Prendete una canzone, anzi giacché ci siete, prendetene più di una, ma che siano quelle giuste, quelle che vorreste fossero la chiave del vostro personale successo, finalmente, non solo quello delle canzoni che avete firmato come autore, proprio quelle vostre.
Prendete queste canzoni che non solo aspirano al successo, ma vogliono stravolgere il panorama musicale vostro contemporaneo. Immaginate fortemente quei brani, espandeteli in modo da abbandonare finalmente la soffocante forma canzone tarata sui due, tre minuti. Inserite degli arrangiamenti raffinati e magari un’orchestra che non prenda mai il sopravvento. A questo, aggiungete la voce di un cantante, magari di colore, condite il tutto con il ricordo di una giovinezza faticosa, magari orfano di madre e abbandonato dal padre ai nonni materni, insomma una bella dose di miseria e una passione illimitata per la musica, per tutta la musica, agitate per bene e aspettate.
Non vi illudete, non funziona così purtroppo, non c’è nessuna garanzia di buon risultato artistico e nemmeno commerciale, ci vuole ancora qualcosa, quel certo non so ché, magari una forma di magia bianca o nera poco importa o almeno il genio di un alchimista per provare a immaginare ciò di cui fu capace Isaac Hayes quando nel luglio del 1969 pubblicò per la STAX Records, storica etichetta di Memphis che aveva pubblicato il suo LP d’esordio Presenting Isaac Hayes, il suo secondo album Hot buttered soul. Uno degli album più rivoluzionari dell’intera black music. Il genere, asfissiato dalla ossessione dei discografici per il singolo di successo mai più lungo di due, tre minuti, non aveva assistito a quanto avvenuto in ambito rock psichedelico e poi progressive dove le composizioni dialogavano ormai con il tempo.
Gli album poi erano solo delle raccolte di brani brevi, prodotti appunto come singoli. Almeno fino all’arrivo di questo autentico capolavoro uscito dalle mani di un ragazzo appena ventisettenne che solo un anno prima, aveva dato alle stampe un album d’esordio scivolato via nel disinteresse generale. Eppure, insieme a David Porter, aveva composto delle canzoni di grandissimo successo, una su tutte Soul Man. Solo la STAX aveva continuato a credere nelle sue capacità e, conseguenza anche della perdita del catalogo ceduto alla Atlantic Records, pubblicato dalla casa discografica fino al 1967, il vice presidente Al Bell vera anima dell’etichetta, aveva chiesto ai suoi musicisti di partorire velocemente, per il 1969, 28 album e 30 singoli, e concesso a Isaac Hayes assoluta libertà nella composizione e registrazione di questo album.
Il quale, nato appunto per rimpinguare il catalogo della adesso indipendente STAX Records, divenne in breve tempo un successo mondiale, riscuotendo critiche entusiastiche e riuscendo a vendere in breve tempo tre milioni di copie. Oltre a raggiungere, il 23 agosto del 1969, la prima posizione di Billboard hot 100 rimanendo per 69 settimane in classifica.
Si dice che i numeri sappiano dire, ma qui i numeri e le date possono solo suggerire delle traiettorie, delle circostanze. Registrato presso gli Ardent Studios di Memphis e prodotto da Al Bell Hot buttered soul si apre con un gioiello imprevedibile ed è solo il primo brano, l’album ne contiene solo quattro in tutto, una versione di uno degli standard più famosi di Burt Bacharach e Hal David Walk on by.
Non una versione, ma una personalissima interpretazione, quasi un pretesto per mostrare quello che si può fare con una canzone conducendola in un territorio inesplorato e lussureggiante, dilatandola sino a dodici minuti e più, liberandola e straniandola per concederla a esiti imponderabili. Anni dopo, oltre ai prevedibili eredi del soul cresciuti con l’hip pop, l’eco risuonava ancora nelle lunghe e stranianti ballate dei Portishead.
Hyperbolicsyllabicsesquedalmystic, composto anche da Hayes stesso, è un brano geniale già nel titolo, probabilmente il più lungo assegnato ad una canzone, che muovendo da un soul intenso, profondo arriva a esiti che lo avvicinano al krautrock.
“Voglio parlare del potere dell’amore adesso, vi parlo di quello che l’amore può fare” dichiara la voce di Isaac Hayes nella lunga apertura di By the time I get to Phoenix di Jimmy Webb, una versione di poco meno di diciannove minuti, che traccerà la strada per esempio a Barry White, che più volte ha ricordato quanto Hayes sia stato inesauribile fonte di ispirazione.
La voce di Hayes racconta, parla su di un tappeto sonoro disteso dall’hammond, dal basso che ripete e ripete e dall’incedere insistente e sinuoso dei piatti. Su tutto, la voce di Hayes che parla e racconta, in una sorta di rap antesignano ricco di dettagli narrativi che stravolgono il senso stesso dalla canzone originaria, e solo dopo otto minuti abbondanti introdurrà finalmente la melodia, che da qui in poi concederà altri dieci minuti di puro incanto.
Dei quattro brani, forse solo One woman è quello più vicino alla tradizione soul o R&B scritto da Charlie Chalmers e dalla sua futura moglie Sandra Rhodes, in cui sono i cori femminili e la voce di Hayes ad avere il compito di svolgere la melodia arricchita dall’arrangiamento mai invadente dell’orchestra.
Inesauribile fonte di ispirazione per musicisti non importa di quale colore, di quale genere, Hot buttered soul introduce finalmente il suo autore pienamente sulla scena musicale come un autentico genio. A questo capolavoro seguiranno altri album eccellenti, tra cui The Isaac Hayes Movement, la colonna sonora del film Shaft e molti altri successi che faranno di Isaac Hayes uno dei musicisti più seminali della musica soul, R&B, jazz o rock, a voi il gusto della scelta del genere.
Un musicista certo appariscente, sempre fotografato, persino sulla copertina di Hot buttered soul, dove troneggia la sua testa lucida e pelata, con enormi catene d’oro, pellicce, donne e macchine lussuose. Eppure dotato di una rara intelligenza musicale che si spense prematuramente il 10 agosto del 2008, dieci giorni prima del suo sessantaseiesimo compleanno, quando sua moglie trovò il suo corpo privo di sensi, vittima di un infarto o di un ictus probabilmente perché non fu disposta autopsia, disteso sul pavimento accanto al tapis roulant ancora funzionante. Una immagine che evoca la puntina quando, esauriti i solchi, non torna con il suo braccio nella posizione di riposo, ma attenda quasi di essere messa di nuovo in movimento, in ascolto di un capolavoro senza tempo.
(articolo di Massimo Turtulici)