Da quel fatidico giorno in cui il leader dei Nirvana decise di togliersi la vita, il mito di Kurt Cobain è stato omaggiato da svariati artisti, tra cui spiccano anche alcuni volti noti della scena hip-hop contemporanea, come Jay-Z, Eminem, Drake e Kanye West – giusto per citare i più famosi.
Scavando nel mucchio, tra omaggi sinceri, riletture interessanti e sbruffonate da poser, si possono scovare alcune canzoni più che meritevoli come ad esempio il campionamento di Smells Like Teen Spirit inserito da Jay-Z e Justin Timberlake in Holy Grail oppure il singolo d’esordio del rapper vincitore del premio Pulitzer Kendrick Lamar, dove il colpo di fucile di Cobain trova spazio tra un moonwalk di Micheal Jackson e il ritiro di Laurynn Hill:
(HiiiPOWER – Kendrick Lamar)
Tuttavia è indubbio che se vogliamo trovare qualcuno che sia stato davvero capace di maneggiare il mito di Kurt Cobain e di eternarlo in una canzone memorabile degna del suo dedicatario dobbiamo fare un passo indietro e tornare alle radici rock della stella di Aberdeen.
Senza alcuna pretesa di elargire verità assolute abbiamo provato a stilare una lista delle dieci migliori canzoni dedicate a Kurt Cobain: si tratta di canzoni scritte da artisti che nella maggior parte dei casi hanno avuto modo di conoscerlo di persona, spesso erano anche amici, amiche o amanti, oppure più semplicemente ammiratori, ammiratrici o spiriti affini.
Queste le nostre scelte raccolte in una comoda playlist:
- 1 Let me in – R.E.M.
- 2 Tearjerker – Red Hot Chili Peppers
- 3 I’m Still Remembering – The Cranberries
- 4 About a Boy – Patti Smith
- 5 Sleeps With Angels – Neil Young
- 6 Mighty K.C. – For Squirrels
- 7 Some Jingle Jangle Morning – Mary Lou Lord
- 8 Friend of a Friend – Foo Fighters
- 9 I Don’t Blame You – Cat Power
- 10 Malibu – Hole
Dietro ognuna di loro c’è una lunga storia che meriterebbe di essere raccontata, ma dovendo sceglierne una soltanto non possiamo far altro che optare per la seguente:
Let Me In (Lasciami Entrare)
L’ultimo album ascoltato da Kurt Cobain prima di spararsi un colpo di fucile alla nuca è stato Automatic For The People dei R.E.M. – un album fortemente incentrato sulla morte, così come lo sarà anche il successivo Monster del 1994. Quest’ultimo eraespressamente dedicato alla memoria dell’amico e attore River Phoenix (nel libretto si legge un laconico For River), ma alla fine vi troverà dimora anche la dedica a Kurt Cobain.
Il fatto che Kurt abbia scelto di ascoltare la voce di Micheal Stipe come suo ultimo suono sulla terra non deve stupire più di tanto. Tra i due infatti si era instaurata una forte amicizia basata sulla stima reciproca dei rispettivi lavori e non solo: Cobain ammirava anche il lato umano di Stipe e della sua band, in particolare il modo in cui erano riusciti a gestire il successo planetario ottenuto dopo Out Of Time – “They’ve dealt with their success like saints, and they keep delivering great music “ – una cosa che invece Kurt non era assolutamente stato in grado di fare e che anzi era diventata un’ulteriore fonte di sofferenza da soffocare nella droga. Nell’ultimo periodo Stipe aveva anche tentato di tenerlo lontano dall’eroina con la scusa di una possibile collaborazione tra loro, ma il suo tentativo era miseramente fallito: un giorno provò a spedirgli un biglietto aereo e un autista, ma Kurt attaccò il biglietto al muro e lasciò l’autista fuori di casa per dieci ore: non uscì più e non rispose più al telefono. Nice Try.
Quando la notizia della morte di Kurt fece il giro del mondo Stipe ne rimase sconvolto e scrisse questa canzone intitolata simbolicamente Let me In (lasciami entrare ), proprio perché fino all’ultimo aveva tentato di sfondare quella porta dietro la quale Kurt si era chiuso a chiave dentro se stesso.
“Abbiamo fatto tutto il possibile per salvarlo dal luogo in cui stava, ma quel livello di disperazione è irraggiungibile”
(M. Stipe)
I versi tipicamente ermetici di Stipe questa volta non lasciano dubbi sulle sue intenzioni
Avevo in mente di provare a fermarti.
Hey, Lasciami entrare.
Hey, Lasciami entrare”
Così come sui conseguenti e inevitabili sensi di colpa:
Ma avevo il catrame sui piedi e non riuscivo a vedere
Tutti gli uccelli mi guardano dall’alto e ridono di me
Goffi, mi escono dalla pelle”
Ancora oggi nell’ascoltare i versi di questo brano si percepisce qualcosa che non va, come se ci fosse qualcosa di soffocato nel suono e nell’anima, un eterno irrisolto, intrappolato in una prigione di rumore. La voce di Stipe è più inquieta(nte) del solito, sembra quella di uno che non si perdona il suo errore. Anche la chitarra usata nella registrazione è diversa, apparteneva a Kurt infatti e non ha il classico suono scintillante delle chitarre jangle dei R.E.M., ma quello più cupo e distorto, tipico delle band di Seattle di quegli anni.
Nel video ufficiale del brano si vede una sorta di pioggia irreale che “sgocciola” dall’alto, proprio come dicono i suoi versi iniziali:
Yeah all those stars drip down like butter
And promises are sweet
We hold out our pans with our hands to catch them
We eat them up, drink themSì, tutte quelle stelle sgocciolano come burro,
le promesse sono dolci
reggiamo le scodelle con le nostre mani per prenderle
mangiarle, berle.
Sono versi in parte ispirati alla Birdland di Patti Smith – It was if someone had spread butter on all the fine points of the stars / ‘Cause when he looked up, they started to slip – un’altra che ha avuto un’intera vita lastricata di morti dolorose (il padre, il marito, il fratello) e che qualche anno più tardi dedicherà pure lei una canzone al ragazzo di Aberdeen (About a Boy), senza averlo mai conosciuto, ma avendolo comunque percepito come uno spirito punk affine.
Let Me In in fin dei conti non è altro che una preghiera punk o, per usare parole migliori delle mie “una preghiera a cose più belle di me”, una canzone che proprio nel suo essere fuori fuoco, distorta e irrisolta, risulta essere in questo caso perfettamente centrata, oppure – tornando ancora a quelle parole e “distorcendone” alcune anche noi – un’
Immagine perfetta.
Sensazione perfetta.
Micheal Stipe, Kurt Cobain, Patti Smith.
È nella pioggia, oggi, il vostro grido.