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Wilm Hosenfeld e Władysław Szpilman: quando la musica salva il mondo intero

Oggi è il Giorno della Memoria. Sul nostro giornale vogliamo celebrarlo raccontandovi una storia dove la musica sembrava essere l’unica cosa in grado di opporsi a qualsiasi brutalità. Una storia sconvolgente ed emozionante, quella del pianista polacco Władysław Szpilman e del capitano tedesco Wilm Hosenfeld.

Chi salva una vita, salva il mondo intero – מי שמציל חיים מציל עולם ומלואו (Talmud Yerushalmi)

Un pianista polacco è il protagonista del capolavoro di Roman Polański. Prima dell’uscita del film, la notorietà di Władysław Szpilman non oltrepassava i confini della sua terra. Nasce da una famiglia di musicisti, padre violinista e madre pianista. Studia all’Accademia Chopin di Varsavia con due allievi di Franz Liszt, Jozef Smidowicz e Aleksander Michalowski. Nel 1931 e fino al 1933, consegue una borsa di studio offerta dall’Accademia delle Arti di Berlino, dove studia pianoforte con Leonid Kreutzer e Artur Schnabel. Torna a Varsavia nel 1934 e l’anno successivo inizia a suonare il pianoforte per la Radio polacca. A 28 anni è già una celebrità. L’attività di pianista cessa bruscamente il 23 settembre 1939, dopo un drammatico bombardamento da parte della Luftwaffe.

Il film di Polański inizia da qui

Le angherie e le vessazioni contro i cittadini ebrei, che all’inizio si limitavano all’intimidazione fisica e psicologica, si trasformano molto velocemente in una persecuzione sanguinaria finalizzata allo sterminio. Come tutti gli altri cittadini ebrei, subisce le umiliazioni e le privazioni dovute alla politica antisemita imposta dalla Germania nazista. Finisce nel ghetto della città dal quale – tramite l’intervento di amici e di qualche eroico sovversivo – riesce ad evadere prima della che il ghetto venga distrutto. Una distruzione che verrà condotta con sistematica ferocia, edifico dopo edificio, con l’utilizzo di cannoni e di lanciafiamme.

Siamo alla fine del 1944 e Varsavia è diventata la porta dell’inferno

Polański ci trascina nell’incubo di una capitale annientata, nel vero epicentro della catastrofe causata dal Nazismo. Sono gli ultimi giorni di una città allo stremo. Dalle macerie di una città senza più volto, si muove come un fantasma anche il giovane Szpilman, uno dei rari Robinson Crusoe di Varsavia, i pochi sopravvissuti ai rastrellamenti, ai controlli, agli arresti, alla deportazione verso Treblinka. L’Armata Rossa tra non molto attraverserà la Vistola nella sua avanzata verso Ovest ma in un inferno come questo un giorno è lungo un secolo. Nessuno ha più le forze per riuscire ad immaginare un futuro da vivo. Szpilman è sfinito, da qualche giorno ha trovato rifugio in un appartamento rimasto in piedi: è al civico 223 di Aleja Niepodległości.

Władysław Szpilman ci apre il cancello del 223 di Aleja Niepodległości.

Esce dal suo nascondiglio solo per procurarsi da mangiare. Mentre è in cerca di cibo incontra il capitano della Wehrmacht Wilm Hosenfeld. Nel film, l’incontro tra il pianista e il capitano tedesco è una delle scene più emozionanti:

Polański lo ha rappresentato come il classico ufficiale tedesco ben presente nel nostro immaginario, con la divisa impeccabilmente elegante e gli stivali lucidati alla perfezione. Sembra si sia rasato da poco, nonostante gli eventi stiano per travolgerlo. Un uomo freddo, distaccato, imperturbabile, che sembra convincersi a salvare la vita del musicista soltanto perché stupito dalla sua abilità nel suonare il pianoforte.

Siamo arrivati al gennaio 1945 e all’epilogo del film

Szpilman viene individuato dai soldati sovietici: lo scambiano per un tedesco perché indossa, goffamente, il cappotto che l’ufficiale tedesco gli ha regalato prima di tentare un rientro in patria.

