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Eric Johnson: intervista al grande chitarrista americano

Eric Johnson nasce ad Austin in Texas il 17 agosto 1954 e, fin da piccolo, inzia studiando pianoforte insieme alle sue tre sorelle mentre il fratello forma una sua band. Anche suo padre ha la passione per il canto.


Quando raggiunge l’età di 11 anni prende per la prima volta in mano una chitarra e da quel momento inizia rapidamente a progredire studiando nota per nota i suoi artisti preferiti (Mike Bloomfield, Chet Atkins, Cream di Eric Clapton, Jimi Hendrix, Wes Montgomery, Jerry Reed, Bob Dylan e Django Reinhardt).

Ecco l’intervista esclusiva.

Ciao Eric, è un grandissimo onore e ti ringrazio per questa intervista. Da dove inizia la tua passione per la musica? E perché hai scelto di suonare la chitarra?

“La mia passione per la musica è iniziata probabilmente quando avevo solo tre anni. Ero affascinato dal suono della chitarra – racconta Johnson – e ho iniziato a suonare il pianoforte a 5 anni e mi sono goduto tutti gli stili di musica.”

Ricordi la prima volta che hai ascoltato Jimi Hendrix?

“Sì, avevo circa 13 anni e un amico mi ha dato una copia di Are You Experienced e mi ha detto che dovevo ascoltarlo. Quando l’ho fatto non è che non mi sia piaciuto, anzi, però mi sembrava così bizzarro. In prospettiva, perché adesso sono più grande e so che è difficile da capire per i bambini, era così nuovo e così strano perché nessuno aveva ancora fatto xose del genere con la chitarra e con tutti i feedback e il fuzz e il risultato era pazzesco. Jeff Beck lo ha fatto un po’ negli Yardbirds, ma averlo davanti è stato fantastico. Quando ho sentito il disco per la prima volta non sapevo nemmeno che fosse la chitarra a fare quei suoni. Pensavo: che diamine è questo? Sembrava uno strumento di Marte. Non c’era niente su cui basare il confronto, non era come oggi dove ci sono milioni di cose del genere. Era completamente fuori campo. Era bizzarro e non sapevo cosa fosse o cosa Jimi stesse facendo.”

Sei cresciuto ad Austin, una città che non è nuova a talenti straordinari.

“Austin era una grande scena musicale. Ricordo di aver visto Johnny Winter quando avevo 13 anni. Suonava in un club chiamato Vulcan Gas Company dove potevi entrare per 50 centesimi. Era solo un ragazzino, era poco più grande di me ma era ancora piuttosto giovane. Era semplicemente fantastico. C’erano forse 50 persone tra il pubblico, ma era già evidente che un giorno sarebbe diventato grandissimo. Ricordo che mi fece una grande impressione. C’erano molte band ad Austin che erano molto influenti.”

Anche il Texas ha prodotto un bel blues, come ad esempio Stevie Ray Vaughan, lo conoscevi?

“E’ vero, abbiamo fatto alcuni spettacoli insieme e lo conoscevo un po’. Era un ragazzo molto dolce e una persona molto simpatica.”

Hai qualche consiglio per un ragazzo che oggi sta per comperare la sua prima chitarra?

“Consiglierei di non mettere pressione su se stesso. Qualunque sia lo stile di musica che scegli di suonare – ci spiega Eric – che cerchi di divertirsi. Questa è la cosa fondamentale…”

In questo periodo di chiusura totale dovuta alla pandemia hai lavorato su nuovi album e progetti futuri?

“Durante quest’ultimo anno pandemico ho lavorato su un nuovo doppio disco che è quasi finito – ci racconta il chitarrista americano – e che spero di pubblicare il prossimo autunno.”

Cosa vorresti augurare a tutti fan italiani?

“Amo l’Italia e non vedo l’ora di suonare presto nel vosdtro Paeese. Le persone sono meravigliose e mi sento a casa. In Italia c’è molta atmosfera, generosità e la gentilezza di tutte le persone. Vorrei cogliere l’occasione per ringraziare tutti per aver ascoltato la musica e augurare loro molte benedizioni.E voglio ringraziere anche te, Pasquale.”

a cura di Pasquale Marsilio

— Onda Musicale

Tags: Stevie Ray Vaughan, Jimi Hendrix, Yardbirds
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