Phil Collins, all’anagrafe Philip David Charles Collins nato a Londra il 30 gennaio del 1951, è conosciuto in tutto il mondo per la sua militanza nei Genesis, nei Brand X e soprattutto per la sua lunga carriera solista costellata di successi.
Cominciata nel 1981 con l’album “Face Value”, contenente il singolo “In the Air Tonight”, la carriera di Collins ha visto anche collaborazioni con stimati colleghi quali Robert Plant, Eric Clapton, Paul McCartney, Adam Ant, Anni-Frid Lyngstad degli ABBA e tanti altri ancora. Da ricordare che Phil Collins ha anche avuto una piccola parentesi cinematografica (link).
Dopo anni di onorata carriera e, purtroppo, di problemi di salute, Phil Collins non sembra intenzionato a fermarsi ed il suo nuovo cofanetto che uscirà a breve, “Plays Well With Others”, ne è la dimostrazione.
Vi riportiamo dunque la recente intervista che Collins ha rilasciato a Rolling Stone:
Di chi è stata l’idea di “Plays Well With Others”?
“Non ricordo. È stata tra le carte per un paio di anni. Penso che, probabilmente, nel periodo delle ripubblicazioni qualcuno abbia avuto l’idea perché sembrava una cosa interessante da provare a fare. È un campo minato a causa di tutte le autorizzazioni. Ho messo insieme le canzoni che volevo avere sul disco e poi l’ho lasciato agli avvocati.”
Ci sono delle canzoni che non avresti potuto ottenere perché la questione dei diritti è diventata troppo complicata?
“Non che io sappia. L’unico che volevo mettere era un brano di Steve Winwood, ma lui stava per fare un album dal vivo e ha detto che preferiva tenerla per sé. Sarebbe stato nel quarto CD tratto dal set di Party at the Palace. Era un buon mucchio dal quale scegliere altrimenti si trattava solo di scorrere attraverso la mia playlist di cose che ho fatto nel corso degli anni. La maggior parte di queste, credo, sono state incluse. Non riesco a pensare a nulla che sia stato lasciato fuori.”
Le hai messe in ordine da solo?
“È abbastanza cronologico. Sembrava il modo migliore di procedere. Non l’ho fatto davvero da solo. Ho continuato a reimmergermi per dare le mie opinioni, ma la maggior parte è cronologica. Alcune delle canzoni saranno meno interessanti per le persone, le cose sul primo CD suoneranno un po’ più datate, ma è un set completo.”
Mi piacerebbe partire con il tuo gruppo pop pre – Genesis, i Flaming Youth. Non molte persone hanno sentito quella musica prima.
“No. Buona fortuna a loro (ride). Alcuni di questi pezzi sono piuttosto datati, ma ho dovuto includere le canzoni che suonavano datate al pari delle altre. C’erano alcune cose degli anni ’70 che ricordo di aver fatto come un album di Colin Scot e dei lavori con John Anthony, il produttore dei Genesis nei primi tempi, che mi ha ingaggiato per fare molte cose del genere. Queste probabilmente risaltano di meno, ma per me i CD due, tre e quattro si reggono in piedi meglio del CD uno. Ma è tutto lì. Se non ti piacciono saltali.”
Ci sono un sacco di canzoni con Brian Eno. L’hai incontrato durante le sessioni di “The Lamb Lies Down on Broadway”?
“Sì, era al piano di sopra che registrava “Taking Tiger Mountain” e noi di sotto a fare “The Lamb”. Peter Gabriel e gli altri ragazzi erano dei grandi fan dei Roxy Music. Non mi contavo tra i fan dei Roxy Music, ma quando si è trattato di chiamarlo di sotto per mettere alcune parole attraverso il suo synth sono stato mandato indietro come pagamento per suonare in un brano del suo album. Immagino che siamo andati molto d’accordo perché, da allora, ho ricevuto molte chiamate da lui per fare “Another Green World”, “Before and After Science” e “Music for Films”. Erano delle grandi sessioni da fare, molto istruttive su un modo nuovo e diverso di lavorare. Molto lontano dai Genesis.”
Come sei finito su “Pablo Picasso” di John Cale?
“Ancora non riesco a ricordare come sia successo. Ricordo lo studio. Ricordo il giorno. Eravamo io ed il chitarrista Chris Spedding e forse Brian Rogers al basso, non riesco a ricordare, ma sono stato chiamato per suonare in quell’album. È stato interessante perché lui era uno di quegli artisti che faceva le voci allo stesso tempo della traccia per poi mettere le mani sulle cuffie ed urlare nel microfono. Era interessante. Non l’ho più visto da allora. È stata l’unica volta in cui ho lavorato con lui.”
Quanto chiaramente ricordi di aver creato il suono della batteria su “Intruder” per Peter Gabriel?
