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Achtung Baby degli U2 a 30 anni di distanza e fino alla fine del mondo

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Achtung Baby ha il suono di quattro tizi che cercano di tirare giù a calci il Joshua Tree”. (Bono Vox)

Il valore di un uomo è dato dalla qualità delle conversazioni che è in grado di generare” –  non ricordo più esattamente dove l’abbia letto, ma sono abbastanza sicuro che si tratti di una frase estrapolata da una vecchia intervista rilasciata da Bono Vox. Se applichiamo questo concetto agli U2 nel suo complesso – ovvero Bono Vox alla voce, the Edge alla chitarra, Adam Clayton al basso e Larry Mullen alla batteria – e ad Achtung Baby nello specifico, possiamo tranquillamente affermare che le conversazioni generate da questa band e da quest’album uscito nel lontano 18 novembre 1991 erano e continuano ad essere di altissima qualità. Così come lo era e lo è di conseguenza il valore complessivo di una band che è stata considerata per anni “la più grande rock’n’roll band del pianeta”.

Sì, lo so, ci sono state un sacco di “più grandi rock’n’roll band del pianeta”, ma questo è un altro discorso.

Tornando ad Achtung Baby, la cosa incredibile è che si tratta di un album che ha avuto un enorme successo pur essendo stato un disco di rottura rispetto al passato glorioso degli U2, che negli anni ‘80 avevano pubblicato una serie di dischi memorabili tra cui Boy (1980), War (1983) e Unforgettable Fire (1984) – October (1981) lo lascio volutamente fuori – culminati nel successo strepitoso di The Joshua Tree (1987): 25 milioni di copie vendute in tutto il mondo e tutti a casa.

Ma se The Joshua Tree aveva costruito il suo successo attorno alle radici della musica rock americana più classica e il successivo Rattle and Hum (1989) aveva provato a proseguire su quella strada – sbandando fuori per eccesso – Achtung Baby, invece, vola il più lontano possibile da quel suono – anche grazie all’audacia di Brian Eno in cabina di regia al fianco di Daniel Lanois.

Anzi, più che volare dovremmo dire che precipita, visto che il disco sembra essere una lunga caduta negli abissi della psiche, tanto che secondo il critico americano Stephen Catanzarite si potrebbe interpretare tutto l’album in chiave cristiana come metafora della “caduta dell’uomo”, ovvero la cacciata di Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden.  

Se invece mettiamo da parte la componente religiosa – che è comunque presente nel disco – per citare lo stesso Bono, potremmo semplicemente dire che “Achtung Baby ha il suono di quattro tizi che cercano di tirare giù a calci il Joshua Tree”.  E in effetti è proprio così. L’effetto straniante del singolo anticipatore dell’album –The Fly –  così come quello del brano di apertura – The Zoo Station ha pochi eguali nella storia recente della musica rock. Stando alle cronache del tempo, pare che durante le prime sessioni di registrazione dell’album –presso gli Hansa Studios di Berlino – si sia venuta a creare una vera e propria spaccatura all’interno del gruppo in merito alla direzione musicale da intraprendere: da una parte c’erano Bono e The Edge che volevano spingere la band verso territori più sperimentali, mescolando il loro suono più classico con la musica dance, l’hip-hop e l’elettronica (vedi alla voce Screamadelica dei Primal Scream, uscito soltanto due mesi prima), ma anche con l’industrial dei Einstürzende Neubauten – di stanza sempre a Berlino – e il noise rock dei Sonic Youth; dall’altra parte c’era invece la premiata ditta Clayton-Mullen che voleva mantenere un suono rock più lineare e una forma canzone più canonica.

UNA SEDUTA PSICOANALITICA PER LA SOCIETA’ MODERNA

A livello concettuale il disco può essere considerato come una lunga seduta psicoanalitica: in prima battuta di Bono Vox, che ne è la voce narrante e la mente principale; in secondo luogo di gruppo – nel senso della band, visto che gli U2 sono prima di tutto un nucleo di musicisti-amici caratterizzato da una coesione umana talmente forte da costituire a tutti gli effetti una famiglia; e infine di tutti noi che per capirlo fino in fondo dobbiamo aprire cuore e mente e sdraiarci metaforicamente accanto al suo leader:

Non sono mai andato da uno psicanalista. Io scrivo canzoni: quello è il mio lettino dello psicanalista, quello è il posto in cui sono obbligato a guardarmi in faccia. Arte, per gli U2, significa rompere lo sterno e fare un intervento a cuore aperto” (Bono Vox).

