Frontman e leader dei Queen, cantante di caratura eccezionale, musicista completo e compositore superbo. Freddie Mercury, ovvero la musica.
Un artista incredibile, dentro e fuori dal palco, un artista poliedrico e versatile, in grado di instaurare un legame perfetto tra voce ed esibizione, un connubio inimmaginabile tra emozione e professione. Da qualche settimana, in libreria e online, possiamo trovare uno dei libri che meglio fotografano la vita umana e musicale del genio di Zanzibar: “Freddie Mercury – The Show Must Go On”. Progettato e scritto dal giornalista romano Paolo Borgognone, il libro corre perfettamente verso la ricerca umana e artistica di Freddie Mercury, una corsa costellata di aneddoti e curiosità, una corsa intrigante e affascinante alla scoperta dell’incredibile talento britannico.
Abbiamo incontrato Paolo in una breve escursione tra scrittura e musica, cercando di navigare consapevolmente tra le onde di una vita mozzafiato, le onde della vita di Freddie Mercury…
Caro Paolo, grazie per aver accettato il nostro invito, è un onore per noi ospitarti all’interno del nostro magazine. Qualche giorno fa, esattamente il 5 settembre, abbiamo festeggiato il compleanno di uno dei talenti musicali più straordinari che il mondo abbia mai conosciuto, un frontman esagerato in grado di segnare generazioni su generazioni, un certo Freddie Mercury… Nel corso degli anni, molti hanno cercato di raccontare più o meno bene la storia incredibile di questo clamoroso artista, ma a mio modesto parere il tuo ultimo libro riesce nell’impresa di riassumere in modo esaustivo e completo il percorso umano e professionale di questo fenomeno culturale e sociale. Vorrei iniziare questo piccolo viaggio con te, esaminando uno degli aspetti più affascinanti del leader carismatico dei Queen. Sappiamo tutti che la voce di Freddie è un caposaldo assoluto del rock. Ma sappiamo anche che le sue virtù artistiche andavano ben oltre la sua stessa voce. Pianoforte, tastiere, chitarra… Oltre a una vocalità eccelsa, Freddie possedeva tutte le doti del perfetto musicista. In che modo, a tuo parere, l’estro di Frederick ha influenzato le correnti musicali del gruppo britannico?
“Intanto grazie a voi della disponibilità e dell’attenzione. Quanto alla domanda, è evidente che un personaggio così a tutto tondo – performer, cantante, musicista, artista – abbia avuto grande impatto sulle vicende del suo gruppo e non soltanto su quello. L’intero processo musicale dei Queen, dagli esordi prog alla svolta che per comodità definiremo discoverso l’inizio degli anni ’80, ha seguito l’evolversi dei gusti musicali o se vogliamo delle influenze del frontman. Senza che questo sminuisca per nulla le capacità degli altri membri del gruppo, un incontro tra personalità a volte in contrasto, come è normale che sia in qualsiasi settore. Certo – capacità musicali degli altri a parte – i Queen senza Freddie sarebbero stata un’altra cosa e lo dico senza che questo rappresenti una critica per Brian e Roger e la loro idea di continuare l’attività come Queen anche dopo la scomparsa di Mercury.”
Freddie Mercury conduceva una vita ricca di eccessi e stravaganze, ma tutto sommato godeva di ottime amicizie… Da Paul McCartney a David Bowie, passando per Elton John. C’è un personaggio che, secondo te, ha avuto un influsso determinante sulla vita sociale e artistica del genio di Zanzibar?
“Dobbiamo pensare alla Londra di quel periodo come alla capitale mondiale della musica, ancora di più rispetto a New York. Basti ricordare i grandi del rocke del proginglese che conquistarono il mondo intero (qui citerò solo i Rolling Stones ma è evidente che potremmo fare un elenco quasi infinito). Nello scrivere questa storia ho avuto modo di vedere gli intrecci fra i Queen – anche all’inizio della loro avventura – e altre band leggendarie, come i Genesis e i Pink Floyd. Senza dimenticare i molti artisti americani che erano andati proprio nel Regno Unito a rafforzare le proprie radici musicali. Pensiamo a James Taylor, ma prima ancora a Simon & Garfunkel. Forse, al di là delle amicizie personali, uno dei personaggi che più hanno influito sulla formazione di Mr Mercury è stato Jimi Hendrix. Guarda caso, anche lui un americano che ha conosciuto il successo prima a Londra. Raccontano gli amici dell’epoca di Freddie, come lui ammirasse il chitarrista di Seattle e lo imitasse negli atteggiamenti, oltre che nel look. In un’epoca così frizzante di nuove idee, di strade ignote da percorrere, le influenze sono state certamente tantissime e ognuna ha rivestito la propria importanza. Un performer fuori dagli schemi come Hendrix ha lasciato una grande impronta sul “giovane” Mercury.”
