Leggiamo in questi giorni osservazioni critiche (non voglio dire polemiche) sulla presenza dei fotografi nei luoghi colpiti dal terremoto nel centro d’Italia.
Si esprime scetticismo, anche da parte degli stessi professionisti, sulle reali motivazioni che spingono a riprendere e divulgare immagini di questi eventi. Si fa riferimento ad uno spirito volto al voyeurismo, o professionalmente arrivista.
Forse non è così e forse dobbiamo applicare lo stesso metro di valutazione pensando alle disgrazie e alle violenze nel resto del mondo delle quali non ci facciamo mancare nulla, anzi, sono proprio quelle le immagini esposte in apprezzate mostre o premiate in prestigiosi premi internazionali.
Proviamo a prendere un’altra strada nell’interpretazione di questi fatti e nel farlo utilizziamo proprio due delle foto maggiormente trasmesse dai media. Quando guardiamo l’immagine di una situazione umanamente tragica possiamo farlo cercando di accordare le nostre capacità empatiche, la nostra compassione che ci conducono nel cuore dell’esperienza che stiamo guardando.
A cosa serve, ci si chiede. Una possibile risposta è che rendere palese e conosciuta una sofferenza, attraverso la fotografia (qui ci limitiamo solo a questa forma) non sia solo il desiderio di sentirsi immuni o salvi dal dolore guardando quello degli altri, perché questa è una lettura troppo semplice dei fatti e dei modi del nostro comportamento.
A noi sembra, sinceramente, che questo tipo di immagini serva principalmente a mantenerci umani, ovvero capaci di essere in sintonia emotiva con i nostri simili. Non parliamo qui della superficialità con la quale si veicolano messaggi pietistici, ma di quella peculiarità umana (e non solo umana) di sentirsi uniti nel destino e nella precarietà della nostra condizione, del capire che la sofferenza è inscritta in ogni biografia, più o meno tragicamente, e non ultimo che siamo esposti alla violenza, indipendentemente dalla direzione dalla quale essa proviene.
Crediamo dunque che il bisogno di documentare, di conoscere e vedere, alberghi in una zona molto profonda e antica dell’animo, profondità che chi è in grado di raggiungere comprende. L’arte, la letteratura, il teatro (e non da ora anche la fotografia) – senza le quali non c’è testimonianza della storia umana, non c’è ricordo – sin dalla notte dei tempi, sono lì a dimostrarlo. Insomma che l’identificazione è uno dei nostri irrinunciabili fattori fondanti.
Se poi guardiamo dal punto di vista delle vittime e della loro nudità… allora potremmo essere costretti a cambiare i nostri pensieri.
Clara Lunardelli – Onda Musicale