L’autore di uno degli album-cult del minimalismo anni ’80, dopo ben 30 anni di silenzio, torna a stupire con un nuovo brand e un lavoro musicale di grande suggestione, cantando parole di David Foster Wallace.
La mia musica nasce prevalentemente in una stanza semibuia, di notte, con le luci della strumentazione elettronica davanti a me… pronte ad ispirarmi”, racconta celiodie.
Che ha iniziato a creare musica elettronica al computer, sin dagli albori, dal 1979, unendo ai sintetizzatori suoni concreti che lui stesso registra, suoni della natura, suoni meccanici, cigolii, scricchiolii che poi diventano note e percussioni.Ci sono anche parti strumentali appositamente preparate da Paolo Grandi, suo storico collaboratore.
“Wet” prende forma durante il primo lockdown. Inizia con accordi e timbri elettronici molto ricchi, ascoltati con profonda concentrazione, da cui nascono poi ritmi e melodie da inserire via via in questo vero e proprio viaggio nel suono.
La novità di questo lavoro è che il viaggio acquista un passo di danza, talvolta con la cadenza di una corsa, e talvolta invece come un lasciarsi galleggiare in fiumi, torrenti e maree. Ecco perché a differenza di lavori precedenti celiodie ha voluto inserire sezioni ritmiche elettroniche piuttosto possenti ed incisive.
Il brano del singolo, “Wet Dance”, rappresenta l’apice in questa ricerca di movimenti di danza rituale e ipnotica ed è inserito nell’album dove si può ascoltare l’intera gamma di queste danze che talvolta sfociano in movimenti lenti come sott’acqua.
“Wet” contiene anche un brano cantato, ispirato da un frammento di David Foster Wallace dove l’autore, rivolgendosi a una canzone, dice alla musica che dapprima lo fa sentire caldo e al sicuro e poi vuoto e angosciato.
Afferma l’artista: Mi è sembrato che quelle parole chiedessero di essere trasformate davvero in una canzone che culla, consola e nello stesso tempo inquieta. In questo modo l’intero album diventa una sorta di rito di guarigione dall’angoscia”.
Bio
Franco Nanni in arte celiodie ha una formazione classica in organo e pianoforte, ma inizia il suo personale percorso musicale a fine anni ‘70 nella fucina del corso di Musica Elettronica al Conservatorio di Bologna con Gianfelice Fugazza. Dopo varie esperienze sulla scena bolognese, pubblica “Lost Time”, un esemplare, insolito ma non troppo, di “italian disco” anni ‘80 che uscì con il brand “VideoClub”.
Con il brand elicoide esordisce con il suo primo album solista nel 1987 affiancato da Paolo Grandi al contrabbasso. Un disco meditativo e mistico, quasi ignorato in Italia ma apprezzato in USA, Giappone e Canada, che un paio di decenni dopo diventerà un culto, “uno degli holy grail del collezionismo musicale” (scrive D’Antoni sul Giornale della Musica) fino alla ristampa (nel trentennale dall’uscita) su doppio vinile con le registrazioni originali dell’87 e altri inediti del tempo (Affordable Inner Space 2017).
Nel 1990 esce “L’angelo dei numeri” con una formazione allargata (Elicoid Ensemble) che affianca all’elettronica anche una suite di brani interamente acustici.