La voce di Mercury è stata un fenomeno scientifico conclamato, oggetto di relazioni e congressi da parte degli studiosi di tutto il mondo. La “subarmonica” armonizzata con l’aiuto della gola era il punto di non ritorno di una vocalità probabilmente inimitabile. In relazione a questo, quale pensi sia il disco più rilevante di Freddie da un punto di vista strettamente canoro?
“Per avere una risposta più compiuta a questa domanda, dovremmo rivolgerla a un musicologo! Quello che mi sento di poter dire è che ascoltando i dischi dei Queen appare chiaro anche ai non esperti come una delle caratteristiche chiave del personaggio Mercury fosse la versatilità anche canora. Uno qualunque dei loro Lp ci permette di ascoltare performances diverse, canzoni cantate su toni e registri differenti. E’ una delle caratteristiche – accompagnata ovviamente dalla qualità live – che hanno fatto grande il cantante e il suo gruppo.”
Oltre ad essere stato un cantante e un musicista di livello straordinario, Freddie Mercury è stato anche un compositore eccelso. Secondo molti, “Bohemian Rhapsody” rappresenta il suo punto di arrivo stilistico e compositivo. Cosa ne pensi?
“Raccontava lo stesso Freddie come “Bohemian Rhapsody” fosse il risultato del mix di tre canzoni differenti che stava provando a scrivere da tempo e che alla fine ha deciso di mettere insieme. Un processo lungo, che ha richiesto anni per prendere una forma definitiva, quella del capolavoro che a 45 anni dalla sua uscita non ci stanchiamo ancora di ascoltare. Una genesi molto “sofferta” che però, alla fine, ha creato qualche cosa di inaspettato e soprattutto di mai sentito prima. Sappiamo che la canzone venne considerata, al momento della sua presentazione, “troppo”: troppo lunga, troppo complicata, troppo arzigogolata. Eppure è un capolavoro che – come a volte accade nella musica – crea una cesura tra il “prima” e il “dopo”. Il rock – e forse non solo quello – non è mai stato uguale dopo l’uscita di questo brano. Succede solo ai grandissimi.”
I concerti dei Queen sono tuttora considerati inimitabili da un punto di vista spettacolare e scenico. Freddie ha sempre fatto della teatralità uno dei suoi cavalli di battaglia, portando alla ribalta del grande pubblico esibizioni indimenticabili. Quale sua performance ti porti nel cuore?
“Raccontano i tecnici di studio che hanno lavorato con i Queen all’inizio della loro carriera, come Freddie si comportasse anche in sala di registrazione, come se fosse sul palco. Esibirsi era evidentemente per lui una necessità espressiva almeno pari a quella che lo spingeva a cantare. Il pubblico che ha avuto la fortuna di assistere a queste performances sicuramente percepiva la tempesta emotiva che lo stare on stagedoveva avere per lui. Immagino che questo discorso – valido sempre – abbia assunto sempre maggiore importanza quando la platea si è allargata. Penso ai grandi concerti di Wembley – un po’ “casa Mercury” se mi permettete questa forzatura – ma anche alle sensazioni che deve aver provato il cantante a esibirsi a Rio davanti a centinaia di migliaia di persone o al Nep Stadion di Budapest, oltre la “cortina di ferro” come l’aveva ribattezzata Sir Winston Churchill, a fare da apripista alla conquista di un nuovo pubblico da parte del rock and roll.”
“Barcelona”. Ovvero il capolavoro solista di Freddie Mercury. Un disco sensazionale, intriso di passione e poetica, un disco segnato dalla sofferenza e dalla consapevolezza della malattia. C’è una cosa che vorresti dirci su questo progetto, autentico segnalibro della vita di Freddie?
“Per “Barcelona” vale – almeno in parte – lo stesso discorso che si accennava a proposito di “Bohemian Rhapsody”. Si tratta, cioè, di qualcosa di mai visto prima. Un’invenzione geniale e una operazione alquanto rischiosa. Un rocker – poi uno particolarmente trasgressivo nel look, nei testi, negli atteggiamenti come lui – alle prese con il mondo forse più “conservatore”, musicalmente parlando, che possa esserci, quello della classica. Eppure Freddie ebbe il coraggio di farlo e il risultato è semplicemente eccezionale. Anche grazie al contributo dei grandi collaboratori che parteciparono al progetto, da Mike Moran a Tim Rice. E alla capacità (tipica dei grandi) di mettersi in gioco della stessa Montserrat Caballè: una “diva”, nel senso operistico del termine e che, se vogliamo, aveva tutto da perdere a buttarsi in un esperimento così azzardato. E invece il risultato di tutto questo coraggio e del talento di ognuno dei protagonisti ha creato un capolavoro che non smette di stupire.”
