E’ uscito venerdì 8 ottobre 2021 Sacro Disordine, il primo album dei Diletta.
Finalmente è completamente svelato il mondo del duo lombardo, tra cantautorato ed indie pop: un disordine inevitabile e sacrosanto che è comune a tutti. Non abbiamo resistere e abbiamo scambiato con loro quattro chiacchiere.
Qual è il vostro personalissimo Sacro Disordine?
La risposta necessiterebbe anni di terapia, ma abbozziamo comunque una risposta: il fare tardi quando si sta bene con qualcuno o perché il tempo fa paura, riempirsi le giornate mischiando futilità a doveri, avere sogni fuori tempo e preferire l’allegria alla carriera, andare in crisi per qualcosa che potrebbe risultare una sciocchezza, essere irrequieti e pensare che sia colpa di qualcun altro quando invece è qualcosa dentro di noi.
Sacro Disordine è un disco che parla di voi e di ciò che stiamo passando?
Parla assolutamente di noi, ma non è stato scritto pensando al periodo covid. La canzoni hanno una genesi che parte da ben prima a parte il brano eponimo (la title track) che è stato scritto nel bel mezzo del primo lockdown. Tuttavia se la pandemia ha enfatizzato certe ansie e certe malinconie l’album ha un respiro molto più ampio.
Come raccontereste la vostra esperienza con il crowdfunding?
La raccolta fondi è stata preziosissima per sostenere i costi dell’album, ma anche e soprattutto per condividere il progetto con tanti amici. Grazie a loro le canzoni sono state attese ed ascoltate e di questo saremo eternamente grati verso tutti i partecipanti.
Come avete vissuto, musicalmente parlando, il periodo del Covid?
Nel 2020 abbiamo sofferto relativamente la pandemia perchè eravamo presi con le registrazioni e non pensavamo ancora ai live, nel 2021 invece abbiamo risentito come tutti i musicisti della pandemia ed il suo impatto sul settore.
Avete già avuto modo di esibirvi dal vivo? Com’è andata?
Grazie a dio siamo riusciti a suonare in diverse situazioni. Abbiamo fatto un concerto in streaming per il festival MEI, abbiamo già suonato in un paio di locali e, soprattutto, abbiamo cominciato a realizzare gli “house concert”, i concerti casalinghi acquistati da alcuni sostenitori della campagna crowdfunding e dobbiamo dire che questi live sono fighissimi: c’è un’attenzione e un’ intensità che è rara.
Sappiamo della vostra iniziativa di diventare un “juke box umano”, ce la raccontate?
Questo è stato un diversamente-live. Siamo stati ospiti della fiera “L’isola che c’è”, una fiera dedicata a tutto il commercio attento a tematiche etiche ed ambientali (associazioni di volontariato, aziende bio, mercato equo e solidale etc…). All’interno della fiera ci siamo ritagliati uno spazio per permettere alle persone di ascoltare le nostre canzoni in modo esclusivo. Chi voleva indossava delle cuffie, sceglieva la canzone sfogliando i testi e poi noi suonavamo solo per queste persone, una o due alla volta. E’ stato bellissimo perchè si instaura un legame particolare tra chi suona e chi ascolta. Replicheremo sicuramente il format.
E adesso?
E adesso si va avanti cogliendo le opportunità che ci capiteranno. Continueremo con gli house concert e magari replicheremo il “juke box umano”. L’importante è suonare e farci ascoltare.