“Come se fosse ieri. Era il periodo in cui Peter non aveva davvero una band perché non poteva permettersi una band americana a tempo pieno. Non sapeva cosa fare e stava attraversando un divorzio. Penso di aver fatto la maggior parte delle mie demo per “Face Value”e poi gli ho detto “se ti serve un batterista amico, sono in giro, sono libero”. Ha accettato la mia offerta ed io sono andato nella sua casa a Bath assieme ad una coppia di altre persone. Il bassista John Giblin era uno e Jo Partridge era l’altro. Praticamente abbiamo vissuto lì per mesi, suonato ogni giorno e lo abbiamo aiutato a preparare qualcuna delle canzoni che sarebbero finite sul suo terzo album. Steve Lillywhite non era convinto di me credo. Voleva farmi un’audizione. Ad ogni modo è successo in una sala prove vicino al London Bridge. Mi sono presentato nella sua casa di Londra, Shepherd’s Bush, ed abbiamo cominciato a provare alcune delle canzoni sulle quali avevamo lavorato a Bath. La prima cosa che è successa quando sono arrivato è stato sentire Peter dire “metti via i piatti. Non voglio alcun tipo di metallo sul disco”. Ho pensato che fosse un po’ testardo, ma è il suo album. Abbiamo iniziato a mettere i tom tom dove avrebbero dovuto esserci i piatti ed ho cominciato a suonare la batteria. L’ingegnere Hugh Padgham ha poi cominciato a ricevere un suono. Ho chiesto a Hue, come facevo di solito quando lavoravo con un ingegnere del suono, di farmi sentire cosa stavano facendo in cuffia. Ho ascoltato quel suono ed ho cominciato a suonare con il suono che stavo ascoltando e così ho iniziato a suonare come John Bonham. E Peter ha detto “che cos’è quella cosa che stai suonando?” ed io gli ho risposto “sto solo suonando con il suono”. E lui ha detto “mi piace. Dammi quello per dieci minuti”. Così ho fatto e alla fine gli ho chiesto “che cosa farai con questo?”e lui mi ha risposto “non lo so ancora”perciò gli ho chiesto “posso averne una copia?” perché sentivo che era in parte anche mio. Ne ho presa una copia e poi quando ho scoperto che avrebbe adattato una delle sue canzoni per inserirci la parte di batteria gli ho detto “posso essere nei crediti almeno? Se non posso usarla mi piacerebbe essere nei crediti”. Lui acconsentì e fu così che cominciò la grande amicizia con Hugh Padgham. Siamo partiti da lì per poi fare i miei dischi e quelli dei Genesis. Il resto è storia sonora.”
È incredibile che tu abbia trovato il tempo negli anni ottanta per fare tutte queste sessioni esterne quando andavi avanti e indietro tra i Genesis e la tua carriera da solista, suonando in un assurdo numero di concerti per tutto il periodo. Come hai avuto il tempo?
“Non lo so. Ho avuto una moglie paziente credo. Era una di quelle cose in cui, e questo lo menziono nelle note di copertina, era come se fossi Mr. Incredible sulla strada per il suo matrimonio. Vede qualcosa che sta accadendo è pensa “posso farlo. Ho tempo per quello”. Molte erano solo grandi opportunità per suonare, questo è vero. Ovviamente ci sono solo 24 ore nel mio giorno e se qualcuno mi chiama e mi chiede se ho del tempo a disposizione io lo faccio.”
Sei stato tagliato fuori dal famoso album di George Harrison “All Things Must Pass” quindi devi essere stato felice quando Paul McCartney ti ha chiamato per suonare nel suo “Press to Play”. Finalmente sei riuscito a suonare in un disco di un Beatle.
“Sì, Hugh Padgham era l’ingegnere del suono su quel disco. Credo che Paul volesse usare persone differenti. Ho ricevuto la chiamata, ho portato la mia batteria ed abbiamo fatto questa canzone, che non è una delle sue migliori, ma Pete Townshend lì suonava la chitarra. È stato grandioso perché Pete sorrideva mentre suonava e quindi sai che stai facendo qualcosa di giusto. C’era nche Wix Wickens, che ora è il tastierista nel gruppo di Paul McCartney, in quella sessione. È stato un giorno interessante anche perché Linda McCartney era lì ed ha scattato delle foto. Ricordo di aver ricevuto un bellissimo album fotografico da lei dopo il Live Aid. Ho documentato accuratamente sia questo che la faccenda con George Harrison nel mio libro.”
Come sta andando il tour? So che sei stato in Sud America qualche mese fa.
“L’anno scorso abbiamo fatto il tour in Europa e poi in Sud America. Faremo il tour americano ad ottobre, solo tra poche settimane, e dovremmo fare l’Australia all’inizio del prossimo anno. Scelgo solo tre settimane alla volta, devo dire che è molto divertente e non pensavo che l’avrei fatto di nuovo. C’è anche mio figlio Nicholas alla batteria, questo va detto, ed è stato completamente accettato dai musicisti più esperti come Leland Sklar (leggi qui la nostra intervista) e gli altri. Tutti lo accettano e lo trattano come un loro pari. Sono stati tutti molto orgogliosi e di sostegno. Tutto è andato secondo i piani. Fino a che possiamo pensare ad un posto dove andare e prendere qualche pausa continueremo a farlo.”
