17 anni fa moriva uno degli indiscussi geni della musica del XX secolo, Ray Charles. Per celebrare la sua incredibile carriera, ecco un suo (incompleto) “best of“.
California, 10 giugno 2004. Viene a mancare, a 73 anni, Ray Charles. Al momento del suo decesso il musicista si trova nella sua dimora a Beverly Hills (California). Secondo le dichiarazioni Jerry Digney, il suo addetto alla comunicazione, la causa della morte è stata l’aggravarsi di alcuni problemi al fegato. Solo un anno prima l’artista aveva subito un intervento chirurgico per sostituire l’anca. L’operazione era andata in modo lineare e il suo nuovo tour doveva cominciare proprio il mese in cui è, invece, passato a miglior vita.
Ray Charles è sicuramente uno degli artisti più influenti del XX secolo ed è tra i fondamentali precursori del genere soul. Alcuni tra i più grandi esponenti della musica contemporanea hanno preso in qualche modo ispirazione da lui o l’hanno comunque avuto come riferimento. Dei nomi sono Billy Joel, Elvis Presley, Van Morrison, Stevie Wonder e Aretha Franklin.
Vita e carriera
Ray Charles nasce a Albany, in Georgia (Stati Uniti) il 23 settembre 1930. A 7 anni si ritrova completamente cieco. Tuttavia, ciò non gli impedisce di diventare un abile suonatore di svariati strumenti musicali: sassofono contralto, organo, clarinetto, tromba e, soprattutto, il piano. Mentre studia alla St. Augustine School for the Deaf and the Blind in Florida comincia inoltre a studiare ufficialmente quest’ultimo.
Già nel corso dell’adolescenza la futura star della musica inizia ad esibirsi live, spostandosi anche a Seattle (Washington) e a Los Angeles (California) per conseguire il suo sogno artistico. A Los Angeles viene assunto dal cantante blues Lowell Fulson e successivamente crea dei gruppi tutti sui. Presto la sua fama di cantante e musicista cresce. Vene, quindi, scoperto dall’etichetta discografica Atlantic Records nel 1952. Arrivano allora le sue prime registrazioni e, nel 1957, l’album d’esordio, Ray Charles.
Da questo momento parte per Ray Charles una vera e propria scalata verso il successo. Una scalata che avviene anche in modo piuttosto rapido, grazie al suo immenso talento. La sua sostanziosa discografia conta più di 60 dischi. Per celebrare questo incredibile talento, ecco qui una nostra playlist con alcuni tra i suoi più belli e importanti successi.
1. I Got a Woman
I Got a Woman esce originariamente come singolo nel dicembre 1954 sotto l’Atlantic. Ad accompagnarla è la B-side Come Back Baby. Ray Charles inserisce poi tutte e due le canzoni nel suo LP d’esordio. I Got a Woman è strutturata come un tipico giro di blues in La maggiore. La melodia è resa ancora più accattivante dagli interventi del sassofono all’interno del brano.
È un brano di svolta per la carriera dell’artista originario dello Stato della Georgia. Infatti, è la suo primo numero 1 nella R&B singles chart di Billboard. La canzone ottiene tale risultato nel gennaio del 1955, un mese dopo la sua prima pubblicazione. Inoltre, proprio grazie a questa traccia il futuro re del soul si fa conoscere in modo più consistente in tutti gli Stati Uniti.
2. A Fool for You
Un’altra delle prime hit di Ray Charles, A Fool for You, si trova sempre nel suo disco di debutto. Il brano viene pubblicato come singolo nel giugno 1955. Presto arriva anch’esso alla prima posizione dell’R&B singles chart. Il brano si basa su un cadenzato e intenso giro di blues, disegnato dalle sue linee di basso. Sopra tale base giocano la voce e il piano di Ray Charles. A quest’ultimi si unisce poi anche una sezione di trombe.
3. Mary Ann
Altra perla sempre proveniente dall’album Ray Charles è Mary Ann. La canzone è resa disponibile al grande pubblico per la prima volta nel 1956, come singolo. Alla sua uscita, il brano si posiziona al numero 1 della Billboard Best Selling Rhythm & Blues chart. In Mary Ann il giro di blues viene declinato in ritmi che sembrano quasi quelli dei sound da ballo latino/americano. Ad avere un grande ruolo in tutto ciò è il particolare uso delle percussioni fatto al suo interno.
4. What’d I say (What’d I Say, 1959)
What’d I say esce nel giugno 1959 sempre per l’Atlantic. Fa parte dell’omonimo disco uscito nello stesso anno. Pure questo è un brano dalle chiare sonorità blues. La melodia è caratterizzata da un ritmo particolarmente ballabile. A crearlo sono le frizzanti linee di tastiera e basso.
Con What’d I say Ray Charles diventa maggiormente conosciuto pure nell’ambito del “pop mainstream“. Inoltre, grazie ad essa aumenta la popolarità del genere musicale soul. Anche questa canzone raggiunge, a qualche settimana dalla sua pubblicazione, la prima posizione della U.S. R&B singles chart. Il suo successo però non si ferma qui. Infatti, ottiene un sesto posto nella U.S. Billboard Hot 100, la classifica musicale generale di Billboard.
