Born to Run è il terzo album del cantautore statunitense Bruce Springsteen. E’ stato pubblicato nel 1975 ed è risultato molto apprezzato da pubblico e critica.
Nel 2003 il lavoro discgrafico del Boss è stato inserito alla posizione 18 nella lista dei 500 migliori album di tutti i tempi della rivista Rolling Stone. Quello che stiamo parlando è l’album che ha segnato indubbiamente una svolta per l’intera carriera di Bruce Springsteen. Infatti, dopo due album davvero interessanti, sia dal punto di vista musicale che per i testi, Born to Run riesce ad attirare l’attenzione del grande pubblico. Forse anche per un’accezione più rock rispetto agli altri due lavori, con testi più poetici e incisivi. Non è un caso che quasi tutti i brani presenti nel disco sono diventati dei cult, eseguiti in quasi tutte le date del tour di Springsteen.
Tuttavia Bruce non ha apprezzato l’album all’inizio. Si, avete capito bene. Il cantautore ha rivelato che istintivamente, dopo aver ascoltato la versione finale di Born To Run nel 1975, avrebbe voluto lanciare l’album classico nella piscina del suo hotel. “Quando inizi per la prima volta, non sei abituato a sentire te stesso”, ha detto Springsteen a Jimmy Fallon al The Tonight Show. Poi ha proseguito affermendo: “Anche due o tre dischi, non riuscivo ad abituarmi al suono della mia voce. Molto spesso, ti suona terribile. Stai facendo tutte queste scelte con le quali finisci per non sentirti a tuo agio. L’ho registrato quando avevo 24 anni, sai?”. Sarà la giovane età e l’imbarazzo nel sentire la sua voce, ma Bruce non riusciva proprio a digerire l’album. “In ogni caso, l’abbiamo rilasciato e ha funzionato bene”. E aggiungo: menomale che è stato rilasciato.
Questa negatività forse era derivata dalla realizzazione di Born to Run che fu davvero disagiata per Bruce Springsteen. Questo perché il cantautore non aveva un modello predefinito, ma un sacco di riferimenti sparsi, spaziava da Bob Dylan ai Beatles, ascoltava il rhythm’n’blues e il soul, andava da Motown a Elvis, poi passava per gli Who, Roy Orbison, Bo Diddley e molti altri artisti tra loro totalmente diversi. Un genere che non vedeva luce, che era confusionario. E forse proprio questa confusione che ha generato Born to Run, un album completo e ben definito.
La lunga gestazione del disco cominciò agli inizi del 1974, quando in fondo a un testo titolato Wild Angels Bruce mise la fatidica frase “tramps like us, baby we were born to run”. A febbraio, le tensioni tra il batterista Vini Lopez, E-streeter della prima ora, e il sassofonista Clarence Clemons esplosero in una lite furibonda nel corso della quale “Big Man” fece a pezzi l’appartamento che i due condividevano con Danny Federici e tre boa costrittori. Lopez finì licenziato e rimpiazzato da Ernest “Boom” Carter. In studio le cose andavano a rilento e a luglio il pianista David Sancious comunicò a Bruce che lasciava la band e “Boom” lo avrebbe seguito. Il lavoro quindi si fermò finché nel giro di un mese arrivarono Roy Bittan e Max Weinberg, selezionati fra un centinaio di musicisti che avevano risposto a un annuncio. Quando venne l’inverno, il produttore e manager di Springsteen, Mike Appel, avvisò la CBS che bisognava rinviare l’uscita del disco perché Bruce non era soddisfatto del lavoro. Il lavoro al Record Plant si concluse finalmente con una sessione durata 72 ore e terminata al mattino del 20 luglio quando Springsteen incise la voce per She’s the One e fu completato il missaggio di Jungleland.
Per quanto riguarda la copertina dell’album, Springsteen si è manifestato più positivo. Ha chiamato Born to Run “una delle copertine dei miei album preferiti, quella che significa di più per me. La cosa bella di quella copertina è che racconta una storia. È l’inizio di una narrazione. Ti fa subito pensare all’amicizia, all’elettricità, alla magia musicale. È l’inizio di una favola”.
Una copertina che oggi è considerata un vero e proprio classico per la musica internazionale.
Isabella Insolia – Onda Musicale