Quando nell’ottobre scorso, in un post su Facebook, un misterioso Antonio Coletta annunciava, tra il serio ed il faceto, la sua imminente pubblicazione di un libro su Calcutta ammetto di essermi sentito un po’ … perplesso.
In primo luogo a causa dell’ironia di fondo che trapelava da quel post (in cui si presentava il libro come un possibile premio Pulitzer), in secondo, perché avevo riconosciuto in questo libro un nuovo volume della collana “Cantautori del Duemila” di Arcana Edizioni e mi chiedevo il motivo del ritardo di una simile pubblicazione poiché, dei cantanti della sua generazione, ho sempre considerato Calcutta come una sorta di capostipite, un vero e proprio punto di riferimento se non – addirittura – l’unica voce realmente autentica.
Ma al di là di simili riflessioni, quello che mi aveva lasciato maggiormente perplesso era la domanda: “perché sto leggendo un post su un libro su Calcutta?” che poi potrebbe sorgere lo stesso dubbio sul perché io stia scrivendo un simile articolo, viste le sonorità cui sono più solitamente avvezzo.
La verità è che in qualche modo a quel testo io ero legato e non lo sapevo. Infatti, nei mesi successivi, me lo sono ritrovato un po’ ovunque: sotto i banchi dell’università, nelle librerie cui sono maggiormente affezionato, in alcuni discorsi di insospettabili amici, ecc. Sta di fatto che, intorno al Natale scorso, il caso avrebbe voluto che io conoscessi personalmente – per un insieme di circostanze che non sto qui a dire – l’autore stesso di questo “Calcutta. Amatevi in disparte” e che mi ritrovassi a sfogliare, tra un cenone e l’altro, le sue pagine. La cosa che più mi incuriosiva e quella che più mi dava dubbi su un libro simile – al di là di tutte le perplessità che nascono di fronte tutte le trattazioni riguardanti un argomento così recente – era il punto di vista particolare da cui questo libro, quindi l’autore, avrebbe raccontato Calcutta.
Coletta infatti è stato “il fallimentare addetto stampa di Calcutta prima che diventasse famoso” e la cosa bella (o brutta, decidete voi) è che, come si vedrà nel libro, quel “prima” si riferisca a quei pochi mesi (se non giorni) che hanno preceduto l’esplosione di Calcutta come fenomeno mainstream.
Ad ogni modo, per essere sinceri, quello che maggiormente temevo nell’accingermi alla lettura di questo libro era la possibilità di trovarmi di fronte a un racconto, magari un po’ al veleno, di un ex amico o conoscente di Edoardo D’Erme (Calcutta) che nella migliore delle ipotesi avrebbe sottolineato gli aspetti peggiori della dimensione privata del cantautore pontino, o nella peggiore avrebbe lodato e sbrodolato sul cantante per prendersi qualche merito sul suo successo. “Vabbè lo ammetto che mi son sbagliato” direbbe qualcuno, e me ne sono reso conto (oltre che dalla chiacchierata fatta con l’autore) sin dalle primissime pagine di “Calcutta. Amatevi in disparte”.
Infatti, il libro parte certamente da una prospettiva personale, ma è quella di una persona che ha vissuto a pieno il nascere e crescere di una certa cultura indipendente, contribuendovi per il piacere di farlo e, in virtù di ciò, raccontando quegli eventi che hanno portato alla nascita del Calcutta mainstream, con una certa emozione – riuscendo addirittura a risultare commovente a tratti – e con un’ironia di fondo che è la cifra distintiva della scrittura di Coletta. Antonio del resto sa scrivere, e se non bastassero le 170 pagine di questo suo libro a dimostrarlo (ampiamente direi) andate pure a cercare i suoi articoli per “Il messaggero” o quella fucina di intellettuali eclettici che è stato il compianto “Il mucchio selvaggio” .
Ma andiamo nel merito, cos’è quindi “Calcutta. Amatevi in disparte” se non si tratta di una biografia privata fatta da un ex addetto stampa? L’idea di fondo, che è quella che emerge sin dalle prime dieci pagine di testo, è quella di raccontare un mondo, una dimensione culturale in cui Calcutta e tutti i protagonisti della scena indie (dai più noti a quelli che lavorano dietro le quinte) si sono formati e sono cresciuti. Troverete piacevoli descrizioni della Roma Est di cinque o sei anni fa – pregne di colori, suoni e odori che chi è stato, almeno una volta, in locali come il “dal verme” o il “circolo degli artisti” conosce bene – di un certo modo di fare cultura alternativa, del Calcutta precedente e immediatamente successivo a forse, del suo diventare mainstream prima della consacrazione nell’olimpo degli evergreen.
Ci sono poi allusioni a idee, progetti, visioni della musica, racconti sulla ricerca ossessiva del particolare, dell’alternativo, del suonare buttati per terra o in luoghi improbabili; come anche dei ripensamenti in reazione a un ambiente che forse risultava a Edoardo troppo radical chic e artisticamente autoreferenziale. L’evoluzione dalla dimensione Indie a quella Mainstream, passando per l’Itpop, viene sviscerata con naturalezza in un racconto che non è mai personalistico e, cosa rara per i libri di musica soprattutto in Italia, ben documentato grazie a interviste multidirezionali. Uno dei tanti pregi che ha questo libro è infatti quello di lasciar raccontare i fatti a chi i fatti li ha vissuti, riportando diversi punti di vista espressi attraverso diversi mezzi di comunicazione.
E così la penna di Coletta pesca da vecchie chat whatsapp o conversazioni Facebook, da archivi di giornali o interviste personali, tutto per ricostruire una storia ben raccontata che appassiona anche chi (come me) di Calcutta non conosceva gli antecedenti meno noti (come la storia dell’incisione di the sabaudian tape). Ovviamente questo non vuol dire che manchino dei pareri in prima persona dell’autore che sono invece gestiti ottimamente e in grado di puntualizzare, con occhio critico, alcuni aspetti fondamentali della storia della musica recente. Un esempio coraggioso ma – a mio avviso – veritiero è rintracciabile nella definizione di musica indie come avente “il ruolo (condiviso con la trap) di interprete principe dell’urgenza di comunicazione e dei sentimenti precari di questo tempo”.
E così il racconto fila via con consapevolezza, la consapevolezza di aver segnato, forse per gioco, forse senza saperlo, un’epoca fondamentale nella storia della cultura pop in Italia, mantenendo però un distacco ironico che vuole restituire al lettore il Calcutta artista in quello che è stato il suo percorso, allontanando l’ingombrante fantasma del pettegolezzo (che spesso invade testi simili) e soprattutto quello del prendersi i meriti delle glorie altrui.
E proprio con ironia (un’ironia che lascia emergere tutto l’affetto per quel recente passato) Antonio racconta come fosse tutto finito – per il suo ufficio stampa – e tutto si fosse avviato verso il successo per quel giovane disagiato pontino, a causa di un pranzo mancato: “«quel pranzo ha deciso tutto ha commentato Paolo […] sono sicuro che sarebbe andata diversamente, ci saremmo visti e avremmo deciso di metterci più impegno, le cose sarebbero andate bene».
«O magari gli avremmo stroncato la carriera» ho puntualizzato io (Coletta ndr)… ovviamente se volete sapere come è andata a finire, leggete questo libro, magari mangiando la pizza o la pasta col pesto. Anche perché, se ha reso un po’ più indie anche me, forse è davvero un gran bel libro.
Matteo Palombi – Onda Musicale