Il 25 settembre del 1980 ci lasciava John Bonham, detto “Bonzo”, batterista dei Led Zeppelin. John è molto spesso inserito in cima alle classifiche del suo strumento, per gli esperti è il migliore e il più innovativo batterista della storia del rock.
La sua morte mise fine non solo a una giovane vita – “Bonzo” aveva appena trentadue anni – ma anche alla storia dei Led Zeppelin. Nel 1980 la vicenda della band, seminale per tutto l’hard rock e dal successo milionario, aveva probabilmente già imboccato il viale del tramonto, un po’ come il rock in generale, tuttavia il complesso era ancora vitale e pieno di iniziativa. Erano passati da tempo i fasti dei primi quattro album, una continua evoluzione che aveva portato a “IV”, detto anche “Zoso”, il disco capolavoro del 1971 che segnò l’apice creativo dei Led Zeppelin; da lì in poi ancora buonissimi dischi e leggendari tour, in cui la batteria di Bonham era una grande attrattiva al pari della chitarra di Jimmy Page e della voce di Robert Plant, ma la musica era andata trasformandosi dal vibrante hard rock degli inizi in qualcosa di più sofisticato e contaminato; non per questo meno interessante, ovviamente.
In quel settembre del 1980, la band stava progettando il grande ritorno dal vivo, dopo una prolungata assenza dai palchi; per ricominciare a provare insieme i quattro si erano dati appuntamento in una delle ville di Page, quella di Windsor. “Bonzo”, non era un mistero, era da tempo prigioniero della dipendenza dall’alcol, e a quelle prove si presentò pesantemente alterato. I suoi compagni di band erano abituati al suo comportamento, tanto che – dato che John aveva continuato a bere anche durante le prove – si limitarono a portarlo di peso in una delle stanze da letto per dormire e fare in modo che smaltisse l’ennesima sbronza.
Purtroppo quella fu l’ultima volta che John si ubriacò; come era successo dieci anni prima a Jimi Hendrix, il batterista morì soffocato dal suo stesso vomito.
Il colpo per la band fu tremendo, Jimmy Page in particolare ne fu scioccato; la sentenza definitiva sul futuro dei Led Zeppelin era a quel punto scontata, nessuno poteva sostituire il carisma e la potenza di Bonham, ma il comunicato arrivò solo il 4 dicembre e fu piuttosto laconico: “Desideriamo rendere noto che la perdita del nostro caro amico e il profondo senso di rispetto che nutriamo verso la sua famiglia ci hanno portato a decidere — in piena armonia tra noi e il nostro manager — che non possiamo più continuare come eravamo.”
Storia di un ragazzone tranquillo
John Henry Bonham era nato a Redditch, nel Worcestershire, il 31 maggio del 1948; già a cinque anni il talento del piccolo John per le percussioni era evidente: si divertiva a suonare con un piccolo kit composto da lattine di caffè e barattoli di biscotti. A 10 anni ebbe il primo rullante in regalo dalla mamma, poi fu la volta di un vero drum kit della Premier. Pur non prendendo lezioni – il giovane si limitò a chiedere qualche consiglio a batteristi più esperti – già a quindici anni intraprese le prime collaborazioni.
Mentre aiuta il padre nel lavoro, come apprendista falegname, suona con diversi gruppi, come i Blue Star Trio. Un altro complesso con cui collabora e che prende il nome da una canzone di John Lee Hooker, i Crawling King Snake, fa da sfondo a un incontro fondamentale: John conosce Robert Plant.
Sono tuttavia tempi travagliati per “Bonzo”: la ragazza Pat rimane incinta e John , per prendersi cura della famiglia, cerca di trovarsi un lavoro più regolare; il mondo della musica non sembra certo un porto sicuro, inoltre il batterista fa grande fatica per un motivo surreale che segnerà poi la sua cifra stilistica: molti locali lo ritengono troppo rumoroso!
John Bonham poi, a dispetto dell’immagine di rockstar dannata con cui si consegnerà alla leggenda, è un ragazzone tranquillo, amante della famiglia, delle vita nei pub di paese e della campagna inglese; così mansueto da essere soprannominato “Bonzo” in onore di un placido cagnolino protagonista di un vecchio cartone animato, creato nel 1922 dal fumettista britannico George Studdy.