Incrocerà un’ultima volta il “suo” capitano tedesco nei giorni successivi: gli appare da dietro una rete metallica, dove è stato rinchiuso dai soldati dell’Armata Rossa in un improvvisato campo di prigionia. Prima dei titoli di coda, una frase in sovraimpressione riporta che l’ufficiale tedesco Wilm Hosenfeld è morto in un campo di prigionia di Stalingrado il 13 agosto 1952.   

Il Pianista è considerato uno dei più grandi capolavori del cinema del XXI secolo. Un Polański straordinario ha amorevolmente diretto attori superlativi, dai quali è emerso Adrien Brody che ci ha regalato un Władysław Szpilman più vero del vero.

Una storia appassionante che ha lasciato un interrogativo irrisolto

Un film straordinario che avrebbe meritato un sequel. Come per Il Padrino, il capolavoro hollywoodiano dalle tematiche completamente diverse, anche Il Pianista avrebbe meritato una “parte seconda”. Un secondo atto in grado di accendere la luce sulle verità rimaste in ombra.     

Questo perché Władysław Szpilman scrisse il suo romanzo autobiografico immediatamente dopo la sua liberazione. Contemporaneamente al Primo Levi di Se questo è un uomo, Szpilman inizia a scrivere d’istinto, spinto da un impulso insopprimibile ed animato dall’urgenza di dover raccontare quante più cose possibili. Sta cercando di elaborare e di dare un senso alla sua esperienza sconvolgente. Proprio come Primo Levi, descrive minuziosamente persone, date ed accadimenti. Non perde tempo e si mette alla ricerca del “suo” tedesco, che tratteggerà ampiamente nelle pagine del romanzo. La descrizione cinematografica non rende onore al capitano Wilm Hosenfeld. La sua è una storia che scalda i cuori e che merita di essere conosciuta.

Chi era questo capitano nazista?
Wilm e Annemarie Hosenfeld insieme ai loro figli.

Wilm Hosenfeld nasce in una famiglia di un preside cattolico vicino a Fulda, una piccola città situata ad un centinaio di km ad est di Francoforte. Durante l’istruzione riceve un insegnamento cattolico dal quale apprende l’importanza della carità. È influenzato dall’Azione Cattolica e dal servizio sociale svolto dalla Chiesa ma subisce anche il fascino dell’obbedienza prussiana e del patriottismo tedesco. Di contro, è ammaliato da sua moglie Annemarie e dalle sue idee pacifiste. Partecipa alla Grande Guerra, nel 1917 viene gravemente ferito e riceve la Croce di Ferro di seconda classe per meriti conseguiti sul campo.

Dopo la guerra diventa un insegnante ma nel 1939 entra nella Wehrmacht. Viene subito dislocato in Polonia, dove vi resterà fino alla cattura da parte dei sovietici, il 17 gennaio 1945.

Una volta di stanza a Varsavia, la sua fede nel Nazismo inizia a vacillare. Non sopporta il trattamento riservato ai polacchi e soprattutto agli ebrei. Come qualche altro commilitone, prova compassione per i cittadini occupati, vergognandosi di quello che facevano i soldati tedeschi.

Decide di offrire il suo aiuto a costo di mettere a repentaglio la propria vita

Diventa amico di molti polacchi e tenta di imparare la lingua. Assiste alle messe partecipando alla comunione. Si confessa, nonostante il divieto militare, ai sacerdoti polacchi. In sostanza, inizia ad aiutare i polacchi fin da subito, sul finire del 1939 quando – violando il protocollo – permette ai prigionieri di guerra di vedere le proprie famiglie.  Si adopera con successo per il rilascio di un prigioniero. Sfrutta la sua posizione per dare rifugio alle persone, a prescindere dalla loro estrazione. Aiuta anche un tedesco antinazista, correndo il serio rischio venire arrestato della Gestapo.  

