Quando nel 1984 uscì The Smiths, l’omonimo album di debutto della band di Manchester, molti non avevano idea di quanto questa band, guidata da Morrissey e Johnny Marr, avrebbe rivoluzionato la musica britannica.
In un’epoca dominata dai ritmi sintetici e dall’estetica patinata del pop anni Ottanta, gli Smiths offrono un sound grezzo, emotivo, che rimanda al punk e alla tradizione rock britannica degli anni Sessanta, ma con una sensibilità tutta nuova. E a essere altrettanto nuovo è il protagonista che svela al mondo le sue fragilità e le sue ossessioni in un modo diretto e senza filtri.
The Smiths è un album che scardina l’idea del frontman come supereroe invincibile. Morrissey, con quella voce monotona e ipnotica, sembra quasi parlarti da un’angusta cameretta, trasmettendo malinconia, ironia e un certo disprezzo per le convenzioni sociali. Johnny Marr, al suo fianco, realizza trame di chitarra così ricche e malinconiche da sembrare intrappolate in una perenne giornata piovosa.
Il risultato? Un disco che, pur con qualche difetto tecnico dovuto alla produzione di John Porter, divenne il manifesto di una generazione che si sentiva ai margini
L’apertura è affidata a Reel Around the Fountain, una ballata di dieci minuti ridotta a cinque, ma capace di scuotere l’ascoltatore con testi criptici che toccano temi ambigui e scomodi. Per l’epoca, parlare di “abusi emotivi” e desideri repressi in modo così esplicito è una sfida alle norme della morale, e il fatto che tutto ciò provenga da una band di giovanissimi contribuisce a dare un’aria quasi scandalosa all’album.
Morrissey è maestro nel prendere il disagio personale e farne poesia, e ci riesce anche in Pretty Girls Make Graves, un brano in cui il desiderio si scontra con il disgusto. “C’è un suicidio romantico in ogni parola che canta,” avrebbe detto qualcuno anni dopo, e l’album ne è la prova. Il cinismo, l’autoironia, la disperazione e, certo, anche l’ossessione per la bellezza della sofferenza, sono tutti aspetti che Morrissey sembra voler esplorare in modo spudorato, anche se con una sottile ironia.
Se Morrissey è l’anima tormentata della band, Johnny Marr ne è il cuore ritmico. Le sue chitarre sono qualcosa di unico: anziché limitarsi a una semplice base armonica, creano ambienti sonori complessi che avvolgono la voce e danno ai testi un carattere cinematografico
Prendiamo This Charming Man: le sue note di chitarra giocose e vibranti sembrano raccontare un mondo parallelo in cui la nostalgia si fonde con la gioia, mentre il testo parla di un giovane attratto da un uomo più maturo, rompendo un altro tabù.
Marr costruisce atmosfere inconfondibili anche in Still Ill, un brano dove il ritmo incalzante e le pennate serrate creano un contrasto con il testo alienato e meditativo. È un pezzo che parla di una “malattia dell’anima“, di una disillusione troppo profonda per trovare conforto nel semplice piacere quotidiano. Marr usa la chitarra come uno strumento di riflessione, capace di portare alla luce la bellezza nascosta nelle sfumature più cupe.
Uno dei motivi per cui The Smiths ha avuto un impatto così duraturo è la capacità della band di dare voce a sentimenti universali ma raramente discussi apertamente. Morrissey canta l’alienazione, l’emarginazione e il disagio adolescenziale senza abbellimenti o giustificazioni
In What Difference Does It Make?, ad esempio, emerge un nichilismo disperato, in cui l’amarezza per un amore non corrisposto diventa quasi una condanna esistenziale. “So, what difference does it make?” è il grido di chi ha deciso di accettare la propria insignificanza ma, allo stesso tempo, non riesce a farsene una ragione.
In Suffer Little Children, invece, Morrissey affronta un argomento scottante: i Moors Murders. I Moors Murders, letteralmente “omicidi delle brughiere”, sono una serie di delitti che sconvolsero l’intera Gran Bretagna negli anni Sessanta, compiuti dalla coppia di serial killer Ian Brady e Myra Hindley tra il luglio 1963 e l’ottobre 1965, nella zona della Greater Manchester, in Inghilterra. Le vittime furono cinque, bambini e adolescenti di età compresa dai 10 ai 17 anni, di cui quattro furono anche violentati.
Con questo brano, Morrissey si lancia in una rappresentazione struggente e rispettosa delle vittime, raccontando il dolore senza voyeurismo, ma con una distanza rispettosa e una melanconia che colpisce
Una delle critiche mosse all’album fu la produzione di John Porter, che non riusce a catturare del tutto l’energia live della band. Le tracce a volte suonano eccessivamente pulite, quasi artificiose, e questo limita un po’ l’impatto emotivo. Tuttavia, c’è chi ritiene che proprio questa imperfezione sia una qualità, conferendo al disco un’aria “domestica” DIY che si sposa bene con la vulnerabilità dei testi.
The Smiths non solo diede vita a una nuova ondata di band alternative che cercavano autenticità e sostanza, ma definì anche il personaggio di Morrissey come un’icona di culto
La sua figura, sospesa tra timidezza e arroganza, continua a influenzare artisti di ogni genere. Da allora, molte band si sono ispirate agli Smiths, dal britpop di Oasis e Blur fino a gruppi indie contemporanei come Arctic Monkeys e The National. Ma pochi hanno saputo catturare quel miscuglio di intimità e desolazione come fecero gli Smiths con questo debutto.
The Smiths è un disco che, ascoltato oggi, suona ancora attuale, un’opera che ci ricorda che la sofferenza, la malinconia e il desiderio di qualcosa di più profondo sono emozioni che non invecchiano mai
Morrissey e Marr creano un mondo in cui non c’è bisogno di maschere, un rifugio per tutti coloro che si sono sempre sentiti un po’ fuori posto. E forse è proprio questo il segreto dell’album, quella tristezza che si fa comfort zone, una melanconia che fa male ma da cui è difficile scuotersi.