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Canned Heat, la storia della più grande blues band americana

Canned Heat

Nel mondo del rock degli anni Sessanta poteva capitare che una grande band nascesse dall’incontro tra un Orso e un Gufo Cieco. Non siamo impazziti: l’orso era Bob Hite, il gufo cieco Alan Wilson. E la band – ovviamente – era quella dei Canned Heat.

Pur essendo il blues il genere musicale americano per eccellenza, quello che ha dato i natali a tutto il rock, negli Usa la sua rivalutazione non fu così immediata. Mentre in Europa, Gran Bretagna in testa, il movimento del British Blues nasce nei primi anni Sessanta con Cyril Davies e Alexis Korner, di là dall’oceano le cose sono più lente.

Addirittura è proprio sull’onda del revival britannico, con personaggi come John Mayall prima e Eric Clapton e Jimmy Page poi, che gli avvenimenti si mettono in moto anche in America. All’inizio sono i padri del blues nero a vivere una seconda giovinezza; artisti dimenticati come Skip James, Bukka White, John Lee Hooker e molti altri, sono riscoperti di là e di qua dall’oceano.

Negli Usa avviene un vero studio filologico, portato avanti da personaggi come John Hammond e Alan Lomax, che girano per il profondo sud alla ricerca di bluesman dimenticati; in Gran Bretagna, sull’onda del revival, sono diffuse e di grande successo i tour di questi grandi musicisti riscoperti, che spesso collaborano coi giovani virgulti inglesi.

Da qui alla nascita di nuovi fenomeni blues e rock-blues il passo è breve.
All’inizio la fama è per la Paul Butterfield Blues Band. Paul è il John Mayall d’America; suona l’armonica e canta come un nero cresciuto nelle piantagioni di cotone, con grande credibilità. Lo stile è quello del blues di Chicago, elettrico e nervoso; i musicisti con cui collabora sono destinati alla leggenda: il grandissimo Michael Bloomfield ed Elvin Bishop su tutti.

I Canned Heat nascono a metà degli anni Sessanta dall’incontro tra Bob Hite, un corpulento collezionista di vinili blues che gestisce un negozio di dischi, con Alan Wilson. Alan è di Boston, cantante dotato di uno spettacolare falsetto e ottimo multistrumentista, a sua volta studioso delle radici del blues.

Bob è di Torrence, California, e la passione per il blues ce l’ha fin da bambino; non è però mai riuscito a dare corpo al suo demone blues, tanto che si rassegna prima a fare il commesso in un supermercato e poi riesce a trovare lavoro nel celebre negozio di dischi. Quando incontra Alan Wilson questi è impegnato nella stesura di un articolo su Robert Pete Williams, bluesman avvolto dal mistero. La comune passione sboccia in amicizia e porta ovviamente a riaccendere le fantasie musicali.

Il nome da dare alla band, manco a dirlo, viene da un pezzo blues del 1928, Canned Heat Blues di Tommy Johnson. Con loro – inizialmente – ci sono Stuart Brotman al basso e Frank Cook alla batteria. I quattro riescono a ottenere un po’ di visibilità nei locali californiani, tuttavia il loro blues è fin troppo ortodosso. Sono i tempi della cultura hippie e dell’affermazione del rock psichedelico, lo spazio per un blues così duro e puro è poco.

Dopo un primo scioglimento i Canned Heat si riformano con Larry Taylor e Henry Vestine alla chitarra solista. Il primo è scappato di casa da ragazzino per suonare con Jerry Lee Lewis, il secondo ha suonato con Frank Zappa ed è in possesso di solida tecnica. La formula viene rivista in chiave più popolare, concedendo spazio a qualche sfumatura rock, senza però tradire le radici blues.

Con questa formazione e la rinnovata formula, nel luglio del 1967 esce il primo album, intitolato semplicemente Canned Heat. L’album è composto quasi esclusivamente da cover di standard blues; da Muddy Waters a Guitar Slim, da Willie Dixon a Howlin’ Wolf, tutti i grandi bluesman sono omaggiati. Il successo è buono, ma soprattutto i Canned Heat riescono a farsi voler bene da tutti e a imporsi come band affidabile nell’ambiente. Bob Hite è soprannominato l’Orso per il suo fisico voluminoso e la voce roca e aggressiva, Wilson è Gufo Cieco per la sua fortissima miopia. La loro fama fa sì che i Canned Heat vengano scelti per aprire il leggendario festival di Monterey del 1967.

