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Joe Cocker: ecco gli 8 dischi che lo hanno reso immortale

Joe Cocker a Woodstock

Ex idraulico di Sheffield con la passione per il blues, il soul e la musica nera, John Robert Cocker inizia la sua carriera musicale all’età di 15 anni diventando poi famoso per la sua cover di “With A Little Help From My Friends” dei Beatles e per la colonna sonora del film “9 settimane e mezzo” (1986).

Il cantante italiano Zucchero ha modellato il proprio stile e le proprie movenze proprio su quelle di Joe Cocker. Oltre ad aver vinto Oscar e Grammy, nel 2007 Joe Cocker è stato nominato Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico (OBE), quasi a sancire la sua trasformazione.

Nella sua grandiosa carriera, fatta di alti e bassi causati spesso dall’abuso di alcool e droghe, ha realizzato 22 dischi in studio, 10 live e 18 raccolte. Nel 2008 la rivista americana Rolling Stone lo colloca al 97mo posto della classifica dei migliori cantanti di ogni tempo. Muore di cancro ai polmoni il 22 dicembre del 2014. (leggi l’articolo)

https://www.youtube.com/watch?v=tfLyK2DVVUU
Una delle sue immagini più iconiche è la foto che lo ritrae sul palco di Woodstock il 17 agosto del 1969 mentre esegue una versione struggente di “With A Little Help From My Friends”.

L’origine del soprannome “Joe”, secondo diverse testimonianze familiari, nasce da un gioco chiamato “Cowboy Joe” a cui lui amava molto giocare.

Ecco 8 album che, secondo noi, lo hanno reso immortale.

1) With a Little Help from My Friends (1969) E’ il suo album d’esordio che lascia presagire quello che avrebbe potuto essere. E che sarà. Oltre alla title track, compaiono Don’t Let Me Be Misunderstood, Just like a Woman e I Shall be Released, entrambe di Bob Dylan

2. Jamaica Say You Will (1975). Probabilmente non si tratta del suo disco più conosciuto ma certamente è un ottimo lavoro che sta in perfetto equilibrio fra rock e blues con qualche tinta di soul e gospel. Fra i brani più significativi ricordiamo “Lucinda“.

3. Mad Dogs & Englishmen (live del 1970) Primo disco dal vivo del leone di Sheffield realizzato con la collaborazione di 10 musicisti, 11 cantanti, 5 cameramen, 3 ingegneri del suono. E’ un autentico mix di droghe ed eccessi tipici di quel periodo ma, tuttavia, può essere considerato uno dei punti più alti della sua gloriosa carriera anche se, per certi versi, è un mix del meglio e del peggio del suo repertorio. Ascoltare per credere.

4. Cocker (1986) Il disco di You Can Leave Your Hat On, ma anche di altri grandi brani come Don’t You Love Me AnymoreShelter me e la cover di Inner city blues di Marvin Gaye

5. Unchain My Heart (1987) La title track è un brano inciso per la prima volta da Ray Charles nel 1961. Nella tracklist compare anche Isolation tratta dal primo album solista di John Lennon, che è uno dei pezzi più amati di sempre dall’ex Pink Floyd  Roger Waters.

6. Organic (1996). Probabilmente si tratta del suo disco più ricco ed abbondante di contenuti, dopo qualche anno di pausa. Un’amalgama di vecchi pezzi rivisti in una nuova chiave interpretativa, assieme ad una manciata di nuove cover (che negli album di Cocker non mancano mai); rivisitazioni magnifiche di brani di Bob Dylan, Van Morrison, Randy Newman, Stevie Wonder, infarcite di un buon vecchio e sano blues. Dopo un periodo buio (dovuto a droghe ed alcool) con questo disco Joe ritrova (almeno in parte) se stesso.

7. Civilized Man (1984) E’ il nono disco di Cocker ed è un concentrato di ballate, forse un tantino malinconiche, ma che lascia presagire quello che avverrà dopo poco: la sua rinascita musicale.

8. Fire It Up (2012). Merita di essere menzionato non fosse altro perchè è il suo ultimo disco (il 22mo). In ogni caso si tratta di un lavoro ottimamente realizzato che raccoglie tutti gli elementi caratterizzanti di Cocker: la voce straordinaria e la sua musica. Fra tutti i brani impossibile non ricordare la magnifica “I Come in Peace“.

— Onda Musicale

Tags: Joe Cocker, Roger Waters, The Beatles
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