Recensioni e Interviste

Intervista al musicista parmigiano Pagoda

Pagoda è la nuova pelle di Giacomo Asti, musicista parmigiano che debutta con il suo nuovo progetto con l’album “Amerigo Hotel”. Un cantautore con tanto da raccontare, non solo nei suoi testi. Lo abbiamo intervistato in esclusiva per Onda Musicale.

Dove finisce Giacomo Asti e dove inizia Pagoda

Non credo che esista la fine di uno e l’inizio dell’altro. Sono sempre io. Pagoda è semplicemente lo pseudonimo che mi sono dato per non usare il mio vero nome, che malgrado mi piaccia, non ho mai pensato fosse quello giusto per rappresentare quello che faccio. 

Cosa ti ha spinto a intraprendere un percorso in veste di cantautore?

La mia passione per la canzone. Da che ho memoria, è sempre stata la mia forma d’arte preferita. Già da bambino mi incuriosivano le cassette e i vinili di mio papà, così anziché studiare, i miei pomeriggi li passavo ad ascoltare i suoi dischi, cercando un brano che mi piacesse. Ancora oggi il mio rapporto con la canzone è lo stesso: sono costantemente alla ricerca di un pezzo che possa piacermi. Iniziare a scrivere è venuto di conseguenza, sentivo il bisogno di doverlo fare, non mi sono mai chiesto se mi sarebbe piaciuto farlo, ho semplicemente iniziato a farlo. Ho cominciato a 15 anni, quando mi sono fatto comprare la prima chitarra acustica dai miei genitori. Ma è stato chiaro fin da subito che non mi interessava diventare un grande musicista (avevo già tentato con il violino e non era andata bene). Ciò che desideravo era imparare i rudimenti che mi avrebbero consentito di scrivere una canzone. 

Hai scoperto cose di te che non conoscevi grazie a questa nuova avventura musicale?

Sono sempre stato incline alla pigrizia e all’indolenza, ma quando ho iniziato a lavorare a queste canzoni – ci racconta Pagoda – ho scoperto di avere energie e determinazione che non credevo di possedere. È stato sorprendente.

Se potessi appropriarti di tre canzoni che ti piacciono e rivendicarle come tue creazioni, quali sarebbero?

Adoro questo genere di domande, ma le canzoni che avrei voluto scrivere sono sono talmente tante che non so da dove cominciare! Vediamo, le prime tre che mi vengono in mente ora sono: “Alle prese con una verde milonga” di Paolo Conte, “You Said Something” di PJ Harvey e “Knowing Me, Knowing You” degli ABBA. Dico queste perché le ho ascoltate stamattina in macchina e ho pensato fossero grandiose. Ma se me lo chiedessi domani direi sicuramente tre canzoni diverse. Ripeto, sono davvero troppe quelle che avrei voluto scrivere! 

Il tuo nuovo album si chiama “Amerigo Hotel”. Che concetto si cela dietro al titolo? E dietro la bella grafica della copertina?

Amerigo Hotel” è stata la prima canzone a cui ho lavorato per questo disco e ho pensato subito che sarebbe stato un bel titolo per l’intero progetto. Questa sensazione si è confermata poi man mano che gli altri pezzi sono andati a completare il mosaico. Poi il tema degli alberghi è presente in almeno tre brani, quindi mi sembrava perfetto chiamarlo così. Per la copertina mi sono messo nelle mani dell’illustratrice che l’ha realizzata, Laura Guglielmo. Le ho dato giusto qualche reference e poche altre indicazioni, lei ha fatto tutto il resto. È stata bravissima e la copertina mi piace molto, tanto che mi sono pentito di averci scritto su il mio nome e il titolo.

Qual è la frase del tuo nuovo disco alla quale sei maggiormente legato (in questo momento)?

C’è un verso di “San Lorenzo” che dice “io ho paura di ogni mio desiderio”. Ero certo di aver rubato queste parole a Camus, ma non riesco più a trovarle da nessuna parte! Rubato o no, penso che quello sia il cuore del disco e dei personaggi che lo attraversano. È un concetto semplice ed estremamente profondo, che non puoi ignorare.

Come sarebbe il concerto ideale di Pagoda secondo te?

Non troppo lungo, tirato, divertente e pieno di bella gente ad ascoltare.

Quali artisti underground italiani apprezzi? C’è qualcuno che ti ha influenzato nella tua scrittura?

La verità è che non sono ferratissimo sull’underground, quindi non so se qualcuno mi abbia influenzato, può darsi, ma ho dei gusti abbastanza classici e credo che a ispirare questo disco siano stati soprattutto i miei artisti preferiti, che sono quasi tutti medio/grossi. Però ci sono artisti che apprezzo! Solo nella mia città ce ne sono due o tre davvero validi. Uno di questi è mio amico, Emanuele Nidi, che tra l’altro ha suonato l’organo e il piano in “Amerigo Hotel”. È un cantautore, andate a sentire il suo ultimo disco, ci sono delle belle canzoni, ma belle davvero. 

Hai pubblicato tre singoli prima dell’album. “Madeleine”, “In Un Modo o Nell’Altro” e “San Lorenzo”. Ci puoi dire qualcosa che nessuno sa di questi tre brani?

Dunque, vediamo… Allora, “Madeleine” all’inizio si chiamava “Lauriane”, “In un modo o nell’altro” non volevo metterla sul disco perché pensavo fosse troppo cupa rispetto alle altre e “San Lorenzo” inizialmente non aveva un ritornello! 


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Pic Credits: Maria Buttafoco

— Onda Musicale

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