Ripercorrere la vita di Cat Stevens non vuol dire solamente raccontare la storia di un cantante dall’incredibile successo; la vita di Cat Stevens – ora Yusuf Islam – somiglia a un lungo romanzo ricco di colpi di scena.
E allora partiamo dall’inizio.
È il 21 luglio del 1947 quando a Soho, Londra, nasce Steven Georgiou. Il bimbo vanta ascendenze molto diverse, il padre è greco di Cipro e la mamma è svedese. La coppia gestisce un ristorante. Steven è un adolescente nella Londra dei primi anni Sessanta. La società sta cambiando, la capitale inglese sta per diventare la rutilante città del beat e della musica pop.
Steven è appassionato di musica folk ed è portato per vari strumenti; ama la musica tradizionale greca ma anche quella inglese e americana. Assimila tutto e inizia a proporsi per locali; Mike Hurst, ex degli Springfields, crede in lui e inizia a proporlo nel circuito dei locali folk. Insieme producono I Love my Dog, un singolo delicato e fresco che in qualche modo tradisce le origini greche di Steven.
Il pezzo è un mezzo fiasco, ma i due non si scoraggiano.
La voce calda del ragazzo mette già in evidenza lo stile e il timbro particolarissimi, che faranno la sua fortuna; il giovane ha trascorso un periodo in Svezia dove uno zio lo ha avviato alla pittura, una passione che coltiverà sempre. Un’amica gli ha invece fatto notare che i suoi occhi, dal taglio particolare, ricordano quelli di un gatto.
Steven Georgiou diventa Cat Stevens, nella prima delle sue tante trasformazioni. Vestito alla maniera della Swingin’ London, ancora senza la nera barba, pare quasi un clone di John Lennon. I singoli successivi – I’m Gonna get Me a Gun e Matthew and Son – aggiustano il tiro; arrivano i primi successi e, quando esce il primo album, un paio di pezzi sono già hit cantate da altri artisti.
In particolare, The First Cut is the Deepest è incisa da P.P. Arnold, ma poi sarà un cavallo di battaglia di Rod Stewart; Here comes my baby è invece portata al successo dai Tremeloes. In poco tempo Cat Stevens diventa una star: lo chiamano al fianco di grandi nomi come Jimi Hendrix. Il successo che piove su Steven all’improvviso porta a grandi riflessioni, anche a causa del fatto che – contestualmente – il giovane si ammala di tubercolosi.
Sono momenti difficili, per Cat Stevens; la lunga degenza e i primi contatti col mondo dello show business lo portano a riconsiderare i suoi obiettivi.
“Ciò che mi faceva soffrire – dirà poi – non era tanto la tubercolosi, quanto il constatare la falsità e la pochezza del mondo della musica leggera”.
Passano così due anni in cui Steven rimane lontano dalla musica; escono due raccolte, ma è vecchio materiale. È un periodo però di grande creatività per il cantautore: scrive tantissime canzoni, tutte con un nuovo taglio. Cat Stevens è ora un cantautore impegnato, di quelli che scrivono e cantano per far riflettere le persone.
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I temi trattati sono ora un miscuglio tra intimismo, istanze sociali e mistiche. Le sonorità sono ancora più acustiche e delicate. Anche l’immagine di Cat è cambiata: capelli lunghi e barba folta e nera, abbigliamento minimale. Il primo risultato è Mona Bone Jakon, prodotto da Paul Samwell-Smith, ex Yardbirds. Il disco è un successo e si apre con Lady D’Arbanville, uno dei suoi pezzi forti. La canzone è dedicata a Patti D’Arbanville, attrice e sua fidanzata per un breve periodo.
Nel disco suona anche un giovane e ancora lontano dalla fama Peter Gabriel; suo è il flauto in Katmandu. Alle tastiere c’è invece Nicky Hopkins. Il mood del disco varia dal quasi blues caustico di Pop Star alle reminiscenze beat di I Think I See The Light; dall’intimismo di Trouble alla straniante e breve title-track. Katmandu è un’accattivante esperimento ai limiti del folk-prog, grazie al flauto di Gabriel.
Il successo è mondiale, e Cat Stevens è un vulcano nel suo periodo di maggior creatività. In pochi mesi escono Tea for The Tillerman e Teaser and the Firecat; gli album contengono brani immortali come Wild World, Sad Lisa, Father and Son e Morning Has Broken. Il talento di Cat Stevens nel trovare sempre la melodia giusta è fenomenale; il suo timbro vocale è inconfondibile.
