finire degli anni ’30) fu il primo che muovendosi dalla formidabile, geniale e omnicomprensiva lezione di Django Reinhardt la mescola col carattere e lessico bluesy, fondando il linguaggio basilare per i chitarristi jazz dell’avvenire… Christian peraltro si ispira ai fiatisti, a quelli che “cantano” di più, come Lester Young: suona meno note rispetto al geniale Reinhardt, tralascia molte delle sue soluzioni, sintetizzando quel che la chitarra allora col suono amplificato permetteva in quanto ad articolazione e sostegno sonico, in un idioma ricco e marcato allo stesso tempo.
L’ultimo degno di nota in ordine di apparizione è Scott Henderson, che tra gli Ottanta e i Novanta s’impose come un chitarrista che dopo esser partito da un moderno Jazz-rock, è approdato a un evoluto fusion/rock-blues, sorta di altra faccia della stessa medaglia di Carlton/Ford: meno levigata ed elegante nella forma espressiva, seppur molto sofisticata nei contenuti. Peraltro è l’unico tra questi che usi la leva vibrato.
Può giovare un’annotazione di carattere “grammaticale”: l’invalso Blues (da quello di Robert Johnson, Muddy Waters ecc. a quello di BB. King, Clapton ecc.) si avvale di poche e cicliche armonie accordali (3-4 accordi che si ripetono), quasi sempre di carattere maggiore e modulanti, cioè nella convenzionale teoria non appartenenti alla medesima tonalità; dunque un pezzo blues a rigore è multi scalare. Tuttavia le melodie e le conseguenti improvvisazioni, invece di essere strutturalmente sinuose e complesse, sono semplici e scolpite. Infatti, quasi sempre è usata solo una scala, peraltro nemmeno eptatonica (7 note), ma pentatonica (5), a volte con l’aggiunta di una nota (scala blues), massimo due, di passaggio.
Quel che Christian e Montgomery hanno fatto è stato condensare la semplice cantabilità bluesy con la ricchissima lezione lessicale jazz, multi scalare/arpeggi e quant’altro estendendo e incrementando quel che la pentatonica minore (e blues) fa con l’accordo matrice con tutti gli altri della sequenza e in modo differente; non si sono limitati a trasportare quelle alterazioni, ma ne hanno intessute di altre, molto raffinate, relazionandole alla matrice armonica.
* Seppur attivi tutti e due sin dai primi anni Settanta, Carlton s’imporrà prima a fronte di una maturità conseguita subito (pure perché di qualche anno più anziano), poi emergerà maggiormente Ford.