In questa sorta di conversazione intima a più voci possiamo individuare due filoni tematici in cui far rientrare le canzoni del disco – che abbandona tutte le certezze granitiche del passato e si (sovrac)carica di contraddizioni, ambiguità e domande senza risposta:

  1. Da una parte ci sono le canzoni sul “nuovo” mondo moderno – difficile da decifrare perché troppo caotico, assurdo e feroce – tra cui annoveriamo Zoo Station, Even Better Than The Real Thing, The Fly, Acrobat  e Love is Blindness;
  2. Dall’altra parte ci sono le canzoni sulle diverse sfaccettature dell’amore, sul tradimento e sulle difficoltà delle relazioni di coppia: One, Until The End Of The World, Who’s Gonna Ride Your Wild Horses, So Cruel, Mysterious Ways, Tryin’ to Throw Your Arms Around the World  e Ultraviolet (Light My Way).

Bono sciorina tutte le sue paranoie sull’era moderna e l’amore, infilandoci dentro riletture e versi di Oscar Wilde, Dante, Herman Hesse, Delmore Schwartz, Raymond Carver e Wim Wenders– così, giusto per citare i più noti – ma nel farlo mantiene sempre la sua cifra autoriale, inserendola in un nuovo contesto che si avvale anche di una nuova immagine, tanto fittizia quanto reale, fatta di maschere che dicono la verità nascosta in mezzo alle menzogne. Un’immagine da divi(nità) dello star system volutamente esagerata e amplificata da un mega tour fatto di maxischermi e televisori piazzati dappertutto: il famoso Zoo TV Tour che farà da ponte, anzi da tubo catodico, per l’album successivo, Zooropa del ‘93.

Ma restando su Achtung Baby, proviamo oggi a rendere omaggio ai suoi 30 anni, attraverso un approfondimento di alcuni dei suoi brani più significativi, analizzandoli anche e soprattutto alla luce dei video ufficiali, che in questo caso non sono mero accompagnamento, ma parte integrante di un’opera estremamente complessa e stratificata.

  • Even Better Than The Real Thing

Si tratta forse del brano più criptico dell’album che gioca volutamente sul concetto di ambiguità a partire dal testo che può essere interpretato come un discorso rivolto a un possibile amante oppure direttamente all’ascoltatore attraverso la rottura della quarta parete. Ma non solo, l’ambiguità che soggiace a tutto il brano è anche e soprattutto quella tra un “Mondo Reale” e un “Mondo Fittizio”, riprodotto artificialmente attraverso la pubblicità o qualsiasi altro tipo di espediente atto vendercene una sua versione migliore, Even Better Than The Real Thing appunto. “La gente non cerca più esperienze di verità”  ha dichiarato Bono in proposito, anche perché la pubblicità ha in qualche modo fagocitato la verità: il prodotto di marca ci viene venduto come “l’originale” – cioè come la verità – mentre tutto il resto è solo un’imitazione, ma in realtà si tratta sempre di un’illusione. “La gente” prosegue ancora Bono parlando del brano “Non è più ossessionata dalla domanda “Cos’è la verità? […] Vuole esperienze legate al momento.”  Si tratta in sostanza di una canzone-riflessione che anticipa la nascita di Instagram di 20 anni, gettando un ponte tra la tv degli anni ’90 e i social network del nuovo millennio.

Lo si capisce ancora più chiaramente guardando il video ufficiale del brano, girato con una telecamera che si ribalta su se stessa in modo da trasmettere la sensazione di precipitare verso il fondo di qualcosa che non arriva mai, perché in realtà non andiamo mai in profondità, ma continuiamo a scivolare lungo la superficie delle cose : “We’ll slide down the surface of things”  è questo il verso chiave di una canzone in cui laconfusione regna sovrana sia nel suono che nelle liriche. L’ambiguità vero-falso viene mostrata nel video attraverso esperienze fittizie come la pornografia in sostituzione del sesso e altre immagini che si sovrappongono in maniera confusa, alternando televisori accesi, telecomandi, visori per la realtà virtuale, plastiche facciali e sosia di cantanti famosi come i Beatles e Jimi Hendrix o persino gli stessi U2 che – finti o reali – continuano a precipitare in eterno dentro una torre di babele al contrario in cui sono (e siamo) continuamente bombardati da informazioni ridondanti, dove tutti parlano contemporaneamente una lingua diversa, trasformando la realtà in una fossa delle Marianne della comunicazione.

