Come detto a proposito di altri dischi del progressive italiano, questo movimento rappresentò il punto più alto della storia del rock in Italia. Uno dei primi album che possono pienamente ascriversi al genere è “Concerto Grosso per i New Trolls”, uscito nel 1971.
All’epoca il prog italiano era ancora agli albori, tra band che tentavano di cavalcare la nuova onda, pur rimanendo legati allo stile beat, e altri progetti che nascevano già pienamente calati nei nuovi canoni, spesso però in maniera ancora acerba.
I New Trolls erano nati a Genova nel 1966; una radicata leggenda – smentita però da uno dei fondatori, Vittorio De Scalzi – narra che la nascita del complesso fosse seguita a un articolo di un quotidiano, dove un critico elencava i migliori musicisti della città.
Il primo nucleo nasce da un’idea di Pino Scarpettini (tastiera) e Vittorio De Scalzi (voce e chitarra). Nel gruppo comparivano anche Ugo Guido (voce e basso), Giulio Menin (batteria) e Piero Darini (chitarra e voce). Col nome di Trolls, la formazione incide un primo singolo, “Dietro la nebbia” e alcune cover. Nel 1967 la line up si rinnova quasi totalmente e cambia nome – fantasiosamente – in New Trolls. Al fondatore De Scalzi si aggiungono Nico De Palo, virtuoso chitarrista elettrico, Giorgio D’Adamo al basso, Mauro Chiarugi alle tastiere e Gianni Belleno alla batteria; è questa la formazione al centro della fantomatica leggenda.
Con uno stile rinnovato, che mescola beat e rock psichedelico, e forti dell’abilità degli strumentisti, i New Trolls iniziano a suonare nei locali della città. Presto ottengono un importante riconoscimento, venendo scelti per aprire un concerto dei Rolling Stones.
Nel 1968 i New Trolls incidono il loro primo album che, pur risentendo ancora di atmosfere tardo beat, segna una piccola svolta nella storia del pop italiano; “Senza Orario, Senza Bandiera” è infatti il primo vero esempio di concept album italiano. In più, i testi scritti da Fabrizio De André e dal poeta Riccardo Mannerini ammantano tutta l’operazione di un’aura autorale. Raggiunto un buon successo, con tanto di partecipazioni al Festival di Sanremo, e sostituito – non senza polemiche – Chiarugi con Maurizio Salvi, per il gruppo è il momento della svolta decisiva, quella verso il progressive.
L’ossatura del “Concerto Grosso” nasce come colonna sonora de “La Vittima Designata”, thriller di Maurizio Lucidi ambientato in una suggestiva Venezia. Il film è liberamente ispirato a “Delitto per Delitto” di Alfred Hitchcock e propone un buon cast, con protagonisti Tomas Milian e Pierre Clementi. La colonna sonora è affidata a Luis Bacalov, ottimo compositore argentino, che decide di avvalersi della collaborazione dei New Trolls per dare un tocco di modernità rock alle sue partiture classiche. La canzone “My Shadows in the Dark”, cantata nel film da Tomas Milian, verrà ripresa nel disco.
Nel 1971, l’operazione di unire la strumentazione rock all’orchestra era già stata tentata varie volte: Deep Purple, Moody Blues e Procol Harum ne erano buoni esempi. I Jethro Tull avevano invece unito più volte rock e musica classica, pur rimanendo nell’ambito degli strumenti rock. In Italia era però la prima volta e – inoltre – i ragazzi di Genova furono i primi a cimentarsi in un’operazione più complessa: oltre a collaborare con un’orchestra, i New Trolls in “Concerto Grosso” adottano lo schema vero e proprio delle tipiche composizioni barocche denominate appunto “concerti grossi”. Si tratta, in breve, di un tipo di composizione in tre movimenti, in cui un gruppo di solisti (concertino) si alterna – in genere senza sovrapporsi – all’orchestra vera e propria (concerto grosso). L’operazione gode del plauso della critica e del successo di pubblico, vendendo ben 800mila copie e dando la stura a un effluvio di complessi prog.
Parliamo ora del disco, pietra miliare del progressive italiano.
Si parte con “Allegro”: si sente l’orchestra che, in una sorta di prova generale, suona in modo disordinato prima di venire richiamata all’ordine dalla bacchetta del direttore; parte il violino solista, subito inseguito da stacchi rock, e si prosegue con l’orchestra che viene puntualmente inseguita dalla band, in un suggestivo alternarsi di rock e classica. Particolarmente in luce il flauto, suonato con maestria da De Scalzi, che ricalca lo stile allora molto in voga di Ian Anderson dei Jethro Tull, e la funambolica chitarra di De Palo, vero virtuoso della sei corde.