5. Georgia on My Mind
Lo Stato della Georgia ha scelto Georgia on My Mind come suo “inno” ufficiale. Il brano è originariamente inciso dal cantante e compositore statunitense Hoagy Carmichael. Quest’ultimo la fa uscire nel settembre 1930. A rendere, tuttavia, tale traccia un successo planetario è Ray Charles stesso. La incide e la inserisce nel suo LP del 1960, The Genius Hits the Road (ABC Paramount). La cover del genio del soul è una delicata e intensa ballad, impreziosita da una bellissima sezione di archi. Non solo entra nella U.S. Billboard Hot 100, ne arriva ad occupare addirittura il numero 1 nel novembre dell’anno della sua uscita.
6. Hit The Road Jack
Per incidere Hit The Road Jack, Ray Charles si fa affiancare da Margie Hendrix, una delle voci delle The Raelettes, una band tutta al femminile creata appositamente per fungere da “backing vocals” al cantante. Il brano esce all’interno sempre di The Genius Hits the Road. Nell’ottobre 1961 si posiziona seconda nella U.S. Billboard Hot 100. Per 5 settimane rimane pure stabile al primo posto della R&B Sides chart. Inoltre, viene premiata ai Grammy awards nella categoria Best Rhythm and Blues Recording.
Non è difficile intuire perchè Hit The Road Jack diventi subito una hit. Infatti, la traccia si basa tutta su un unico irresistibile giro blues che si ripete per la sua intera lunghezza. Lo stesso riff che viene ripreso anche nella sua sezione di fiati. Per non parlare poi dell’accattivante ritornello eseguito dalle impeccabili coriste. Un ritornello che già dal primo ascolto non si può più scacciare dalla propria mente e smettere di cantare.
7. I Can’t Stop Loving You
Questa versione di I Can’t Stop Loving You è una cover del singolo del 1958 del musicista country Don Gibson. Ray Charles riprende il brano in occasione del suo disco Modern Sounds in Country and Western Music (ABC Paramount, 1962). Il re del soul rende questa ballad ancora più delicata con l’inserimento della sezione d’archi e facendo diminuire d’intensità la presenza della chitarra.
I Can’t Stop Loving You è forse il maggiore successo del cantante originario di Albany. Infatti, rimane al primo posto nella U.S. Billboard Hot 100 per 5 settimane. Arriva pure in cima delle classifiche R&B e Adult Contemporary di Billboard. Per di più, nel luglio del 1962 la canzone ottiene per 14 giorni anche la prima posizione nell’UK Singles Chart. Si tratta dell’unico brano di Ray Charles ad aver raggiunto tale risultato nelle classifiche britanniche. Inoltre, vince un Grammy nella categoria Best Rhythm & Blues Recording.
8. Let’s Go Get Stoned
La prime versioni di Let’s Go Get Stoned nascono dalle incisioni della band The Coasters e dell’artista country Ronnie Milsap. Entrambe vengono fatte uscire nel 1965. Anche in questo caso il grande successo della canzone arriva però con una cover di Ray Charles. Milsap ha affermato che sarebbe stata la sua registrazione ad aver fatto apprezzare il brano al musicista originario di Albany.
Ray Charles, quindi, pubblica Let’s Go Get Stoned nel 1966, inserendola nel suo LP Crying Time (ABC Paramount/Tangerine). Questa versione è un R&B dal ritmo lento in cui risaltano voce e le note di organo e piano. A completarla è il ritornello eseguito da un coro femminile. Dopo la sua uscita, la traccia raggiunge presto la prima posizione nell’U.S. R&B singles chart. Si tratta di una canzone dal sapore particolare. Infatti, è uno dei primi successi di Ray Charles nati successivamente alla sua disintossicazione dalla droga.
9. We Didn’t See a Thing
We Didn’t See a Thing è un duetto tra Ray Charles e la star country George Jones. Il primo la inserisce nel suo album del 1984, Friendship (Columbia/Epic). Il brano ottiene presto un buon successo. Nell’anno della sua pubblicazione, infatti, arriva alla numero 6 dell’U.S. Billboard Hot Country Singles.
We Didn’t See a Thing mostra chiaramente come pure la musica country abbia avuto gran peso nel repertorio di Ray Charles. In questo caso, infatti, a dominare il brano sono le chitarre, suonate spesso con una tecnica tipica di questo genere, il “chicken picking“. Inoltre, le stesse voci sono usate con alcuni stilemi comuni al country. Basta sentire come i due cantanti intonano assieme il verso “We’ve got to stick together to keep our stories straight“. Lo fanno con un leggero vibrato, un segno caratteristico quel genere musicale.
10. Nothing Like a Hundred Miles
Nothing Like a Hundred Miles è un piccolo gioiello, forse un po’ meno conosciuto, della discografia di Ray Charles. Qui, infatti, il re del soul collabora nientemeno che con il re del blues, BB King. Il brano viene pubblicato nell’LP Just Between Us (Crossover/Columbia, 1988). È una cover dell’omonima traccia presente nel disco In the Pocket di James Taylor, pubblicato nel giugno 1976 per la Warner Bros. Records.
A dominare Nothing Like a Hundred Miles sono la voce di Ray Charles e l’inconfondibile sound della chitarra di BB King. Quest’ultima viene lasciata libera, non affronta nessuna linea melodica precostruita. Il leggendario chitarrista blues sembra, infatti, quasi alle prese con una jam sulla base della canzone. Così, riesce a sfoderare tutta la bellezza delle sua ricerca melodica, giocando spesso con le modulazioni dei suoi “bending“. Il tutto è, inoltre, impreziosito da un accattivante ritornello, cantato in forma corale.
Sources: raycharles.com, The Guardian, Wikipedia, The New York Times