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La migrazione degli uomini soli

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Qualche giorno fa una persona chiedeva chi di noi avesse abiti maschili in buono stato per un gruppo di migranti arrivati nella nostra regione, ribadendo “solo maschili”.

La sottolineatura mi ha colpito e fatto riflettere su una cosa che avevo già pensato distrattamente: e le donne? La grande maggioranza degli arrivi di migranti dal Mediterraneo sono infatti uomini, giovani, ragazzi. Le donne e i bambini sono in numero molto minore. In rete non è facile trovare dei dati a riguardo, mi affido quindi a quanto vedo nei vari notiziari televisivi.

Forse perché sono donna provo un certo disagio che non so come definire, come un sottile senso di ingiustizia, non nel fatto di fuggire dal pericolo o partire per cercare qualcosa di meglio, ma nel fatto che le donne vengono lasciate indietro, dimenticate. Da quell’indietro gli uomini possono fuggire, rischiando certo, ma tentando almeno.

Questo mi rimanda al pensiero della forza e della “libertà” maschili, alla dominanza che nella storia ha consentito agli uomini ciò che non era permesso alle donne.

In questa migrazione maschile percepisco ancora una volta – qualsiasi sia la ragione per cui le donne rimangono (per cultura, costituzione fisica, regole o divieti diversi) – una disparità di condizione, la replica di un discorso sociale e gerarchico diffuso nei secoli, o addirittura qualcosa di più antico ancora.

Immagino un paese, tanti paesi, nei quali restano le persone ritenute, a torto o a ragione, più “deboli”: donne vecchi bambini – vittime fino alla fine, non viste. Restano perché si espongono meno al rischio (quando il vero rischio è restare), perché sanno resistere o devono, perché sono pervicaci e diversamente responsabili?

Qui si sfiorano gli stereotipi (come quello che è l’uomo a fare la guerra) ed è meglio lasciar perdere. Mi chiedo solo se fingiamo che questo non ci riguardi.

Ricordo l’intervista ad una madre che, a proposito della recente migrazione dall’Africa, raccontava di come la partenza degli uomini avesse svuotato e desolato il paese in cui viveva, del tentativo di convincere i suoi figli a restare e lottare per cambiare le cose, di come senza giovinezza se ne andasse il futuro. C’era in lei l’amarezza e il dolore di constatare la rinuncia da parte degli uomini ad avere un ruolo privato e sociale e di come il peso e le conseguenze di questo abbandono ricadessero sulle spalle delle donne.

Ecco perché guardando le immagini delle barche in arrivo provo una ulteriore e indefinibile inquietudine, non per i volti che guardano ai soccorritori come approdo, salvezza e domanda, ma perché i miei occhi, involontariamente, cercano visi di donna, incontrandoli di rado.

Visi di donna di cui è fatta invece la migrazione di cura proveniente dall’Est europeo da noi molto sollecitata, o visi di donna rintracciabili invece nei migranti delle rotte balcaniche, dove era ed è possibile vedere famiglie, piccoli gruppi di una stessa comunità. Una migrazione eterogenea quest’ultima e “opportunità” percorribile per tutti, fermo restando che da qualunque parte arrivi e a qualunque sesso appartenga, sul viso del migrante resta scritta la stessa fatica e domanda di speranza.

 

Clara Lunardelli – Onda Musicale

— Onda Musicale

Tags: Clara Lunardelli/Mediterraneo
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