Grazie alla conoscenza con Robert Plant, John riprende a suonare, prima con i Band Of Joy, e poi con i New Yardbirds, che di lì a poco diventeranno i Led Zeppelin. Il quartetto nasce dall’unione di quattro grandi talenti, ma alla fine del 1968 nessuno può prevedere quanto questa miscela sarà esplosiva a livello artistico e di successo.
Il primo album diventa subito il caso musicale del momento e le vendite schizzano alle stelle; lo stesso succede coi successivi. Da un giorno all’altro i Led Zeppelin si ritrovano a essere il più grande caso del rock dai tempi dei Beatles; John passa dalla vita con Pat in una roulotte e dal lavoro di falegname, a essere uno dei musicisti più pagati del mondo. Purtroppo – come succede spesso nel caso di fortune così repentine – il cambiamento è troppo improvviso e John, più dei compagni di band, ne soffre terribilmente.
I tour mondiali sono lunghi e massacranti e la devastante nostalgia per la moglie e il figlioletto, per l’amata vita di provincia, fa da detonatore in un ambiente in cui gli eccessi sono all’ordine del giorno. Il placido cucciolo paffuto “Bonzo” diventa “The Beast”, l’altro suo soprannome.
John – fomentato anche dall’entourage degli Zeppelin, tra i più famigerati dell’epoca – non si fa mancare nulla: droghe, alcol, orge e intere ali di alberghi devastati dalla sua furia. È come se un demone si impadronisse di lui, durante i tour; quando torna alle sue radici, John è quello di sempre: casa, famiglia e ore passate al pub a bere con gli amici.
Una notte terribile
La terribile notte del 25 settembre del 1980 è la conclusione – purtroppo prevedibile – della sua parabola bipolare tra successo ed eccessi.
Quello che però rimane ai posteri di John è il suo incredibile lavoro di musicista rivoluzionario; il suo approccio autodidatta fa sì che a essere privilegiato nel suo sound sia il feeling, l’emozione che trasuda dal suo stile, tuttavia sbaglierebbe chi dovesse pensare che la tecnica fosse per “Bonzo” un aspetto marginale. Prima di iniziare a suonare nelle varie band, John aveva studiato a fondo batteristi jazz e rock come Buddy Rich e Ginger Baker, dedicandosi molto anche alla teoria, poi abbandonata:
“Agli inizi ero interessato alle partiture musicali ed ero abbastanza bravo e veloce nella lettura, ma quando cominciai a suonare con i gruppi feci l’enorme sbaglio di abbandonare lo studio. Credo che sia fantastico essere capaci di scrivere le proprie idee in forma musicale, ma credo anche che nella batteria il feeling sia molto più importante della mera tecnica: è fantastico suonare un triplo paradiddle… ma chi si accorge veramente che lo stai facendo? Se fai troppa attenzione alla tecnica, finisce che inizierai a suonare come ogni altro batterista. Credo che quello che conti veramente sia essere originale. Quando ascolto altri batteristi, mi piace poter dire “Wow… carina questa cosa, non l’avevo mai sentita prima!”. Credo che essere te stesso come batterista sia molto più importante che suonare come chiunque altro.” disse una volta egli stesso.
Ascoltando i dischi dei Led Zeppelin, anche il profano può rendersi conto della devastante potenza di Bonham, negli attacchi fulminanti di “Good Times, Bad Times” o di “Immigrant Song”, nell’assolo di “Moby Dick” o nell’incredibile sperimentazione di “When The Levee Brakes”, per la cui registrazione la batteria venne posta nella tromba delle scale dell’antica villa di Jimmy Page.
Tante sono le testimonianze degli altri musicisti sulla sua tecnica unica, come quella di Dave Mattacks dei Fairport Convention: “La batteria non c’entrava. John si sedette dietro un kit in miniatura: una cassa da 18″, un rullante alto 4″, un tom da 12″ e uno da 14″… ed era quel suono! Rimasi annichilito da quello che stavo sentendo, e da come lo stava suonando: da quel minuscolo kit stava uscendo il sound dei Led Zeppelin!”
Di John Henry Bonham resta il ricordo di un uomo semplice e di un musicista eccezionale, i suoi dischi coi Led Zeppelin e Jason John, suo figlio: quattordicenne alla morte del padre, anche lui è diventato un bravo batterista.
I Led Zeppelin, che hanno sempre resistito alle sirene di milionarie reunion, quelle poche volte che hanno suonato insieme lo hanno sempre voluto dietro ai tamburi.
In fondo “Bonzo” – che amava tanto la famiglia – sarebbe stato contento.