  • The Fly

Stando a quanto scrive Bill Flanagan – nel suo libro U2 At The End Of The WorldThe Fly è una canzone progettata per infondere un senso caotico di sovraccarico sensoriale da fine serata, quando hai assorbito così tanti contenuti mediali che il tuo cervello è fritto e cominci a balbettare”.  Pur essendo uscito un mese in anticipo, possiamo dire che il brano in questione – con relativo video annesso – amplifica quanto contenuto nel singolo precedente e ne costituisce una sorta di proseguimento naturale.

Il video di Even Better Than The Real Thing infatti terminava con la scritta WATCH MORE TV (“guarda più Tv”),utilizzata anche nel video di The Fly e mandata in sovraimpressione insieme ad un altro “mantra” che diventerà in seguito lo slogan ufficiale del futuro Zoo Tv Tour, ovvero ALL YOU KNOW IS WRONG (“tutto quello che sai è sbagliato”): sugli U2, sulla vita, sulla morte, sull’amore? non è dato sapere. Il punto è che nessuno ha tutte le risposte giuste in tasca. Tanto meno chi è convintissimo di averle come il protagonista della canzone, detto The Fly – LA MOSCA  – ovvero la nuova maschera di Bono, una sorta di alter ego eccessivo, spaccone e amorale, ispirato alla figura del cosiddetto “filosofo da Bar”, cioè quello che passa tutta la serata al bancone e vuole spiegarti a tutti i costi come funziona la vita, spesso con una serie di teorie astruse, farcite di luoghi comuni e mezze verità, come una sorta di Bukowski con la sola ubriacatura al posto del genio.

A livello testuale tutto il brano non è altro che un susseguirsi di aforismi, (s)collegati tra loro e a volte persino in contrasto. Si tratta dei cosiddetti “truismi” esplicitamente ispirati al lavoro dell’artista Jenny Holzer, che sul finire degli anni ’70 aveva tappezzato New York con questi messaggi, qui rielaborati dalla Mosca di Bono in frasi sempre in bilico tra la banalità e il genio, come L’AMBIZIONE MANGIA LE UNGHIE DEL SUCCESSO oppure IL FUTURO È UNA FANTASIA, OGNI ARTISTA È UN CANNIBALE, OGNI POETA È UN LADRO. TUTTI UCCIDONO LA LORO ISPIRAZIONE / E CANTANO IL LORO DOLORE.

A ben vedere, il personaggio de la Mosca porta già in nuce i germi di quello che diventerà l’alter ego successivo di Bono, ovvero MacPhisto, una sorta di demone che telefona ai potenti della terra per smascherarne l’ipocrisia durante i concerti di Zooropa. Ne è la riprova il fatto che già il testo di The Fly alla fine era pensato come una telefonata fatta dall’inferno, tant’è che si chiude con il protagonista che riattacca dicendo che deve andare perché sta finendo gli spiccioli e ha un sacco di cose da fare:

Look I gotta go
Yeah I’m running outta change
There’s a lot of things
If I could I’d rearrange

  • Until The End Of The World

Un altro personaggio che comunica direttamente dall’inferno è il protagonista di Until The End Of The World, brano scritto per la colonna sonora del film di Wim Wenders Fino alla fine del mondo.

Si tratta principalmente di una canzone sul “tradimento”, ispirata in parte dal Book Of Judas di Brendan Kennelly e in parte dalla visione de L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese.Come spesso accade in Achtung Baby è un brano che si sviluppa sotto forma di conversazione – in questo caso una conversazione tra Giuda e Gesù, raccontata dal punto di vista principale del primo: si parte dal ricordo dell’ultima cena, passando dal giardino in cui avviene il bacio del tradimento, per poi finire direttamente all’inferno dove Giuda è costretto a fare i conti con la sua punizione, il senso di colpa e il pentimento FINO ALLA FINE DEL MONDO.

