C’è il respiro della natura nelle sale del Mart di Rovereto, aperte come non mai per lasciare spazio alle opere di Giuseppe Penone, tra gli artisti italiani più apprezzati anche all’estero.
Grandi installazioni, sculture, e qualche dipinto-traccia a muro. Marmo, bronzo, creta, terra. E foglie che respirano del respiro dell’uomo. Cortecce come culle o navicelle, scaglie del pianeta Terra. È una grande immersione nei tempi arcaici e circolari del mondo vegetale che Penone trasporta dentro la peculiare natura umana ristabilendo, attraverso uno sguardo fatto anche di contatto fisico, un legame che egli non vuole sia spezzato.
Le forme umane che nascono dai vasi di terra (non tutti perché non tutte le terre sono fertili, o non tutte le terre lavorano allo stesso tempo e allo stesso ritmo) e si intrecciano con le stesse piante, immettono direttamente e con molta energia in un atavico connubio primigenio. È “l’uomo-pianta” che nonostante si cristallizzi in gesti squisitamente umani resta infitto nella suo humus originario.
È la ferma mano dell’uomo che misura e stringe in gesto rapinoso il nodo del tronco ferendolo. Una natura che si vorrebbe dominata più che rispettata. Sono le forme dei piccoli busti contaminati dal fango creativo. Sono le millenarie rughe incise nei marmi a dire che c’è un eterno. A rammentarci che niente possiamo e siamo di fronte a questo.
E a risvegliare in noi la consapevolezza di sentirci parte di qualcosa di ben più grande della dimensione umana: una natura che sovrasta e che nutre e del cui vocabolario chimico siamo fatti. Penone è un figlio artista che lavora, elabora, propone, riattualizza in ogni momento questo discorso che, come fiume carsico, non smette di essere detto e di scorrere in ciascuna “cosa” vivente. Possiamo essere mentori o malati a seconda della memoria delle radici che siamo in grado di conservare.
La mostra resterà aperta fino al 26 giugno 2016.
Clara Lunardelli