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George Harrison: da solista fuggì dai Beatles per scoprire se stesso

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Un cofanetto di sei cd e un dvd intitolato “George Harrison: The Apple Years 1968-75”, uscito il 23 settembre 2014, riporta in primo piano la frenetica, creativa, contraddittoria attività del chitarrista dei Fab Four in versione solista.

Dalle sperimentazioni di “Electronic Sound” alla celebrazione di “All things must pass”, il suo capolavoro. C’è una scena del film Let it be in cui George Harrison, durante le session per l’omonimo album, litiga con Paul McCartney. Non sopportava più di dover assecondare le idee altrui. I Beatles erano ormai alla fine, e a George le gerarchie interne al gruppo andavano ormai strettissime: voleva spazio per la sua musica. Cercava nuove strade, musicali e filosofiche.

Si era innamorato dell’India e della sua cultura. Non a caso fu il primo a pubblicare un disco solista: si intitolava Wonderwall music ed uscì, senza troppo clamore, nel novembre del 1968. Nel giro di sette anni pubblicò sei album, di cui uno addirittura triplo, scrisse le colonne sonore di Onyricon nel 1969 e quella del documentario sul maestro indiano del sitar Ravi Shankar, Raga, nel 1971.

Il primo agosto dello stesso anno organizzò il celebre concerto in favore della popolazione del Bangladesh, da cui è tratto il triplo album The Concert of Bangladesh, da tutti considerato, nonostante la grande quantità di ospiti (Ringo Starr, Eric Clapton, Bob Dylan e tanti altri), un suo disco solista. Un’urgenza creativa quasi frenetica, che oggi rivive in un box di sei cd intitolato George Harrison: The Apple Years 1968-75.

TUTTI I VOLTI DI GEORGE. Il cofanetto riunisce i primi 6 album solisti dell’ex Beatle, pubblicati per l’etichetta dei Fab Four, la celebre Apple: Wonderwall musicElectronic soundAll things must passLiving in the material worldDark Horse e Extra texture (Read all about it). I dischi sono stati rimasterizzati in digitale dai nastri originali analogici e saranno disponibili anche singolarmente. Tutti sono stati arricchiti con brani rari o inediti: in particolare, in All things must pass sono state inserite anche le cinque bonus tracks che facevano parte della lussuosa ristampa uscita nel 2001. Il box conterrà anche un dvd con estratti dal concerto per il Bangladesh, clip promozionali e brani live, un mini film di sette minuti realizzato con filmati inediti e un libro con introduzione scritta dal figlio di George, Dhani. (leggi l’articolo)

I sei album sono molto diversi tra loro, ma ricostruiscono il clima di febbrile attività di Harrison nell’era post Sgt. Pepper, forse l’ultimo attimo in cui i Beatles furono ancora un gruppo. Sono dischi in cui George rovesciò il suo sconosciuto istinto sperimentale, declinato sia sotto forma di fascinazione nei confronti della musica e delle filosofie indiane (fu, in un certo senso, un precursore della world music) o di dilettantesco e appassionato approccio alla musica elettronica. Wonderwall music era la colonna sonora dell’omonimo film dell’esordiente regista Joe Massott e mescolava musica rock e sonorità indiane.

“La prima volta che ascoltai musica indiana in modo cosciente fu come se la conoscessi già”, ha raccontato Harrison negli anni Novanta, “c’era qualcosa in quel sound che mi era familiare ma al tempo stesso, a livello intellettuale, non capivo assolutamente cosa succedesse”.  Non a caso, fu lui a stupire il mondo nel 1965 inserendo un sitar nella intro di Norwegian wood. E parlando della sua prima opera solista raccontò: “Decisi di comporlo come se fosse una mini antologia di musica indiana perché volevo portare l’attenzione del pubblico verso quel genere”.

Electronic sound è forse il lavoro più spiazzante dell’intera carriera del chitarrista. È un disco (uno dei primi, se non il primo in assoluto della storia) che contiene esclusivamente suoni ricavati da un sintetizzatore Moog IIIP che lo stesso George confessò anni dopo di “non aver mai imparato veramente a usare”. “Qualsiasi suono uscisse mentre giocherellavo con i pomelli veniva registrato”: quando uscì, il disco passò praticamente inosservato (“indizi di avanguardia”, scrisse lo stesso Harrison nelle note della ristampa del 1992), ma negli anni è diventato oggetto di studi da parte delle star della scena elettronica degli anni Novanta e Duemila.

“Raffiche di suono cavernoso, esplosioni di rumore bianco, bellissime e delicate basi, il suono era selvaggio e fluido e non aveva alcuna relazione con gli altri lavori di George”, ha commentato Tom Rowlands dei Chemical Brothers. Il disco conteneva solo due tracce, che nella versione americana furono invertite mentre le etichette rimasero le stesse della versione inglese creando una confusione che si è protratta per decenni.

