Parlando di album che compiono quarant’anni nel 2025, il 25 febbraio 1985 segna una data importante per la musica pop. Quel giorno, i Tears for Fears pubblicano Songs from the Big Chair, il loro secondo album in studio.
Quest’opera, che celebra il suo quarantesimo anniversario, non solo consolida la posizione dei Tears for Fears sulla scena musicale internazionale, ma ne definisce anche l’identità artistica e la capacità di tradurre temi complessi in canzoni di grande impatto.
I Tears for Fears, nascono dall’incontro tra Roland Orzabal e Curt Smith nei sobborghi di Bath. I due si conoscono suonando nei Graduate, band New Wave che ottiene qualche piccola soddisfazione. Il progetto di Roland e Curt è però un altro, quello di essere un duo che si circonda di altri musicisti. Nascono così i The Headaches, che quasi subito diventano i Tears for Fears.
L’album di debutto The Hurting è un lavoro intimista influenzato dalla teoria del grido primordiale di Arthur Janov. Col singolo Mad World arriva subito il successo. Non si tratta di un fuoco di paglia, e infatti quel singolo è assurto nel tempo a standard, coverizzato un po’ in tutte le salse.
Con Songs from the Big Chair, il duo decide però di esplorare nuovi orizzonti musicali e tematici, presentando un progetto più maturo e impegnato. Il titolo del disco trae ispirazione dal film televisivo Sybil del 1976, che narra la storia di una donna con personalità multiple che trova conforto sulla sedia della sua psicologa, definita appunto grande sedia.
A spingere i Tears for Fears verso un maggiore impegno è anche l’insofferenza verso l’era reazionaria del mondo anglosassone. Negli Stati Uniti c’è al potere Ronald Reagan, in Gran Bretagna Margareth Tatcher. Insomma, i due ragazzi hanno di che scrivere.
L’album si rivela un successo commerciale straordinario, raggiungendo il primo posto nelle classifiche statunitensi e il secondo in quelle britanniche. Con brani come Shout, Everybody Wants to Rule the World, Head Over Heels e Mothers Talk, la band ottiene una fama globale che supera ogni aspettativa.
Rispetto a The Hurting, Songs from the Big Chair presenta una maggiore complessità compositiva e una notevole eterogeneità stilistica. I brani si muovono tra diversi generi musicali, dal jazz al rock, dal soul alla musica ambient, creando un equilibrio tra orecchiabilità e profondità emotiva.
L’album viene costruito per accompagnare l’ascoltatore in un viaggio che inizia con pezzi energici e ritmati per concludersi con atmosfere più contemplative e solenni. Il disco è registrato nello studio The Wool Hall ed è molto influenzato dal progressive, in particolare quello di Robert Wyatt.
Songs from the Big Chair esce il 25 febbraio del 1985. Il lavoro sulla grafica è piuttosto minimale, la copertina è una semplice foto in bianco e nero di Smith e Orzabal.
Il sophomore dei Tears for Fears si apre con quello che diventerà un classico cavallo di battaglia, Shout. Il brano è un inno alla liberazione emotiva. L’urlo del titolo rappresenta un invito a esprimere rabbia e frustrazione attraverso un ritornello potente e una struttura musicale incisiva che lo rendono uno dei pezzi più iconici della band.
L’incedere poderoso e inesorabile, il crescendo e le voci riconoscibilissime del duo sono i marchi di fabbrica che rendono Shout un instant classic.
Si prosegue con The Working Hour, un brano che mescola jazz e pop con eleganza, caratterizzato dall’uso prominente del sassofono e delle tastiere. La canzone affronta tematiche esistenziali, accompagnate da una melodia avvolgente e riflessiva.
È subito il momento di un altro pezzo da novanta della band: Everybody Wants to Rule the World. Si tratta di uno dei brani più noti degli anni Ottanta, caratterizzato da un ritmo incalzante e da un riff di chitarra inconfondibile. La canzone esplora il desiderio di potere e responsabilità, mantenendo un’atmosfera accessibile e coinvolgente. La dimostrazione che si possono dire cose importanti anche con una canzone pop ben scritta e orecchiabile.
Mothers Talk presenta un sound più aggressivo e sperimentale rispetto ad altri brani dell’album. Nonostante sia meno immediato, rappresenta un tassello importante nell’evoluzione stilistica del duo.
Il pezzo seguente è I Believe, una ballata minimalista e delicata, che mette in evidenza la capacità della band di creare composizioni intime e toccanti. È un momento di pausa emotiva nell’album, arricchito da testi poetici. Un pezzo che segna una cesura col precedente e dimostra come i Tears for Fears siano sempre pronti alla trasformazione.
Broken è invece un breve intermezzo strumentale che funge da ponte tra le tracce e prepara l’ascoltatore al ritorno di Head Over Heels. Il pezzo è un perfetto esempio di pop sofisticato, una traccia che combina melodia e arrangiamenti dinamici per creare uno dei momenti più memorabili dell’album. La ripresa finale di Broken aggiunge una sorta di senso di circolarità al passaggio.
Listen chiude l’album con una composizione eterea e meditativa, che si distingue per la sua atmosfera mistica. Le voci sovrapposte e gli arrangiamenti minimalisti creano un finale suggestivo e profondamente evocativo.
Songs from the Big Chair rappresenta il punto più alto della carriera dei Tears for Fears. Grazie alla sua capacità di coniugare emozione e tecnica, questo album rimane un riferimento fondamentale nella storia della musica pop. Le sue canzoni continuano a risuonare con forza, dimostrando come un lavoro nato in un periodo di grande trasformazione personale e artistica possa conservare la sua rilevanza e bellezza anche a distanza di quarant’anni.
A ogni vetta segue inevitabilmente un declino.
Dopo una serie di polemiche con Bob Geldof per la mancata partecipazione al Live Aid, per ascoltare un nuovo disco dei Tears for Fears devono passare quattro anni. The Seeds Of Love alza ancora il tiro, con una produzione molto dispendiosa e influenze ancora più varie. Il disco è di nuovo un successo, ma inferiore al precedente.
Non solo, come spesso accade alle band, i contrasti interni prendono il sopravvento, uniti anche a problemi personali. Orzabal è andato in fissa con produzioni sempre più – troppo – complesse. Smith manifesta insofferenza verso la forma canzone pop. Il risultato è lo scioglimento.
I Tears for Fears torneranno insieme a più riprese, la prima volta oltre dieci anni dopo lo scioglimento. La magia, però, è ormai perduta, com’è ovvio che sia. Rimangono i loro primi tre album, veri scrigni per ogni cultore del pop di qualità.