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“Life Begins At 40”: quarant’anni senza John [Prima Parte].

In due canzoni registrate nel corso del 1980, “Woman” [pubblicata il 12 Gennaio 1981] e “(Just Like) Starting Over” [pubblicata il 24 Ottobre 1980], John Lennon sembrava aver raggiunto un punto di perfetto equilibrio nella propria vita,

avendo finalmente risolto problematiche interiori, traumi e disagi che l’avevano accompagnato sin dalla più tenera età e che nel 1970 – l’anno dello scioglimento dei Beatles – l’avevano portato dal celebre psicologo Arthur Janov. L’eviscerare i traumi vissuti sino ai 30 anni era stata un’esperienza di capitale importanza, dato che aveva costituito la base per il suo primo disco solista (11 Dicembre 1970).

Lennon, fortemente cambiato rispetto agli anni del successo planetario con i Beatles, riteneva che l’aver raggiunto i 40 anni (cosa tutt’altro che ovvia per una rockstar) non costituisse l’anticamera del pensionamento, la prefigurazione di una fase calante dopo aver fatto fuoco e fiamme in gioventù, ma l’inizio di una nuova età nellavita di un uomo, e della sua in particolare. In una demo di registrazione casalinga (anch’essa postuma) aveva tratteggiato quello che sembrava un inno scanzonato al nuovo capitolo di vita che gli si apriva davanti. In “Life Begins At 40″, significativa era quella strofa in cui affermava che “they say life begins at forty / Age is just a state of mind / If all that’s true / You know that I’ve been dead for thirty-nine”. Nonostante John volesse dare la canzone a Ringo, ritenendola adatta alla sua estensione vocale e al suo stile, essa rimase solo una demo, dato che la prematura scomparsa del Grande Artista sicuramente addolorò e turbò il suo ex compagno di band (anch’egli nato nel 1940).

Lennon aveva appena compiuto gli anni – il 9 Ottobre– quanto la tragedia troncò di netto i suoi piani per il futuro, sia quelli in corso che quelli ancora da realizzare. Per chi ama veramente il Musicista, e non smette di essergli grato per quanto ha lasciato in eredità all’umanità, l’8 Dicembre è un giorno davvero triste, di quelli che si vorrebbe poter cancellare. Pochi secondi furono sufficienti al venticinquenne Mark David Chapman (n. 1955) per porre fine – dopo mesi di pianificazione – all’esistenza di colui che nella sua mente malata, distorta e problematica, era dipinto come un idolo delle folle che aveva predicato la pace e l’amore universali, ma che in privato aveva disatteso con la sua vita di celebrità immersa nell’agio. Chapman, divenuto cristiano presbiteriano a partire dal 1971, aveva alimentato la propria rabbia cieca fissandosi in particolare su alcune affermazioni fatte da Lennon nei pochi anni precedenti, in primis sulla celeberrima frase del 1966 in cui il musicista aveva affermato che i Beatles erano “più famosi di Gesù Cristo”.

A mandare su tutte le furie l’instabile Chapman era stata anche la canzone “God”, contenuta nel disco Plastic Ono Band, del 1970: in essa l’autore affermava non solo che “God is a concept / By which we measure / Our pain”, ma – secondo Chapman – rincarava la dose sostenendo che non credeva né in Gesù né nella Bibbia (“I don’t believe in Jesus / I don’t believe in Bible”). Il paranoico giovane aveva altresì deciso di modellare la propria vita su quella del disadattato protagonista del romanzo The Catcher In The Rye, Holden Caulfield. Combinare insieme l’estremismo cristiano, l’irrisolta frustrazione verso l’ipocrisia delle celebrità e l’identificazione intensa con un personaggio letterario ai limiti della società non poteva che produrre effetti disastrosi.

Gli ultimi minuti di vita di John Lennon si svolsero nel luogo che avrebbe dovuto essere il più sicuro in assoluto: casa sua. Sin dal 1973 – nel pieno della battaglia da lui sostenuta per evitare che l’amministrazione Nixon lo espellesse dagli Stati Uniti come personaggio politicamente scomodo – il musicista viveva in un complesso residenziale edificato alla fine dell’Ottocento e gestito da una società immobiliare. Costituito da appartamenti lussosi e ampi (quello della coppia Lennon-Ono era addirittura triplo), era conosciuto come il Dakota. Edificio massiccio, con tetti spioventi che ricordavano il castello di Neuschwanstein, presentava un ampio ingresso, coperto da una volta, verso la 72ª strada. La sera dell’8 Dicembre 1980 Lennon e Ono, dopo una giornata trascorsa ai Record Plant Studio, erano rincasati per salutare il loro figlio Sean, di cinque anni.

Usciti nuovamente per recarsi al ristorante, avevano notato che sotto la volta dell’ingresso del palazzo stazionava lo stesso ragazzo incontrato nello stesso punto poche ore prima, quando si era rivolto a Lennon per chiedergli di autografare la sua copia di Double Fantasy, disco che l’artista britannico aveva pubblicato poche settimane prima (il 17 Novembre). Dopo alcuni istanti il giovane si era girato verso Lennon puntandogli addosso la propria pistola. Al di là del differire di alcuni particolari tra le versioni dell’accaduto (la posa da tiratore, il nome della vittima pronunciato per spingerla a girarsi), Chapman sparò cinque colpi, in rapida successione, alla schiena dell’artista, che non morì immediatamente.

[L’articolo prosegue nella seconda e ultima puntata]

— Onda Musicale

Tags: John Lennon, Ringo Starr, Mark David Chapman, Plastic Ono Band
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