Quante volte vi capita di riascoltare un brano legato ai vostri ricordi e pensare che è passato appena qualche anno, per poi scoprire che ne sono passati molti di più, magari proprio venti?
Nel 1999 il millennio si chiudeva proponendo una gran quantità di dischi di qualità, alcuni divenuti vere icone, altri baciati dal successo commerciale e altri ancora caduti ingiustamente nel dimenticatoio. Il ’99 fu un anno di grandi ritorni, da Crosby, Stills, Nash & Young con Looking Forward a Paul McCartney col divertissement rock’n’roll Run, Devil Run, dal Bowie di Hours… ai Red Hot Chili Peppers di Californication col redivivo John Frusciante; fu anche l’anno di esordi come il disco dei White Stripes dal titolo omonimo e quello solista dell’indimenticato Chris Cornell, e l’anno del successo planetario di Santana e di quello, minore ma di grande qualità, di Tom Waits.
Ma bando alle ciance e scopriamo quali dischi sono finiti nella Top 10 di questa settimana.
Californication – Red Hot Chili Peppers
Una delle grandi notizie musicali del 1999 fu il ritorno nei RHCP del bizzoso chitarrista John Frusciante. Personaggio cult, John torna in organico dopo ben otto anni per registrare Californication. L’album, uscito l’otto giugno, sarà sicuramente il più grande successo della band e probabilmente il loro miglior disco. Otherside, Californication, Around the World sono tutti singoli entrati nella storia dei RHCP, ma è indubbiamente Scar Tissue il pezzo simbolo della loro rinascita e di un passato buttato alle spalle. Mitici il video e le splendide parti di chitarra, slide e non, suonate da Frusciante.
Imprescindibile.
Hours…– David Bowie
Dopo una serie di dischi frenetici e sperimentali, la fine del millennio ci consegna un David Bowie più rilassato e convenzionale. Anche la sua immagine ne giova, alimentando voci di un patto col diavolo, ma la qualità rimane sempre al top. Se Thursday’s Child è forse il pezzo che rimane più nella memoria, gli altri brani sembrano quasi un best of fatto di inediti, sfoggiando infatti influenze da tutti i maggiori periodi del Duca Bianco. Da riscoprire.
Euphoria Morning– Chris Cornell
Disco d’esordio da solista per l’indimenticabile leader dei Soundgarden, Euphoria Morning si discosta dalla band madre, proponendo un sound più raffinato e a tratti dalla sensibilità pop. Osannato dalla critica, il lavoro non ebbe il successo sperato, nonostante pezzi di qualità e la voce, veramente fantastica, di Cornell in grande evidenza. Da recuperare assolutamente, soprattutto una splendida Wave Goodbye, dedicata all’allora appena scomparso Jeff Buckley. (leggi l’ìarticolo)
The Battle Of Los Angeles – Rage Against The Machine
Dopo aver vissuto in prima linea gli anni ’90, sia a livello musicale che come impegno sociale, nel ’99 i RATM consegnano al pubblico il loro testamento,The Battle Of Los Angeles. Un disco allo stesso tempo uguale e diverso dai precedenti, con i riff granitici di Tom Morello e le invettive rappate di Zach De La Rocha. L’anno dopo nasceranno gli Audioslave, con Chris Cornell alla voce.
Supernatural– Carlos Santana
Quando nel 1999 Carlos Santana viene convinto da Clive Davis della Arista a registrare un album di duetti, perlopiù con artisti emergenti, il chitarrista sembra avviato a fine carriera. Il successo non è più quello di un tempo da anni e non sembra più esserci spazio per il lirismo della sua chitarra. Ma succede il miracolo: trascinato dalla bella Smooth, cantata da Rob Thomas, l’album diventa un successo senza precedenti. Certo, passaggi al limite del kitsch come Maria Maria e Corazon Espinado sono invecchiati male, ma la sola The Calling con Eric Clapton vale il prezzo del biglietto.
13– Blur
In piena guerra brit rock con gli Oasis – anche se i migliori furono sempre i Pulp – c’era molta attesa per il nuovo disco dei Blur. Damon Albarn, all’alba della sua fase di sperimentatore, se ne uscì con questo 13 che lasciò un po’ tutti delusi: troppo grezzo e indie per le orecchie dei fan più giovani in pezzi come Bugman e B.L.U.R.E.M.I. era di converso troppo pop nel singolo Coffee & TV – passato alla storia più per il video – e inaspettatamente gospel in Tender. Eppure, a vent’anni di distanza, è forse il disco brit rock che patisce meno l’età. Damon ci aveva visto lungo anche quella volta.
Mule Variations– Tom Waits
Anche per Tom Waits il ’99 fu l’anno del ritorno; erano infatti passati ben nove anni da Bone Machine, l’episodio precedente della discografia. Caratterizzato da un suono sporco e grezzo come non mai, anche nella sorprendente cover di Big In Japan, resa irriconoscibile, rappresenta la definitiva discesa agli inferi blues di Waits. Ma rappresenta anche la consacrazione presso un grande pubblico stregato dalle atmosfere on the road, sudiste e fangose. In una parola, mitico.
The White Stripes– The White Stripes
Spesso il genio sta nel creare qualcosa che ancora non c’è, più che nel farlo perfettamente. I White Stripes ci riescono nel ’99 con l’omonimo debutto. Proponendo l’inedita formula – da allora imitatissima – del duo chitarra-batteria, ripescando atmosfere blues con una attitudine profondamente punk, danno vita a un mix sicuramente migliorabile ma già esplosivo. Tra cover blues – una indiavolata Stop Breaking Down di Robert Johnson – e di Dylan – One More Cup Of Coffee, meglio dell’originale – e originali al fulmicotone, Jack White pone le fondamenta di una carriera iconica.
Peasants, Pigs & Astronauts– Kula Shaker
L’album K di tre anni prima li aveva fatti assurgere a ennesima Next Big Thing inglese, nonché ad alfieri del brit pop; ingiustamente, visto che Crispian Mills e compagni non hanno mai fatto parte del genere, erano piuttosto un anticipo forse troppo prematuro della nuova ondata psichedelica. Curatissimo sotto ogni aspetto, il lavoro fu un flop colossale, condannandoli a un primo scioglimento. A 20 anni di distanza, PP&A è un gioiello da riscoprire, tra Pink Floyd e Beatles – la splendida Last Farewell – e con un gustoso anthem hard rock: SOS.
The Fragile– Nine Inch Nails
Trent Reznor, con la sua creaturaindustrial, i Nine Inch Nails, è stato uno dei musicisti più influenti degli anni ’90. E la sua chiusura di millennio con The Fragile, coacervo di generi e atmosfere musicali, fu magistrale. Un doppio sontuoso, di non facile ascolto ma forse il più digeribile della discografia. Da riscoprire, soprattutto per chi conoscesse Trent solo per la bellissima Hurt, resa immortale da Johnny Cash.