Si prosegue con “Adagio (Shadows)”, che è in pratica il brano cantato che già figurava ne “La Vittima Designata”. La melodia barocca, molto efficace, fa da sfondo a un breve testo ispirato in parte al monologo “Essere o non essere” dell’Amleto di Shakespeare. La chitarra di De Palo, lavorando sulle note basse con un suono quasi da “spaghetti western”, riprende la struggente melodia. Il connubio con l’orchestra e con le belle partiture classiche di Bacalov è davvero riuscito: un brano forse un po’ ruffiano, ma che ancora oggi mette i brividi.
Il terzo movimento, “Cadenza – Andante con moto”, introdotto dal grido struggente del violino solista, riprende la melodia del pezzo precedente. È forse il brano in cui l’orchestra detta maggiormente la linea, fondendosi perfettamente con la strumentazione più moderna, prima che il canto venga ripreso brevemente.
Il “Concerto Grosso” vero e proprio, nella sua struttura ufficiale, termina qui; tuttavia il pezzo che all’epoca chiudeva il lato “A”, “Shadows (Per Jimi Hendrix)”, riprende in toto la struttura dei pezzi precedenti. Stavolta però assistiamo all’esibizione della sola band, e in particolare è Nico De Palo a prendersi le luci della ribalta. Il chitarrista dedica il brano al suo idolo e più grande ispiratore, Jimi Hendrix, all’epoca scomparso da poco.
Il lavoro di De Palo è come sempre portentoso e conferma come in quel momento fosse uno dei migliori chitarristi italiani sulla piazza; il suono è distorto e corposo, l’esecuzione perfetta e la fantasia nell’assolo è degna di tanti strumentisti più celebrati. Da segnalare anche il lavoro al flauto di Vittorio De Scalzi, pienamente calato nelle atmosfere dell’epoca.
Si conclude così il primo lato di questo disco seminale; il secondo è una vera sorpresa, anche per i canoni sperimentali del tempo: una lunga improvvisazione in sala di registrazione, intitolata per l’appunto “Nella sala vuota – Improvvisazioni dei New Trolls registrate in diretta”. Nelle intenzioni del gruppo, questa lunghissima jam session avrebbe dovuto catturare l’energia sprigionata nelle esibizioni dal vivo. Operazioni di questo tipo sono state tentate spesso, con tanto di applausi posticci e quant’altro: i risultati in genere sono al di sotto delle aspettative; nel caso dei New Trolls il tentativo è abbastanza riuscito. Tra cambi di ritmo, lunghi assoli e il breve inserto cantato, il risultato non annoia e scorre via liscio. La parte cantata è presa da “Il Sole Nascerà”, un 45 giri del 1969.
Tutti gli strumentisti hanno l’occasione di mettersi in luce; oltre ai già citati De Palo e De Scalzi, abbiamo una bella parte di organo Hammond di Maurizio Salvi, che partecipa al disco in qualità di ospite ma sarà poi inserito a pieno titolo in organico, e un assolo di circa sette minuti del batterista Gianni Belleno. Forse l’unica parte in cui effettivamente il rischio della noia si palesa.
Il disco è insomma un piccolo gioiello del nascente prog e sfoggia un suono che è l’emblema degli anni ’70: impossibile – ascoltando certe parti – non immaginare i giovani capelloni suonare sul palco in una trance quasi mistica, o scene di polizieschi all’italiana dell’epoca. Più triste è invece pensare agli sviluppi del percorso dei New Trolls, che sembravano lanciatissimi verso una carriera luminosa. Il successivo “Searching For A Land” vola alto: pensato per affacciarsi al mercato internazionale e cantato in inglese, il disco si rivela forse troppo pretenzioso e il successivo “Ut” – del tutto inaspettatamente – pone addirittura la parola fine alla prima parte della storia del gruppo. De Palo vorrebbe un suono sempre più duro, mentre De Scalzi preferirebbe virare verso un prog più delicato, di matrice Genesis: lo scioglimento, con tanto di liti e beghe legali, è inevitabile, e i progetti satellite non avranno mai il successo di “Concerto Grosso”.
Anni dopo la reunion preluderà a grandi successi commerciali, a scapito però della qualità compositiva, con il ritorno a uno scialbo pop melodico da classifica; un percorso peraltro comune ad altri artisti del prog, rimasti orfani del movimento che – dopo il 1975/76 – perderà gran parte della forza.
Luis Bacalov tenterà ancora la strada del crossover tra rock e classica, prima con gli Osanna e il sottovalutato lavoro per “Milano Calibro 9”, poi con “Contaminazione”, disco dal titolo programmatico de Il Rovescio della Medaglia.
A noi rimane comunque la soddisfazione – e la nostalgia – per quella breve stagione, in cui l’Italia era capace di dire la sua anche in un mondo che rimarrà sempre avulso dai nostri canoni musicali.