Freddie Mercury e Brian May. Per alcuni amicizia vera, per altri pura rivalità. Gli assoli di Brian, le sessioni al pianoforte di Freddie. Come definiresti questi due personaggi?
“Geni. Ognuno con le proprie caratteristiche, ovviamente. Forse ciascuno con le proprie debolezze e fissazioni, ma comunque due artisti straordinari. E’ normale che – nel corso di quegli anni così intensi e pieni di adrenalina – ci siano stati anche momenti di tensione. Ma l’affinità artistica dei due era evidente e basta leggere o ascoltare le parole dette tante volte da Brian dopo la scomparsa di Freddie per rendersi conto della grande ammirazione e della amicizia – al di là degli “scazzi” inevitabili quando si incontrano personalità così forti – tra i due. Dalla loro collaborazione e anche dalle differenze che li rendevano così unici sono nati tanti capolavori immortali. A questo proposito vorrei dire che – forse in misura diversa ma sempre in modo importante – lo stesso discorso si può allargare anche a Roger Taylor e John Deacon.”
“Was it all worth it”, il testamento di Freddie Mercury. La vita del frontman dei Queen è stata breve e spietata, sicuramente senza appello. Le sofferenze e le gallerie di un’esistenza riassunte in un grandissimo testo. C’è un particolare aneddoto che vuoi raccontarci su questo meraviglioso brano?
““Was it all Worth It?” è una domanda che – prima o poi – ci poniamo tutti nella vita. Davanti a una delusione, alla fine di un amore o anche se abbiamo avuto successo. Ne è valsa la pena? Ciascuno di noi conosce la risposta. Nel caso di Freddie è chiaro che si parla di un momento terribile: la registrazione di “The Miracle” fu resa difficile dalla malattia che avanzava (e di cui ancora non aveva mai parlato apertamente) e sicuramente le sofferenze a cui era sottoposto il cantante facevano risuonare nella sua testa quelle parole. Ma, ce lo dice lui stesso, valeva la pena di fare tutto quel Hurly Burly, quel “gran casino con la musica”. Una citazione da Shakespeare (dal “Macbeth” precisamente): alla faccia di chi dice che sono solo canzonette.”
Sono chiaramente molteplici i dischi memorabili dell’artista. Alcuni di inestimabile valore, altri di assoluto clamore commerciale. Qual è il tuo brano preferito, quello che a tuo parere impersona maggiormente il grandissimo carisma del nostro Freddie?
“Dire “Bohemian Rhapsody” è quasi scontato, ovviamente. Diciamo che quella canzone è talmente grande da andare oltre valutazioni di gusto personale. Forse, più che a un brano farei riferimento a un intero Lp. Personalmente quello che ho sempre preferito dei Queen è “Jazz”. Per certi versi, forse per il ritorno di Ray Thomas Baker alla produzione, si sente ancora una volta un sound davvero tipico dei Queen. E poi è un disco eclettico, dove ogni canzone – a partire da “Mustafa” che apre il disco e che sarà una delle poche a contenere parole straniere, con la stessa “Bohemian Rhapsody” e con “Teo Torriatte – Let Us Cling Together” – ci trasporta in un mondo differente. Certamente unico e per parecchi versi inaspettato. Ciascun ascolto, anche a distanza di tanti anni, è una riscoperta in un certo senso. Un segnale della capacità artistica di Mercury e di tutto il gruppo capace di sorprendere a ogni solco.”
Paolo, credo che lo spazio a nostra disposizione stia per terminare. Ringraziandoti per la disponibilità, vorrei farti un’ultima domanda, una domanda importante. Il tuo ultimo libro, “Freddie Mercury – The show must go on”, è un autentico tributo, un autentico monumento a Freddie Mercury. In che modo, questo straordinario personaggio, ha influenzato la tua vita professionale e privata?
“Nel libro racconto un episodio. Molti anni fa – ero un giornalista alle prime armi – ho avuto la fortuna di partecipare a uno showcasedi Brian May per la presentazione del disco “Back to the Light”. Eravamo solo rappresentanti della stampa in un locale molto famoso e raccolto di Trastevere, a Roma. Alla fine della esibizione abbiamo potuto fare qualche domanda a Brian e io ho esordito dicendogli: “Intanto grazie di tutto quello che hai fatto per me nella tua vita”. La cosa lo fece sorridere. Non ho mai potuto incontrare Freddie ma lo spirito con cui mi sarei rivolto a lui è identico. Si parla di una persona che – attraverso la sua musica e il suo modo di essere – ha accompagnato la mia crescita. E a cui – oltre al gusto musicale – mi legherà sempre una sensazione di gratitudine e di grande ammirazione.”