Cultura ed eventi

“Post Fata Resurgam”. Il Gran Teatro La Fenice di Venezia [Prima Parte]

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Teatro La Fenice

“Post Fata Resurgam” (cioè risorgerò dopo la morte): espressione latina che allude nel modo più limpido ed elegante possibile a quella leggendaria creatura nella cui morte era contenuto il seme della propria rinascita.

Mi riferisco alla fenice, senza dubbio resa particolarmente familiare al grande pubblico tramite opere come la saga di Harry Potter, ma la cui identità è saldamente costruita su una tradizione secolare. In questo articolo la fenice di cui ci interessa discorrere non è un uccello, ma un teatro, uno dei più famosi in Italia, vanto della Città di Venezia. La sua storia è iniziata nel 1792: in 229 anni di attività due sono state le volte in cui essa ha dovuto lottare per rinascere dalle proprie ceneri – nel 1836 (in piena epoca austriaca) e nel 1996.

Il disastro

Il disastro del 1996 – era il 29 Gennaio – è rimasto impresso nella memoria nazionale perché ebbe il triste privilegio di essere documentato in diretta dalla televisione, sia nazionale che regionale. Le riprese del tragico e drammatico evento le possiamo visionare sul canale YouTube de La Fenice.

A distanza di 25 anni vedere le fiamme lambire e divorare le viscere dell’edificio, annerendone e quasi carbonizzandone le strutture murarie, è una ferita che si rinnova continuamente, un dolore acuito dalla consapevolezza dell’immenso valore artistico di quanto era stato incenerito da un fuoco di origine dolosa: i responsabili di questo crimine, identificati dopo attente indagini, furono identificati negli elettricisti Enrico Carella e Massimiliano Marchetti.

Carella, titolare di una piccola ditta, era impegnato insieme al cugino, ad effettuare lavori di manutenzione del teatro. Trovandosi la sua impresa in difficoltà economiche, e volendo lui evitare la penale prevista per lavori ultimati in ritardo, pensò di provocare un piccolo incendio così da giustificare l’inadempienza per “cause di forza maggiore”. La cosa gli sfuggì di mano e lo si vide chiaramente in quei freddi giorni di fine Gennaio, quando il bagliore delle fiamme illuminò Venezia. Carella e Marchetti, dopo un lungo processo, furono riconosciuti colpevoli con una sentenza della Cassazione del Luglio 2003.

La rinascita

Sempre nello stesso anno si poté celebrare la rinascita della Fenice: nei giorni dal 14 al 21 Dicembre il rinato Teatro fu celebrato con un tripudio di concerti aperto dalla direzione del Maestro Riccardo Muti e dalla presenza dell’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi (1920-2016).

La seconda vita del teatro fu confermata e consacrata pochissimi giorni dopo dal Concerto di Capodanno: dal 1 Gennaio 2004 il tempio musicale veneziano affianca quello altrettanto celebre del Musikverein di Vienna. In questo tempo di pandemia entrambi gli appuntamenti del Capodanno 2020/2021 sono andati in onda su Rai 1, ovviamente senza pubblico (li possiamo rivedere grazie all’applicazione Rai Play).

Le immagini televisive

Dalle immagini televisive, a maggior ragione se viste in alta definizione, possiamo indugiare nelle decorazioni della sala ammirandone particolari che a occhio nudo non si vedrebbero bene, né per le dimensioni né per la distanza (es. i particolari del loggione o addirittura del soffitto).

Ripercorriamo, per sommi capi, la storia di questo celeberrimo gioiello della Città lagunare, soprattutto per renderci conto del patrimonio di inestimabile valore che andò bruciato a metà anni Novanta e che, dalla ricostruzione in avanti, bisogna tutelare con amore ancor più grande.

L’anno 1789

Nello stesso anno in cui inizia la Rivoluzione Francese, a Venezia veniva proclamato il bando per l’edificazione di un nuovo teatro, modificando così quella legge che aveva fissato a sette il numero massimo delle istituzioni operanti nel settore (due erano dedicate al dramma, mentre le restanti cinque alla musica).

Prima che nascesse quello che sarebbe diventato il teatro principe di Venezia il suo ruolo era detenuto dal Teatro San Benedetto, voluto nel 1755 dalla Famiglia Grimani e situato nei pressi di Campo San Luca (trasformatosi in multisala, ma attualmente chiuso). Nei decenni successivi il San Benedetto fu ceduto alla Nobile Società dei Palchettisti che ne detenne la proprietà fino al 1787, quando una sentenza la costrinse a cederne la proprietà ai Venier, dato che erano i legittimi possessori del terreno su cui sorgeva l’edificio in questione.

Privata del suo principale teatro, la Nobile Società decise di erigerne uno nuovo: l’area del futuro cantiere venne identificata in una zona a metà strada tra la chiesa di Santa Maria del Giglio (Zobenìgo in veneziano) e quella di San Fantìn (nelle vicinanze del prestigioso Ateneo Veneto). Si stabiliva che il nuovo edificio dovesse avere cinque ordini scanditi in 35 palchetti ciascuno “secondo il costume d’Italia”: specificazione tutt’altro che ovvia, dato che in Francia – per fare un esempio – i “palchetti” non erano separati.

Il bando

Nel bando relativo all’erigendo teatro si specificavano tutte le caratteristiche dell’edificio: oltre alla questione dei palchetti chiusi venivano messe per iscritto caratteristiche come l’accesso dalla via d’acqua (più precisamente dal Rio Menùo) oltre a vari accorgimenti tecnico-edilizi volti a garantire da un lato la sicurezza del pubblico, dall’altro a scongiurare, o quantomeno a limitare, l’eventualità di incendi oltre che l’entità dei danni alle strutture, dato che nei teatri il legno e le fiammelle dei candelabri erano particolarmente vicini.

Si stabilivano altresì cose certamente più piacevoli come la collocazione di un punto ristoro dove gli spettatori potessero godersi un buon caffè nonché vari generi commestibili. In ultima, cosa non meno importante di quanto precedentemente stabilito, il Teatro de La Fenice doveva essere stilisticamente ed architettonicamente degno di reggere il confronto con quanto era stato realizzato dai Grandi Palladio, Scamozzi, Sansovino, Sanmicheli “ed altri valentuomeni del Bel Secolo”.

I candidati e i loro progetti

Nell’arco del semestre valido per la presentazione dei modelli i nove candidati presentarono un totale di 28 progetti (immaginiamo tre per ciascun architetto). Dal confronto ne uscì vincitore Giannantonio Selva (1751-1819), veneziano doc e contemporaneo – oltre che amico – di Antonio Canova (1757-1822).

Il progetto del Selva – dato che all’epoca bisognava realizzarne un modello ligneo, cosa che ne ha garantito la sopravvivenza sino ai nostri giorni – prevedeva che il programma decorativo del Teatro celebrasse le divinità ed i personaggi della Classicità chiaramente associati alla Cultura nonché alle Arti (d’altronde eravamo in piena epoca neoclassica): sulla facciata dalla parte del Rio Menùo / Rio de la Vesta egli ipotizzava un riquadro ad affresco raffigurante Apollo e le Muse che civilizzano l’Umanità; anche sulla facciata verso Campo San Fantìn immaginava di collocarvi riquadri ad affresco raffiguranti Apollo e Marsia nonché Orfeo che ammansisce Cerbero.

Come possiamo notare, i riferimenti all’Arte della Musica e soprattutto al suo potere sulle creature viventi – fossero uomini oppure bestie – sono lampanti, o almeno lo erano per il pubblico colto del Settecento.

Continua nella seconda e ultima parte

— Onda Musicale

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