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Procol Harum, il primo disco della band di “A Whiter Shade of Pale”

I Procol Harum nel 1967

Il 12 maggio del 1967 arriva nei negozi di dischi britannici un 45 giri di una band sconosciuta, i Procol Harum. Il singolo è A Whiter Shade of Pale ed è destinato a diventare uno dei più leggendari della storia del rock.

Quando si tenta di etichettare per generi la musica rock – è inevitabile – si va spesso incontro al disastro. Altrettanto inevitabile, per alcuni, è provarci comunque, ed è così che per qualcuno il 12 maggio segna la data di nascita del rock progressivo. I Beatles di Sgt. Pepper arriveranno solo poco tempo dopo i Procol Harum e apriranno – pur lontani dal prog – l’era delle grandi sperimentazioni.

Anche i Moody Blues, che contendono ai Procol Harum la paternità del prog rock, licenzieranno Days of Future Passed solo nel novembre dello stesso anno. Poco importa – diciamo noi – capire chi abbia inventato il genere, tanto più che sia i Procol Harum che i Moody Blues daranno un contributo modesto al progressive; importa che quel giorno inizi la storia quasi mitica di un complesso irripetibile.

La vicenda dei Procol Harum prende le mosse nel lontano 1962.
A Southend-on-Sea, cittadina dell’Essex, il diciassettenne Gary Brooker, tastierista dotato di una voce eccezionale, fonda i Paramounts. Con lui ci sono Robin Trower alla chitarra, il batterista Barrie James Wilson e al basso Chris Copping. I ragazzi suonano un genere spurio, tra il rock’n’roll americano e il nascente beat, un po’ come tante altre band coeve.

La EMI li mette sotto contratto e loro la ripagano con un’unica hit, una cover di Poison Ivy dei Coasters; nel 1966, dopo una carriera che non è mai decollata, il complesso si scioglie in cerca di nuove strade. Ingaggiato come compositore dal produttore Guy Stevens, Brooker viene affiancato al paroliere Keith Reid. I due si mettono al lavoro senza grossi esiti, almeno all’inizio.

Nel frattempo, Brooker cerca di dare forma a una band che ha in mente, ideale punto d’unione tra Booker T, Young Rascals e Bob Dylan. Il gruppo è composto da Brooker, Matthew Fisher, David Knights, Bobby Harrison e Ray Royer. Il moniker Procol Harum – che tanto ha fatto almanaccare – è in realtà la storpiatura del nome del gatto di Stevens. All’inizio del 1967 hanno registrato appena un brano.

Il pezzo è un tentativo, allora rivoluzionario, di fondere musica classica e pop. La celeberrima intro trae ispirazione dal brano classico Aria sulla quarta corda con alcune componenti della cantata BWV 140 Wachet auf, ruft uns die Stimme, entrambi opere di Johann Sebastian Bach. Questa sorta di riff è dovuto all’ispirazione di Brooker e Fisher; quest’ultimo lo suona con l’organo Hammond.

Il ritornello è invece vagamente ispirato a When a Man Loves a Woman di Percy Sledge. Inutile precisare che il brano è A Whiter Shade of Pale e che la parte d’organo diventerà una delle partiture musicali più conosciute di sempre. Oggi abbiamo sentito la canzone in tutte le salse possibili, dalle cover dell’epoca in altre lingue al tremendo kitsch delle versioni da Ballando con le Stelle o suonate col flauto peruviano.

Se proviamo però a calarci nei panni di un ascoltatore del 1967, il brano è pura dinamite. Qualcosa che non si è mai sentito prima, la canzone perfetta, se ne esiste una.

Le parole piuttosto criptiche sono di Keith Reid, mentre il pallore a cui si riferisce il titolo pare si riferisca a quello della moglie di Guy Stevens. Tra consorte e gatto, il produttore meriterebbe quasi un posto tra gli autori. La canzone riscuote un successo immediato e schizza in testa alle classifiche, scalzata solo sei settimane dopo da All you Need is Love dei Beatles.

Un analogo, se non superiore, successo lo ottiene Senza Luce, la cover italiana dei Dik Dik il cui testo è firmato – senza nessun rispetto per le parole originali – da Mogol. Le vendite sono tali che Gary Brooker in persona scrive una lettera di ringraziamento ai Dik Dik per le copiose royalties guadagnate.

Il successo giunge però talmente improvviso che i Procol Harum non hanno né il repertorio, né l’affiatamento necessario per trarne tutto il profitto. Homburg, un brano con le stesse atmosfere del precedente, viene immesso sul mercato dopo l’estate e ottiene grande successo; anche qui la cover italiana, stavolta de I Camaleonti, è un trionfo. Manca solo il sugello di un album, e i musicisti si mettono al lavoro.

Royer e Harrison, però, abbandonano subito e Brooker si ricorda dei vecchi compagni dei Paramounts. Arrivano così Robin Trower, che nel frattempo ha ispessito la sua tecnica chitarristica, e il batterista Barrie James Wilson. Vuole la leggenda che Wilson abbia appena rifiutato di entrare nei futuri Led Zeppelin: i tempi non paiono confermare la storia.