Anche se si parla esplicitamente del tradimento di Giuda, il significato metaforico può essere esteso al tradimento di coppia e a quello del gruppo nei confronti del pubblico o meglio delle sue aspettative.

Come dichiarato da Bono il brano “parla della tentazione e del tradimento, della mia stessa ipocrisia e di come si uccidono le cose che si amano, per citare Oscar Wilde “- secondo il quale appunto “ogni uomo uccide la cosa che ama”. La parte finale della canzone ruota proprio attorno a questo concetto, tra onde di gioia e di rimpianto che in qualche modo si ricongiungono in lontananza anche al finale del film di Wenders, nel quale si immaginava l’esistenza di una macchina capace di registrare e riprodurre i sogni delle persone. Nella rielaborazione di questo dialogo biblico, il brano si conclude proprio con Giuda che viene affogato dalla materializzazione stessa dei suoi sogni:

Nel mio sogno stavo annegando i miei dispiaceri, ma loro hanno imparato a nuotare, circondandomi, affogandomi.”

Se ancora non si fosse capito, Achtung Baby non è un disco particolarmente allegro o luminoso, ma, anzi, come si percepisce anche dal video del brano, possiede qualcosa di oscuro, orrorifico e perturbante – quasi cronemberghiano rispetto ad alcuni temi portanti come l’ossessione per il tubo catodico presente in Videodrome o quella per la realtà, virtuale di EXistenZ, senza dimenticare che – per la serie “coincidenze? Io non credo” – La Mosca è anche il titolo di uno dei film più mostruosi del regista canadese.

  • One

Chiudiamo infine con un’altra canzone che è una conversazione in musica: la più importante di tutte non solo perché si tratta della canzone più famosa dell’album, ma anche perché è quella che ne rappresenta al meglio il suo significato stratificato più profondo. A un primo ascolto distratto One  può sembrare la classica canzone d’amore romantico – e questo è uno dei motivi per cui viene spesso suonata ai matrimoni – ma come ha specificato lo stesso Bono, si tratta di una clamorosa cantonata perché “One è una canzone che parla di separazione”.  

Almeno in parte. Perché le cose, soprattutto in amore, non sono mai così semplici, e questo è probabilmente il messaggio principale che cerca di veicolare il secondo filone tematico del disco, ispirato in buona parte anche dalla separazione che stava avvenendo in tempo reale tra The Edge e la moglie Aislinn O’Sullivan.

Le difficoltà amorose e le complesse dinamiche che si instaurano all’interno di una coppia vengono scavate a fondo e riemergono di continuo in molti altri brani dell’album: si va da quelle più misteriose di Mysterious Ways  (se vuoi baciare il cielo è meglio che impari a inginocchiarti)  a quelle più disperate, crudeli e malinconiche di Who’s Gonna Ride Your Wild Horses(mi hai lasciato il cuore vuoto come una proprietà sfitta che gli spiriti sono liberi di infestare), So Cruel (Sto tenendo duro solo per vederti affogare, amore mio) e Ultraviolet Light My Way (c’è un silenzio che cala su una casa dove nessuno riesce a dormire / immagino sia il prezzo dell’amore / lo so che non è a buon mercato).

Ma la caratteristica peculiare di One è quella di attraversare contemporaneamente tutte le facce dell’amore esistenti dal punto di vista filosofico. Secondo la teoria dei 4 amori di C.S. Lewis, l’amore può essere di quattro tipi: l’Eros, ovvero l’amore romantico, la Philia, ovvero l’amicizia, lo Storge, cioè l’affetto familiare e infine l’Agape, ovvero l’amore divino che si traduce in una sorta di carità cristiana verso il prossimo.

La canzone riesce in qualche modo ad accarezzarli tutti perché ha molteplici significati distribuiti su più livelli. Quello più lineare mostra un rapporto di coppia in crisi: le frasi sono quelle tipiche di una lite tra amanti in cui l’Eros diventa fonte di dolore e sofferenza.

