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Question Mark di Neal Morse: il tabernacolo del Neo Progressive

Neal Morse

Quando si parla di progressive rock ci si riferisce spesso al decennio d’oro della musica a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Settanta. Formazioni come Genesis, Yes, King Crimson, Jethro Tull ne sono stati se non i padri fondatori, sicuramente tra i maggiori porta bandiera.

Nel panorama italiano imperava un’ondata di creatività come mai prima di allora, canalizzata in contaminazioni provenienti da jazz, classica e sinfonica (ascoltare Concerto grosso dei New Trolls e Contaminazioni del Rovescio della Medaglia per averne una prova concreta) e in songwriting spesso incentrati su temi fantasy (Il giardino del mago del Banco del mutuo Soccorso ne è un esempio).

Oltreoceano, il continente americano provava a rispondere al fuoco musicale europeo, ma a parte i leggendari Kansas, gli Styx e i canadesi Rush, quello che sarebbe diventato l’”ameriprog” tardava a decollare.

Il neoprogressive come rinascita

Il vero propulsore per il movimento americano, fu invece la decadenza del prog nel Vecchio Continente, lasciando spiccare il volo prima all progressive metal (Dream Theater e Symphony X tra gli altri) e successivamente a quello che oggi è conosciuto come neoprogressive. Ed è proprio da qui che ripartiamo.

Uno dei maggiori esponenti della nuova ondata di progressive rock è sicuramente il polistrumentista americano Neal Morse (Van Nuys, 2 agosto 1960). Nasce principalmente come tastierista e nei primi anni Novanta fonda insieme al fratello Alan il gruppo Spock’s Beard, poi abbandonato nel 2002 dopo aver intrapreso un percorso di fede profondamente intimo.

Il richiamo di Dio fu così forte che il risultato di questo percorso fu proprio “?” di Neal Morse, che vide la luce nel 2005

L’album rappresenta dunque un concept e sin dalla prima traccia The Temple of the living God, il tema centrale è quello del tabernacolo. I musicisti, neanche a dirlo, sono di livello altissimo: Randy George al basso, Mike Portnoy (Dream Theater, Transatlantic, Flying Colors) alla batteria, Jordan Rudess (Dream Theater) alle tastiere, Roine Stolt (Flower kings) e il leggendario Steve Hackett dei Genesis alle chitarre.

Già guardando i nomi la voglia di ascoltarlo viene e una volta fatto il risultato è garantito

Il brano di apertura si articola in 3 parti distinte: l’intro scandito da pianoforte e voce con un accompagnamento leggero di chitarra acustica ed elettrica che fanno da contraltare alla cavalcata in perfetto stile prog anni 70 dove il basso la fa da padrone, per poi tornare a momenti di tempi regolari per unirsi alla successiva Another World tramite un outro solo di chitarra.

The Outsider regala momenti di relax e intimità prima di riprendere tempi in 9/8 su Sweet elation, il tutto impreziosito da melodie mai banali e da virtuosismi fini a se stessi.

La coppia In the fire + Solid as the sun richiamano momenti di hard rock anni ‘70 di stampo Hendrixiano contaminato da cori degni della migliore tradizione Gospel sudamericana scanditi da cavalcate in 12/8 culminanti in riff potenti che strizzano l’occhio ai migliori lavori di stampo Dream Theater.

La seconda parte del platter si apre con The Glory of the Lord che ci accompagna lentamente a 2 autentiche perle: Outside the looking glass e 12, per quanto riguarda il sottoscritto, i punti più alti dell’album.

Se la prima rappresenta una ballad piuttosto classica in 6/8 con melodie meravigliosamente di stampo anni Ottanta, con un crescendo graduale e maestoso, il secondo episodio riprende il tema iniziale di The temple in the living God arricchendolo con contaminazioni jazz e fusion e impreziosite da episodi di scale minori melodiche di stampo arabeggiante.

Entrance è una gemma difficile da commentare che miscela sapientemente la morbidezza del pianoforte di Neal Morse nelle strofe e la potenza del suo refrain difficile da dimenticare.

“For the unclean ones
To come into the gate
To the weakest ones
I will give my strength]And the lowest ones,
They will be brought higher
Let the unclean ones
Be washed in the fire”

L’album si conclude con due brani in “forma canzone”, Inside his presence e The temple of the living God reprise, piuttosto lontane dalle suite tipiche del prog, ma che rendono epica (semmai ce ne fosse ulteriore conferma) la coda di un album poco conosciuto, ma di pregevole fattura, dagli arrangiamenti, al songwriting, alle melodie contrappuntate da soli e parti corali uniche nel loro genere e con pochi eguali nel panorama moderno del movimento progressive.

  • Voto: 5/5
  • Genere: Neoprogressive
  • Etichetta: Inside Out Music
  • Anno di pubblicazione: 2005

— Onda Musicale

Tags: Genesis, Yes, Steve Hackett, Jethro Tull, Jordan Rudess, King Crimson
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