Quante volte abbiamo sentito pronunciare la frase “chissà cosa sarebbe successo se..” / chissà come sarebbero andate le cose se…?”
Una domanda legittima, ma che spesso rischia di suonare come una frase fatta o come un interrogativo al quale è difficile rispondere senza sconfinare nella fantascienza. Chiedersi dove sarebbe arrivato Alessandro Magno se non fosse prematuramente scomparso a 33 anni molto probabilmente non ha senso; chiedersi come avrebbe completato la sua Cupola Brunelleschi, o come avrebbe ultimato le sue sculture Michelangelo è certamente più sensato, anche se la risposta definitiva potrebbe arrivare solo con una seduta spiritica.
Nel campo della Musica il non-finito è seducente tanto quanto gli esempi poc’anzi fatti
Pensando a quei dischi che non hanno mai visto la luce se non anni dopo la loro concezione, il pensiero corre subito a First Rays Of The New Rising Sun, monumentale e grandioso lavoro al quale Hendrix stava lavorando al momento della morte, nel Settembre 1970. Il disco come l’autore l’aveva verosimilmente immaginato uscì nel 1997 grazie al lavoro dell’ingegnere del suono Eddie Kramer, che ebbe parecchio da fare nel dare una forma coerente alla massa di materiale registrato nonché agli appunti del chitarrista di Seattle.
In questo articolo invece vorrei parlarvi di un altro non-finito, ma stavolta di un autore vivente, unanimemente considerato un genio: Brian Wilson (20 Giugno 1942)
Anche nel caso suo ritengo che il presentarlo sia cosa superflua. Con la sua band di Hawthorne sin dal 1961 aveva costruito il sound della California, quella terra promessa dove la giovinezza poteva trovare il suo momento di gloria tra belle ragazze, surf e macchine potenti. Con il passare degli anni Wilson aveva trovato sempre più limitante quello stile che aveva consacrato i Beach Boys sulla scena musicale mondiale. Il bisogno di esplorare nuovi territori e di scoprire una dimensione musicale più matura e adulta l’aveva portato a concepire quel grandioso progetto noto come Pet Sounds: a distanza di 55 anni dalla sua pubblicazione (16 Maggio 1966) un disco che ha conservato immutato il fascino straordinario di cui gode (meritatamente), e che la rivista Rolling Stone ha collocato al secondo posto (dietro a Sgt. Pepper’s) nella sua classifica dei 500 Migliori Album di ogni tempo (edita nel 2003).
Nel 1966 l’abilità compositiva di Wilson – già di per sé notevole, soprattutto dal punto di vista degli intrecci armonici che era in grado di tessere – si stava elevando ad una quota davvero impensabile per la musica pop del tempo (senza togliere nulla alla creatività di altri musicisti attivi nello stesso periodo, in primis il duo Lennon & McCartney). Il musicista americano dimostrava una versatilità fuori dal comune nella composizione modulare: con tale espressione ci riferiamo a quel processo che consiste nel plasmare un brano come se fosse una sinfonia in miniatura (oppure un’architettura, o addirittura un film), quindi disegnandone accuratamente le sezioni costitutive, per poi combinarle accuratamente in un insieme coerente e armonico (non che non lo si debba fare in ogni caso).
La realizzazione di ciascun segmento di un brano prevedeva armonizzazioni vocali complesse, il ricorso ad una vasta gamma di strumenti musicali nonché funamboliche operazioni di montaggio dei nastri
In base a questa descrizione, e tenendo conto del proverbiale perfezionismo di Brian in sala di registrazione, possiamo immaginare quanto impegnativo sia stato il lavoro per dare alla luce un degno successore di Pet Sounds, un’opera che conquistasse il panorama musicale mondiale non solo del 1967, ma di ogni tempo, che sbaragliasse la concorrenza coeva e che si ponesse come imprescindibile termine di confronti per chiunque avesse ambito a fare il musicista.
Le prime registrazioni di quel disco che la Storia avrebbe conosciuto con il nome di Smile iniziarono, in maniera del tutto informale, a metà Maggio 1966, addirittura pochissimi giorni prima dell’uscita di Pet Sounds (realizzazione della traccia strumentale di “Heroes And Villains”), ma “ufficialmente” presero il via all’inizio di Agosto con le prime sedute per “Wind Chimes”. In Ottobre uscì quel singolo il cui Lato A era “Good Vibrations”. In quel momento la stampa sventolò il nuovo brano come un vessillo rappresentativo di quello che sarebbe stato il nuovo disco del gruppo californiano. Nei mesi successivi si innescò un meccanismo perverso al cui centro si trovò il perfezionismo di Wilson, elemento di punta di una complessa personalità – in cui del resto trovavano spazio anche il disagio nonché l’invidia nei confronti di altri Grandi della scena musicale del tempo – che durante la sofferta gestazione di Smile aveva iniziato a dimostrare un comportamento bizzarro (probabile segno di incipienti problemi mentali), certamente acuito dall’abuso di droghe.
La complessità di Wilson certamente non fu d’aiuto nei rapporti quotidiani sia con gli altri membri dei Beach Boys che con il paroliere Van Dyke Parks e la Capitol, quest’ultima impegnata a posticipare continuamente la data di uscita del disco tanto atteso. Un disco che la campagna pubblicitaria creatagli attorno dalla casa discografica faceva diventare ogni settimana, ogni mese, sempre più atteso.
[Il racconto prosegue nella seconda e ultima puntata]