Eravamo quattro amici al bar. Anzi, all’università. E’ questa la straordinaria storia dei Coldplay. Immersi negli studi di ingegneria e antropologia, semplici matricole in cerca di una collocazione nel mondo.
Siamo a Londra, nel 1997. Chris Martin e Jonny Buckland si conoscono per caso, ad un ballo della scuola, scoprendo la propria passione per la musica. Come definire quest’avventura? Un sogno. Il sogno di molte band agli albori, il sogno comune a tutti gli artisti esistenti sul pianeta terra.
Oggi vorrei andare un po’ controcorrente in quanto in molti hanno sempre sottovalutato questo splendido gruppo.
Non sono rock, non sono originali, non sono espressivi di quel tipo di musica tanto caro alla critica. E poi non sono innovativi, non sono clamorosamente alternativi. Sebbene le origini riportino proprio ai mitici Radiohead.
Eppure riempiono gli stadi, aizzano le folle, entusiasmano la gente. Sarebbe grave e inopportuno non considerare questi elementi, o meglio, considerare tutto il pubblico privo di senso musicale.
I Coldplay sono una band dalle basi fondamentali, ricche di semplicità. Ed è proprio questa umiltà di suoni e arrangiamenti a rendere unico il gruppo. In un panorama inglese sempre bisognoso di pop brillante e propositivo, i Coldplay rappresentano sicuramente una punta di diamante.
Chris Martin, Jonny Buckland, Guy Berryman e Will Champion. Tutti polistrumentisti. Questo vorrà pure dire qualcosa. Sebbene addetti a mansioni diverse, i quattro elementi sono completi a tutti gli effetti.
L’album d’esordio, Parachutes, è un trionfo d’amore e malinconia. Tanto per intenderci, l’album della strepitosa Yellow. Eppure il paradosso sta proprio qui. Un album in grado di porsi ai primi posti di tutte le classifiche mondiali, di stupire anche i più scettici, di suscitare interesse da più parti. Ma la critica? Dove siamo noi quando questi fenomeni pop si pongono all’attenzione dell’umanità?
Siamo ancorati ai nostri miti, stilistici e melodici. Non ci rendiamo conto che la Parlophone ci vede benissimo. Chi è o cos’è la Parlophone? Una semplice casa discografica, in grado di scoprire degli sconosciuti, i Beatles. Eppure non ci vediamo neanche di fronte a questo.
Oasis, Manin Street Preachers, Travis, Blur, Verve, Radiohead. Tutte band stimate e ascoltate. Allo stesso tempo apprezzate da pubblico e critica. Perché non succede questo con i Coldplay? Forse troppo semplici? O forse troppo fenomenali a livello mediatico?
Sono queste le domande che mi sono posto ultimamente, ascoltando l’intera discografia del gruppo. E’ chiaro che esiste una chiara evoluzione della band, da fine anni novanta ai giorni nostri i cambiamenti sono evidenti e sotto le orecchie di tutti. Dagli inizi, un po’ rockettari e ricchi di spunti creativi, alla britpop pura e classica degli ultimi tempi.
Ma questo è abbastanza per definire i ragazzi di Londra come una band solamente commerciale?
Ecco, è proprio questa definizione che non mi trova d’accordo. I Coldplay sono e resteranno sempre una delle band più incredibili degli anni duemila. Con i loro pregi e i loro difetti, ma pur sempre con la voce intrigante e imperfetta di Chris Martin, con la chitarra decisa e pulita di Jonny Buckland, con altri due componenti di assoluto livello come Guy Berryman e lo straordinario Will Champion.
Questo è un fatto ragazzi miei. Piaccia o no, i Coldplay rappresentano forse l’apice del pop britannico degli ultimi vent’anni. Con buona pace dei critici più accaniti.
Ma torniamo per un attimo a Parachutes, l’album di debutto della band. Chi pensa che questo lavoro sia scontato si sbaglia di grosso. Si va dai momenti irresistibili di Yellow, allo stile affascinante di Shiver, pezzo addirittura paragonato allo stile musicale di Jeff Buckley. In molti ritengono che la figura del frontman della band, Chris Martin, sia invasiva e prepotente. A mio modesto parere, Martin rappresenta il perfetto frontman moderno, stilisticamente e musicalmente ineccepibile.
Insomma, in questo piccolo capitolo di oggi, volevo porre alla vostra attenzione le contraddizioni che spesso si accavallano nel mondo della musica.
A livello rock risulta chiaro che i gruppi influenti sono ben altri, bisogna tornare indietro di decenni per sentire e apprezzare un alternative di altro livello, ma perché screditare una delle band più rappresentative delle nuove generazioni?
In realtà, la musica dei quattro ragazzi londinesi risulta piacevole pure al palato dei più scettici, anche se questi non lo ammetteranno mai.
Bisogna adattarsi ai tempi ragazzi, la migliore musica è già stata fatta ma non per questo tutto quello che propone il panorama attuale è da buttare.
Vi lascio con delle parole magnifiche, rilasciate proprio da Chris Martin e che in qualche modo definiscono proprio il sogno Coldplay:
“Credo che ognuno possa scrivere una canzone. Non bisogna avere paura di fallire.
È questione di capire che la musica è magica e imparare il mestiere.“
Oggi abbiamo viaggiato nel mondo della britpop, nel prossimo viaggio andremo a scoprire nel suo intimo, uno degli album più rappresentativi del rock progressivo inglese: Fragile. Di chi? Degli Yes ovviamente…
Stay Tuned.