Ti ho deluso?
O ti ho lasciato un sapore amaro in bocca?
Ti comporti come se non avessi mai ricevuto amore
E vuoi che io ne rimanga senza

Siamo lontani anni luce dalle canzoni fatte di sole, cuore e amore: la frase più potente di One da questo punto di vista è anche quella più ambigua perché si presta a una duplice interpretazione negativa dovuta alla polisemia del verbo “To Get”:

And I can’t be holding on
To what you got
When all you got is hurt

Una prima lettura più letterale potrebbe essere tradotta così: “non posso restare aggrappato a quello che hai, perché tutto quello che hai (da darmi) è dolore”; se invece consideriamo il verbo “get” come ausiliare della forma passiva si potrebbe anche parafrasare in modo più colloquiale: “non posso restare aggrappato a quello che hai perché (dopo tutto) tu sei sempre stata soltanto ferita (e quindi non hai niente da offrirmi)”. Il risultato finale in ogni caso non cambia: dolore e sofferenza. Insomma non proprio una canzone da dedicare alla persona amata il giorno del matrimonio.

Un altro verbo dal quale scaturisce ulteriore sofferenza e che ha molta importanza nell’economia delle espressioni amorose degli U2 è il verbo TO CRAWL (strisciare): lo troviamo sia in One (You ask me to enter / and then you make me crawl) che in The Fly (A man will beg / A man will crawl / On the sheer face of love). In quest’ultima frase c’è un’altra ambivalenza di significato legata alla parola “sheer”, per cui possiamo tradurre il verso sia in maniera più lineare come “la superficie liscia dell’amore”, sia in maniera più ardita, come “la superficie a strapiombo dell’amore”, che dà più l’idea della vertiginosità e della pericolosità del sentimento.

Ma la frase più famosa dell’album è quella del ritornello di One – We are one, but we are not the same” / “siamo una cosa sola, ma non siamo la stessa cosa” – nata come risposta a un invito del Dalai Lama e diventato poi la più grande e semplice verità sull’amore: per quanto ci si possa amare e sentire uniti, due persone manterranno sempre le loro differenze. Ed è forse nel mantenimento di questa eterna tensione tra il sentirsi uno e l’essere sé stessi che si trova il segreto dell’amore vero (Eros) e il significato stesso della band: U2 come “distinzione”, YOU TWO, VOI DUE, ma anche come “unione”, “YOU TOO, ANCHE TU.

Inoltre nel ritornello di One è contenuta anche la Philia, cioè l’amicizia tra i membri del gruppo perché è una frase che descrive alla perfezione la situazione di crisi che stavano attraversando per via delle diverse opinioni (we are not the same)  sulla nuova direzione musicale da intraprendere come band (we are one). Fu proprio la registrazione di One a compiere il miracolo di tenerli insieme nonostante le varie divergenze, aprendo il primo spiraglio di luce per la realizzazione del disco.

Il concetto di storge – cioè l’amore come affetto – si inserisce, invece, in un’altra possibile lettura del brano circolata tra i fan: quella che vede la conversazione del testo come un dialogo tra un padre e un figlio malato di Aids, suggerita dal fatto che il brano era stato pubblicato come singolo benefico a sostegno della ricerca sull’HIV e veicolata anche grazie al primo video girato per il brano da Anton Corbijn – forse il meno noto tra i tre realizzati, ma sicuramente il più immaginifico – in cui vi è la figura di un padre patriarcale che ritorna più volte sullo sfondo di una Berlino in bianco e nero virato seppia, mentre Bono fa la sua confessione sotto forma di canto guardando fisso in camera seduto sul divano:

Sul finire il senso del brano si espande ulteriormente fino ad abbracciare l’agape, creando un concetto di unità simile a una sorta di benevolenza attiva, ovvero un senso di unione che dovrebbe spingere i popoli (One life with each other / Sisters, brothers) ad aiutarsi tra loro, “We get to carry each other “/ “dobbiamo sostenerci a vicenda”, perché questo è l’unico modo per far funzionare le cose, anche a 30 di distanza da un disco così misterioso, a cui possiamo ancora “aggrapparci” nonostante tutto e così fino alla fine del mondo.

— Onda Musicale

Tags: U2/Bono
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