L’anno dopo si ripeteranno a Woodstock, anche se la loro performance non verrà inserita nel film; tuttavia, proprio nella pellicola sul celebre raduno, nei primi minuti echeggia la loro Going Up The Country, che diventa uno dei loro più grandi cavalli di battaglia. Il primo grande successo è però contenuto nel loro secondo album, Boogie With Canned Heat, del febbraio 1968. Si tratta di On The Road Again, versione rivista di un pezzo anni Venti della Memphis Jug Band.

Il brano, basato su un tipico riff blues alla John Lee Hooker, sibila come un rasoio e mette in luce il caratteristico falsetto di Alan Wilson, ottenendo grande successo anche in Gran Bretagna. Nel frattempo il batterista Frank Cook abbandona e i ragazzi, per sostituirlo, indicono una sorta di contest. Il messicano Fito De La Parra è il prescelto, grazie anche a una trovata un po’ ruffiana.

“Per fare colpo sui Canned Heat – dichiara Fito – mi presentai all’audizione con un disco del bluesman Junior Wells sotto il braccio. Sapevo che Bob Hite era molto sensibile a queste cose, così come sapevo che gli piacevano le frasi un po’ roboanti. Ecco perché presentandomi dissi: ‘Sono nato per suonare coi Canned Heat’. Potevo non vincere dopo una presentazione simile?”

Il successo dei Canned Heat è a quel punto acclarato; la band è uno dei punti fermi della cultura hippie di Laurel Canyon, anche John Mayall collabora con loro nel suo periodo californiano, dedicando la bella The Bear a Bob Hite. La loro musica si tinge di venature pop, ma anche marcatamente psichedeliche, con jam che superano i venti minuti. La cultura americana impedisce al rock-blues di decollare e diventare qualcosa di più, come accade invece in Europa, dove il genere si ibrida in mille rivoli dal folk al progressive.

Ma la fama dei Canned Heat è legata anche alla droga e a uno stile di vita piuttosto libertario e spericolato. E così, mentre sui palchi la band furoreggia e i nuovi dischi mantengono altissimo il livello, nere nubi si addensano all’orizzonte.

Henry Vestine viene sostituito dall’ottimo Harvey Mandel e torna in formazione per quello che è forse l’ultimo grande colpo dei Canned Heat. Nel 1970 la band registra un doppio album col loro più grande idolo, John Lee Hooker: Hooker’n’Heat. Il doppio è diviso nettamente in una parte acustica e in una elettrica. Nella prima John Lee è coadiuvato solo da Alan Wilson, nella seconda rivede in chiave elettrica e rock il suo repertorio.

Ancora prima che il disco esca – nel dicembre del 1970 – la tragedia si abbatte sulla band; il 3 settembre del 1970 muore Alan Wilson. L’artista ha appena ventisette anni e da tempo soffre di crisi depressive; qualche mese prima ha tentato il suicidio gettandosi fuori strada con la sua auto. La morte è causata da una overdose di barbiturici: Alan non lascia nessun biglietto, anche se molti pensano al suicidio. Gufo Cieco è noto per l’ambiente per la sua incredibile intelligenza e cultura, ma anche per una profonda introversione, per alcuni associata alla depressione.

La sua morte precede di pochissimo quelle di Jimi Hendrix e di Janis Joplin e di quasi un anno quella di Jim Morrison. Hanno tutti ventisette anni e – al netto di bislacche inutili leggende di maledizioni – la loro tragedie sono il sintomo che qualcosa non va nel mondo dorato del rock.

A quel punto la storia dei Canned Heat, privati della loro mente creativa, si trascina. La band continua con qualche collaborazione – con Jerry lee Lewis, per esempio – poi il contemporaneo tramonto del periodo rock-blues, li rispedisce a suonare per piccoli locali e festival. La pietra tombale viene posta il 5 aprile del 1981, quando muore anche Bob Hite.

Lo stile di vita dell’Orso, tra il grande sovrappeso e l’uso smodato di cocaina, non è certo dei più salutari; il cantante collassa durante un viaggio tra una data e l’altra dei loro infiniti tour: infarto. Bob Hite al momento del decesso ha trentasei anni.

Negli anni successivi la band tenta qualche reunion sporadica, ottenendo buoni consensi dal vivo. La magia degli anni Sessanta è però scomparsa, assieme all’Orso e al Gufo Cieco. La magia di anni irripetibili in cui l’utopico sogno di amore, pace e libertà poteva passare anche attraverso il blues di quarant’anni prima e l’illusione fatata delle droghe.

— Onda Musicale

Tags: Muddy Waters, Eric Clapton, Frank Zappa, Jimmy Page, John Mayall
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