Il disco viene pronto con una certa fretta già per settembre, pubblicato dalla Regal Zonophone. L’etichetta appartiene alla EMI: la Harvest, label prog della casa, infatti non esiste ancora. L’album contiene dieci canzoni che suonano ben lontane dal futuro rock progressivo, destreggiandosi tra beat e soul, con un tocco di classicismo che diviene il marchio di fabbrica.

La bella copertina gotica, in stile vittoriano virato alla psichedelia si deve alla moglie di Terry Reid. La donna, nota in arte come Dickinson, si ispira all’artista vittoriano Aubrey Beardsley.

Come abitudine in Gran Bretagna, non ci sono i singoli di grande successo; nella versione americana trova invece posto A Whiter Shade of Pale, mentre per avere in lista anche Homburg occorre aspettare la riedizione del 1997.

Procol Harum – questo l’illuminante titolo – si apre con Conquistador, unico brano a rimanere nella storia. Il pezzo è ispirato dai Beach Boys e da Don Chisciotte, numi tutelari ben bizzarri se accostati. Le atmosfere sono beat, mitigate dal contributo dell’organo Hammond e dalla bellissima voce di Brooker, che ricorda nel timbro quella di Steve Winwood. Anche il brano, tutto sommato, non si discosta molto dal coevo Spencer Davis Group.

She Wandered Through the Garden Fence è un brano pop quasi beatlesiano; i marchi di fabbrica dell’organo – con un bell’assolo – e della voce di Brooker riescono a renderlo molto gradevole, ma non a farne una canzone memorabile. Something Following Me è un bel numero, dalle atmosfere quasi da slow blues in minore e un piano alla Ray Charles. Trower si prende per la prima volta le luci con una bella parte di chitarra, breve e molto acida.

Mabel è un divertissement da bettola, con tanto di rumori ambientali sullo sfondo e un kazoo che suona allegro. Tra una bottiglia che va in frantumi e una melodia tradizionale, il pezzo corre via piacevole ma – in sostanza – senza aggiungere nulla al disco. Fa molto meglio Cerdes (Outside the Gates of), lunga escursione psichedelica che ricorda vagamente The Season of the Witch nella versione di Stills e Kooper.

La voce di Brooker è ispirata, l’Hammond tesse la giusta atmosfera e la chitarra di Robin Trower si muove sinuosa e perfettamente a suo agio, con fraseggi blues e un suono saturo e corposo. Uno dei pezzi migliori di un lavoro sicuramente acerbo.

A Christmas Camel si muove ancora in territori soul e blues, con un intro che ricorda molto I Believe to my Soul, classico di Ray Charles reso celebre dagli Animals. Non bisogna dimenticare che la stagione psichedelica e progressiva non è nemmeno iniziata e che British Blues e soul bianco sono allora le maggiori ispirazioni delle band britanniche.

Kaleidoscope è un brano in cui la presenza dell’organo si fa più imponente; un rock dal ritmo sostenuto che ricorda quasi certe cose dei Cream. Salad Days (Are Here Again) tenta di riproporre le atmosfere dei singoli di successo, ma non riesce ad azzeccare la melodia giusta. Good Captain Clack, come la precedente Mabel, propone di nuovo suggestioni da taverna del porto, con tanto di cori. Un altro episodio un po’ fuori contesto.

Chiude lo strumentale Repent Walpurgis, scritto da Matthew Fisher e aperto da una batteria che sfoggia un tiro che anticipa gli anni Settanta. Il brano incede cupo e maestoso, guidato dall’organo di Fisher e da un lungo assolo di Trower. A metà un break di pianoforte riporta la calma, prima che il tema principale riprenda ancora più roccioso.
Una bellissima chiusura che forse avrebbe meritato anche una parte vocale per entrare tra i cavalli di battaglia del gruppo.

Procol Harum è un disco sicuramente non del tutto riuscito, composto e registrato con troppa fretta e senza una strada precisa da seguire; tuttavia, al di là di alcuni brani davvero di pregevole fattura, è un documento di importanza capitale del passaggio tra beat e rock progressivo. Certo, se alla tracklist aggiungiamo Homburg e A Whiter Shade of Pale ci troviamo di fronte a un lavoro di ben altro peso.

Con Shine On Brightly dell’anno dopo i Procol Harum troveranno migliore affiatamento e un’ispirazione più autenticamente prog. La suite In Held Twas In I, di ben 18 minuti, ne è la migliore dimostrazione. Dopo il grande successo di A Salty Dog – brano celebre per la sigla finale de La TV dei Ragazzi in Italia – la verve del gruppo andrà scemando.

Robin Trower, convertitosi a credibile emulo di Jimi Hendrix, continuerà da solo cambiando completamente suono e genere. I Procol Harum, tra scivolate e qualche causa legale, continueranno la loro storia fino ai giorni nostri. Una storia tragicamente interrotta dalla scomparsa di Gary Brooker, vera anima del complesso, il 19 febbraio del 2022.

β€” Onda Musicale

Tags: The Beatles, Bob Dylan, Moody Blues, Procol Harum
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