È stato un problema fare i primi spettacoli seduto per tutta la sera? Ti preoccupavi che avrebbe cambiato la dinamica del concerto?
“Sì, l’ho fatto. Ai vecchi tempi correvo in giro come un pazzo perché mi preoccupavo di quello che si aspettavano le persone. A dire il vero c’era un critico inglese che ha sottolineato come via sia una sorta di “invecchiare con grazia” in questo. Vado sul palco, rimango seduto per tutta la sera e la band finisce il lavoro in termini di energia. Significa che le persone sono concentrate sulla musica, e lo sono anch’io, quindi fino ad ora non è stato affatto un problema. È stato molto positivo, semmai. È un po’ diverso da quello che faccio di solito, ma per me è fisicamente impossibile stare in piedi due ore e mezzo senza sentire del dolore. Comunque è andato tutto bene.”
Ho visto dei bei video con te che canti “You Know What I Mean” con Nick. Che cosa ti ha spinto a rimetterla nello show?
“La facevo quando ho iniziato la carriera solista. È un bel momento durante il concerto dove le persone rispondono a quel tipo di sentimento. In Sud America abbiamo fatto un set lungo perché ci sono stati degli stadi nei quali non l’abbiamo fatta, ma la faremo anche in America. È un bel momento anche perché mostra un po’ più in profondità al pari della batteria.”
Mi piace anche quando fai “Can’t Turn Back the Yeart”. Come mai l’hai riportata?
“È una delle mie canzoni preferite. In effetti non abbiamo fatto neanche questa in Sud America, ma la porteremo in America. Credo che sia perfetta per un’arena. Mostra ancora cosa Nick sia in grado di fare perché è una parte di drum machine e non cambia in realtà. Lui però ha quel tipo di disciplina che lo rende in grado di suonare come se fosse una macchina umana. So che non sembra molto eccitante, ma è una di quelle cose che non cambiano. Ci deve essere il tempo giusto e tutta una serie di sottigliezze che lui afferra e sa far funzionare. Sono molto fortunato ad avere lui che suona la batteria. Quando la suona sembra molto me. Lui direbbe che c’è un sacco di Chad Smith e John Bonham in lui, ma c’è anche l’atteggiamento che ha sempre avuto. Lui porta il sound all’infuori della batteria ed ognuno nella band è sempre sorpreso. Si guardano indietro e suona come se io fossi lì. Tutto questo mi aiuta a non dovere voltarmi e dire “non fare quello. Fai questo”. Lui capisce.”
Con una canzone come “Can’t Turn Back the Years”hai mai avuto difficoltà a cantarla perché è molto personale e ti porta indietro fino ad un periodo doloroso della tua vita?
“No, ti dà un posto dove andare, amo quella canzone. Quell’album (“Both Sides”) è pieno zeppo delle mie cose preferite. Non la trovo difficile, non sono una di quelle persone che le rivivono. Le rivivo un po’, ma non fino a quel punto di addormentarsi piangendo quando si è tornati a casa.”
Sei sorpreso di essere ancora in grado di riempire arene e stadi dopo che sono passati tutti questi anni dal tuo album più recente?
“Sì, credo sinceramente che sia una delle ragioni per il quale mi sono preso il mio tempo per tornare. Non sapevo se ci sarebbe stato ancora un pubblico. Penso che le ristampe aiutino a provare il fatto che ci fossi ancora e le critiche, come sai non ero il beniamino dei critici. Ma all’improvviso sono stato rivalutato e credo che questo mi abbia fatto sentire molto meglio riguardo a me stesso. Ho fatto questa trasmissione radiofonica a Londra quando ho sentito che i miei concerti europei sono andati a ruba circa un anno fa. Hanno fatto una pausa pubblicitaria e, quando sono tornati, erano tutti esauriti. Si è trattato di 15 secondi ed io ho pensato “oh mio Dio, sarà meglio che io sia grande adesso”. È stata la stessa cosa in America. Sentivo di essermi lasciato l’America alle spalle perché c’è una scena musicale enorme, vasta e fugace.”
Stai scrivendo nuove canzoni? Stai forse pensando di registrare un album?
“Dovrò, qualcuno ieri mi ha detto che sono passati 16 anni senza un album nuovo. Non avevo realizzato che fosse passato così tanto tempo. Ho un piccolo studio a casa mia dove ci siamo io e la mia signora con un ufficio nella stessa stanza quindi, più l’ufficio è pieno, meno sono le possibilità che io entri in studio. Prendo appunti, ho delle idee per i testi e poi le tengo in un posto sapendo che, ad un certo punto, le riprenderò in mano.”
Come va la salute? Stai diventando più forte man mano che gli anni passano dopo i tuoi interventi chirurgici?
“Non particolarmente, no (ride), ma la salute è okay. Ho questo piede paralizzato però. Un’operazione alla schiena mi ha lasciato il piede destro paralizzato. Ho ancora qualche problema a suonare la batteria, ma in generale la salute è buona.”