Qualche giorno dopo aver ceduto il suo cappotto da ufficiale a Władysław Szpilman, il 17 gennaio 1945 si arrende all’Armata Rossa. Si trova a Błonie, una cittadina polacca situata a circa 30 km ad ovest di Varsavia. È a capo di una compagnia della Wehrmacht che sta tendando di ritornare a casa.

I Sovietici lo condannano a 25 anni di lavori forzati per crimini di guerra. Dalla prigionia, riesce avventurosamente a far pervenire una lettera alla moglie Annemarie soltanto nel 1946. Lei adesso si trova in Germania Ovest. Hosenfeld le scrive i nomi degli ebrei che ha salvato e la prega di contattarli per chiedergli di testimoniare per cercare di ottenere il suo rilascio.

La vita per Szpilman è ricominciata dallo stesso punto in cui si era interrotta

Ha ripreso a suonare il piano per la Radio polacca. Si trova sempre a Varsavia, è il 1946, questa volta ci sono i Russi e pertanto la capitale continua a non essere libera. Si mette alla ricerca dell’ufficiale che lo ha salvato e finalmente, nel 1950, riesce a conoscerne il nome. Prova a chiederne la liberazione e intende portare la sua testimonianza diretta.

In onda su Radio Polskie, la Radio nazionale polacca.

Szpilman si scontra però contro dei muri di gomma. I Sovietici non ne vogliono sapere di darsi da fare rimettere in libertà un prigioniero tedesco. A questo punto, non gli resta che chiedere l’intercessione un uomo che detesta profondamente. Lo considera “un bastardo”: è un ebreo, si chiama Jakub Berman ed è il capo della polizia segreta polacca. Molti giorni dopo, Berman incontra Szpilman e gli riferisce che non c’è nulla da fare.

Con fare sprezzante, gli dice testualmente: “Se il “tuo” tedesco fosse ancora in Polonia, allora potremmo portarlo via. Ma i nostri compagni in Unione Sovietica non lo lasciano andare. Dicono che “il tuo ufficiale” apparteneva a un distaccamento coinvolto nello spionaggio – quindi non c’è niente che possiamo fare come polacchi, e io non ho potere.”

Szpilman non gli crede

Per lui, Jakub Berman è uno dei ruffiani di Stalin. È convinto di aver approcciato il peggior criminale di tutti. I registri del campo di prigionia sovietico riporteranno con burocratico zelo che il capitano Wilm Hosenfeld è deceduto il 13 agosto 1952 alle 10 del mattino a causa della rottura dell’aorta toracica. Molto probabilmente, la morte sopraggiungeva durante una tortura in un lager nei dintorni di Stalingrado.

Il pianista Władysław Szpilman si è spento nella sua Varsavia il 6 luglio del 2000

La famiglia Szpilman non ha smesso di cercare la verità. Andrzej Szpilman, il figlio nato a Varsavia nel 1956, ha chiesto a più riprese allo Yad Vashem di annoverare Wilm Hosenfeld tra i Giusti tra le Nazioni, le donne e gli uomini non-ebrei che rischiarono la vita per salvare ebrei. Nel giugno del 2009 Wilm Hosenfeld è stato riconosciuto dallo Yad Vashem, il memoriale ufficiale d’Israele per le vittime dell’Olocausto, come un Giusto tra le Nazioni.

Il 19 giugno 2009 si è tenuta a Berlino una cerimonia: diplomatici israeliani hanno consegnato ai figli di Wilm Hosenfeld il riconoscimento dello Yad Vashem, il massimo onore che lo Stato di Israele riservi ad un cittadino non ebreo.

19 giugno 2009, Berlino: i figli di Wilm Hosenfeld ricevono il riconoscimento dello Yad Vashem.

Ci piace pensare al Pianista e al Capitano come due buoni amici, in pace, ovunque e da un’altra parte. Vi lasciamo all’incanto di Władysław Szpilman circondato dalle fotografie dei suoi cari, nell’intimità della sua casa a Varsavia, mentre esegue il Notturno n. 20 in Do diesis minore di Fryderyk Chopin. Chi salva una vita, salva il mondo intero.

— Onda Musicale

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