I dischi venduti si contano a milioni, Cat Stevens è richiesto per tour e colonne sonore; in USA demolisce record di vendite e di permanenza in classifica.
Cat però non è contento; alterna momenti di sfrenata vitalità, in cui si dà a shopping e bella vita, ad altri in cui sparisce per settimane. Alcuni parlano di problemi di salute, in realtà l’artista si ritira a volte in sperduti monasteri a meditare e cercare risposte.
La sua musica, ancora di grande successo, inizia a farsi più sperimentale. Catch Bull at the Four richiama alcuni dettami della cultura Zen, Foreigner propone invece una lunga suite. A un certo punto Cat Stevens si trasferisce addirittura in Brasile; i maligni dicono per sfuggire alle tassazioni inglesi, altri dicono per allontanarsi dall’odiato ambiente musicale.
La realtà è che Cat Stevens pare sempre più allontanarsi dal mondo della musica e – soprattutto – dalle cose terrene. Concerti e apparizioni si fanno sempre più rari. Poi, nel 1976, il fratello torna da un viaggio a Gerusalemme e gli porta in dono una copia del Corano. Per Cat Stevens è la svolta: subito si innamora del testo sacro islamico; non solo, un anno dopo, a Malibu, il cantante rischia seriamente di annegare e ha una sorta di illuminazione.
Da quel momento la decisione è presa: Cat Stevens diventerà musulmano, col nome di Yusuf Islam. È il 1979 quando Cat dà un ultimo concerto di beneficenza, vende gli strumenti e si presenta all’Imam della moschea di Regent’s Park per essere convertito all’Islam. Se l’uomo è alla ricerca della pace e vuole dimenticare la sua vita da Pop Star, è pure vero che le cose andranno in modo diverso.
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Come spesso capita ai freschi convertiti, Yusuf abbraccia la fede con furore forse eccessivo. Sposa Fouzia Ali, una ragazza turca, seguendo tutte le regole religiose; ha visto la giovane solo tre volte, ottenendo il permesso del padre e versando la dote. Apre una scuola islamica, la prima in Gran Bretagna, e si dedica anima e corpo alla sua nuova missione.
Ai figli e altri giovani, curiosi di ascoltare i dischi della sua vita precedente, Yusuf dà un ammonimento: “D’accordo, fatelo. Ma ricordatevi di ascoltarli con un interesse, come dire, storico; per capire com’ero prima. E cioè un ignorante che viveva nel buio e negli errori”.
La scelta di Cat Stevens pare senza ritorno: non c’è più spazio per la musica nella vita di Yusuf. Eppure, la buccia di banana è lì a terra che lo aspetta.
Siamo nel 1989, quando Salman Rushdie esce col suo libro I Versetti Satanici. La reazione del mondo islamico è feroce, tanto che l’Ayatollah Khomeinī lo rende il bersaglio di una Fatwā. Cat Stevens, in varie occasioni, si rende protagonista di ingenue dichiarazioni che sembrano appoggiare la condanna a morte verso lo scrittore. In realtà la verità sta nel mezzo; il cantante si è limitato a spiegare il funzionamento della condanna, condendo però il tutto di alcune battute provocatorie e fuori luogo.
La polemica è mondiale e scatena reazioni verso Cat Stevens pari quasi a quelle che vorrebbe condannare. I 10.000 Maniacs fanno cancellare da un loro disco una cover di una canzone di Cat Stevens; una radio invita a bruciare i suoi dischi, molti fan spontaneamente si disfanno dei suoi album. La questione si trascina così tanto che dopo l’11 settembre Yusuf Islam sarà considerato persona indesiderata negli Stati Uniti.
Ora Cat Stevens, alias Steven Georgiou e alias Yusuf Islam, con la maturità ha ammorbidito i suoi furori religiosi, tanto da essere tornato anche a incidere. Il tempo è passato ma la voce calda e avvolgente dà ancora i brividi.
L’uomo Cat Stevens ha trovato la serenità e la sua giusta dimensione nella fede; a noi appassionati rimane il rimpianto dei capolavori che – con quella sua voce straordinaria – avrebbe ancora potuto regalare. Ma la musica – almeno secondo Yusuf Islam – non è tutto, nella vita.