Se il 1967 era stato una girandola di colori sgargianti e suoni così nuovi e spettacolari da lasciare ancor oggi a bocca aperta per la loro modernità, il 1968 non fu da meno.
Fu meno carnevalesco e molto più sobrio (quasi si sentisse già l’odore degli anni Settanta), ma altrettanto sconvolgente. “You say you want a Revolution”, cantarono i Beatles nell’omonimo singolo di quell’anno. Chiunque fosse recettivo delle novità artistiche di quei mesi, così tumultuosi anche dal punto di vista politico – si pensi ai carri armati sovietici a Praga – non ne restò deluso. La sequenza dei capolavori che in questo 2018 toccheranno la vetta d’oro del cinquantesimo anniversario esordisce energicamente con la rude potenza di Born To Be Wild, vessillo degli Steppenwolf.
L’album con cui irrompono sulla scena musicale vede psichedelia barocca, rock’n’roll e rock puro coesistere in chiave elettrica. Pochi mesi dopo è il turno dei Monkees, che verso fine aprile pubblicano – a meno di due anni dal loro esordio – il loro quinto album, The Byrds, The Bees and The Monkees: non possiede di certo lo spessore di un White Album [The Beatles] oppure di un Village Green [The Kinks], ma è comunque degno di considerazione per alcune pregevoli composizioni al suo interno, soprattutto Tapioca Tundra (scritta e cantata da Michael Nesmith) e Daydream Believer (cantata da Davy Jones).
Con questo LP i Monkees dimostrano di possedere più spessore rispetto alla loro genesi di band creata a tavolino per l’omonima serie TV. Mi si perdonerà il fatto che la mia conoscenza musicale presenta delle lacune, ma la brevità di un articolo non consente ampie divagazioni.
Particolarmente calda si rivela l’estate, quando a luglio esce Wheels Of Fire, doppio album dei Cream registrato sia in studio che al Fillmore East, eccezionalmente solido nell’abilità compositiva ed esecutiva dei suoi brani.
Il magnum opus del trio di fenomeni Bruce, Baker e Clapton è il loro canto del cigno, dato che a fine anno con il discusso concerto alla Royal Albert Hall di Londra dichiareranno terminata la loro avventura.
Gli ultimi tre mesi del 1968 mettono a dura prova il portafoglio dell’appassionato, in difficoltà con il Poker Jimi Hendrix Experience – Beatles – Kinks – Rolling Stones, rispettivamente con Electric Ladyland, White Album, Village Green Preservation Society e Beggars Banquet.
Mi soffermo brevemente sui due LP centrali, tra l’altro usciti lo stesso 22 novembre. Radicalmente diversi, poiché l’incoerenza del primo è in realtà un meraviglioso repertorio di stili (dal blues elettrico al vaudeville anni ’30), mentre il secondo è la nostalgica rievocazione sonora di un’Inghilterra d’altri tempi (i Village Green, luoghi di ritrovo della popolazione delle cittadine rurali, e gli Steam Powered Trains, che in quel particolarmente felice decennio stavano scomparendo del tutto dalla rete ferroviaria britannica).
Massimo Bonomo – Onda Musicale