E’ uscito venerdì 16 luglio 2021 il nuovo album della Croce Atroce, anima del Toilet di Milano e drag fuori dagli schemi, dal titolo Anna Piaggio.
Si tratta di un disco che è nato subito dopo il primo esperimento musicale che aveva portato alla pubblicazione di Alda Merinos, il disco di debutto. Con la bella stagione alle porte, gli autori non si sono voluti far sfuggire l’occasione di far uscire, in totale indipendenza, la loro colonna sonora per questa estate 2021.
Ecco cosa ci ha raccontato.
A chi definisce il progetto musicale de La Croce Atroce “sfacciato”, cosa rispondiamo?
Oddio grazie che bel complimento! Perché si dai sfacciato lo è, ma vuole anche essere un po’ fastidioso, cringe, del tipo che quando mi vedi o mi ascolti provi quel brivido di imbarazzo dal quale, però, mi piacerebbe che tu non ti staccassi, cercando di rispondere a “ma questa chi vuole essere? Dove vuole arrivare?”. Sono consapevole di non essere brava come la Pausini, però credi di aver qualcosa da dire, che piaccia o no.
Com’è stata la tua estate? E che ruolo ha avuto Anna Piaggio?
Ho lavorato come una pazza e non ho mai riascoltato l’album! Non ha avuto alcun ruolo, tendenzialmente sono portata a guardare avanti, quindi, purtroppo, per me Anna è già vecchia proprio dal momento della sua uscita. Si lo so è un pensiero orrendo ma è così. Chiaramente sto scrivendo cose nuove, ma perché mi diverte e rilassa, non tanto perché voglia far uscire subito un nuovo disco.
Ormai al secondo disco te lo si può chiedere: come nasce un disco de La Croce Atroce?
Parto scrivendo parole. Prima decido di cosa voglio parlare, poi parlo. Quindi ecco scrivo un po’ di testi e, quando credi di aver trovato le parole giuste per descrivere bene ciò di cui voglio parlare, allora chiamo LoZelmo e Erik Deep e glieli faccio leggere. Ora però ho scoperto che posso anche registrare col computer, ho imparato, prima ignoravo. Quindi passo i testi ma anche delle registrazioni a caso giusto per suggerire ritmo e mood. Poi alla musica ci pensano loro. Quando è pronta la prima versione delle canzoni allora ci troviamo ossessivamente riascoltandole fino alla nausea, modificando laddove serve. Ed eccoci qua.
Come sta andando il tuo lavoro, tra musica e show, nonostante il Covid?
Di merda. Cioè bene perché continuiamo ad avere uno spazio, il che è una gran cosa, e il carrozzone va avanti. Certo è che col pubblico in piedi, che balla quello che tu stai performando o semplicemente è libero di reagire come meglio crede, è tutt’altra cosa. Un conto poi è avere 50 persone davanti, composte e misurato, un altro è averne qualche centinaio scatenate. Cose diverse, esperienze diverse, chiaramente meglio pre covid.
La scena queer musicale è coesa? In che modo pensi che potrebbe funzionare al meglio?
Non so se è coesa, perché siamo persone, che naturalmente si stanno tutte simpatiche e antipatiche. Laddove si parla di diritti andiamo tutte d’accordo, quando invece c’è da collaborare non sempre si bada agli interessi di entrambi. Insomma, anche il mondo arcobaleno funziona come il mondo non arcobaleno, ogni mondo è paese e bla bla bla. In tutto ciò credo che le cose possano funzionare meglio avendo più spazi, più occasioni, più investimenti, per una community che vuole avere voce e ha tanta voglia di esprimersi, ma che ad oggi, ahimè, spesso è ancora discriminata.
Come descriveresti il quartiere di Porta Venezia a Milano a chi non c’è mai stato? E adesso?
Allora, non sono di Milano, quindi vivo Porta Venezia da frequentatore provinciale. È una figata, nel senso, è lì che trovi il basic e l’alternative, la persona scatenata e la tranquillona, la modaiola e la sfatta, per non parlare del campionario umano multicolore che la popola. Porta Venezia è diventato l’ombelico del mondo rainbow, penso uno dei quartieri più interessanti e importanti d’Italia. Io trovo casa al Pop, in via Tadino, quella è la mia vera dimensione. C’è però spazio per tutti, ci sono tantissimi locali che hanno anche un pubblico diverso. Il bello è andarci, frequentarla, per trovare il proprio posto, o per evitarlo del tutto, scoprendo che magari, andando in un altro, si impara qualcosa di più.