All things must pass resta il capolavoro del George solista. Un torrenziale e un po’ mistico triplo vinile, realizzato con l’aiuto del produttore Phil Spector e di musicisti amici come Ringo Starr, Eric Clapton e Dave Mason, che la rivista americana Rolling Stone ha inserito tra i 500 album migliori di ogni tempo. “Non scordatevi che John e Paul avevano riportato maggiori soddisfazioni scrivendo tutte quelle canzoni con i Beatles”, dichiarò Harrison nel 1987, “specie dopo il 1966 io iniziai a scrivere molto materiale, e una o due canzoni per album non mi bastavano più. All’epoca dell’uscita del triplo mi sentivo come liberato dopo anni passati in stato di costipazione. Avevo 17 pezzi e non volevo proprio scartarne nessuno. Volevo sbarazzarmene in modo da potermi rioccupare di me stesso”. In quel disco c’era anche My sweet Lord, singolo di enorme successo che costò però all’ex Fab Four una condanna per plagio: il brano era identico a He’s so fine delle Chiffons

LE FOLLIE DEI BEATLES IMPRENDITORI. Il picco creativo di All things must pass rimase inarrivabile, ma anche gli altri dischi della prima era Apple, e in particolare Dark Horse, ebbero una certa rilevanza nella biografia dell’ex Beatle. Proprio con quell’album Harrison inaugurò la Dark Horse Records, che pubblicò dischi del maestro di sitar Ravi Shankar, degli Attitudes di Jim Keltner e dell’ex chitarrista di Joe Cocker e degli Wings Henry McCollough. Ma sempre a proposito di etichette e sottoetichette, Electronic sound venne pubblicato dalla Zapple, il ramo della Apple Records dedicato alla musica sperimentale.

In realtà, oltre a quello di George, la Zapple produsse soltanto un altro disco, sempre nel 1969: Unfinished music No.2  –  Life with ethe lions di John Lennon e Yoko. La Apple è stata forse l’esperimento più affascinante e più fallimentare dell’intera storia dei Beatles. Nel 1967 i quattro vennero informati che si trovavano in una situazione finanziaria per cui qualsiasi somma di denaro avessero guadagnato poteva essere assorbita dal fisco. Dovevano assolutamente investire 2 milioni di sterline.

Fondarono così una società che doveva avere lo scopo di offrire “un’opportunità alla gente creativa ma senza le inibizioni imposte dagli uomini in giacca e cravatta“. Nessuno velletà di lucro, come più volte ebbe a sottolineare Lennon, ma solo l’intenzione di sviluppare libertà di espressione artistica all’interno di una struttura commerciale che non rivendesse i prodotti al triplo dei costi.

Una meravigliosa utopia figlia dei tempi (era il gennaio del 1968) che spinse i Beatles a creare un discreto numero di divisioni Apple (Electronics, Films, Music Publishing, Retail, Television, Wholesale, Records) e a fondare addirittura una boutique di vestiti “flower power“, musica world e libri al numero 94 di Baker Street, in una palazzina ridipinta in stile psichedelico per l’occasione

Proprio la vicenda della boutique riassume il pur ammirevole dilettantismo dei Four nelle vesti di artisti-imprenditori: il negozio chiuse nel giro di otto mesi, durante i quali il personale spese ingenti somme per ordinare caviale e champagne, portare via il mobilio e gli stessi vestiti, accumulare folli note spese e altre costose stravaganze. La mattina del 30 luglio 1968 il negozio regalò tutta la merce a disposizione a chiunque fosse entrato.

Le altre divisioni, fatta eccezione per quella discografica, produssero poco o nulla e furono chiuse nel giro di poco tempo. “Il risultato è che abbiamo speso enormi quantità di denaro”, commentò anni dopo Harrison, “alcune attività rendevano, ma assai poco se paragonate a quello che si spendeva. Questo è stato un problema per tutta la nostra vita: tutto ciò che aveva a che fare con i Beatles doveva essere fatto in comune. Mi ci è voluto un po’ per farmi coinvolgere nella Apple e, probabilmente, in quel momento, eravamo già falliti”. 

L’ULTIMO BAGLIORE DI LUCE. Nonostante tutto, la Apple Records ebbe il merito di scoprire e lanciare artisti come James Taylor e Mary Hopkin. George si prese cura di un album intitolato Radha Krishna Temple, suonato da musicisti della sede londinese del Tempio di Radha Krishna. Al contrario dei suoi vecchi amici, quella per l’India era molto più di una vacua fascinazione. Era il mondo nel quale il più tormentato tra i quattro musicisti più famosi del pianeta cercava di trovare una soluzione ai suoi innumerevoli dubbi: “Quando muori avrai bisogno di una guida spirituale e di una conoscenza interiore che vada oltre i confini del mondo fisico”. 

La sua seconda moglie, Olivia Trinidad Arias, ha raccontato che nel momento del trapasso, avvenuto il 29 novembre 2001, la stanza si illuminò intensamente. 

(fonte www.repubblica.it – link)

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— Onda Musicale

Tags: Eric Clapton/The Beatles/Ringo Starr/Wings/The Chemical Brothers/Tom Rowlands
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