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“Saint Dominic’s Preview” di Van Morrison: come avere cinquant’anni e non sentirli

Sono passati cinquanta anni dall’uscita di questo gioiello. Dopo i capolavori “Moondance”, “Astral Weeks” e “Tupelo Honey”, esce “Saint Dominic’s Preview”. Meno danzereccio, vero. Meno impegnato, forse. Più verace, sicuramente.
Una difficile eredità

Forse “Saint Dominic’s Preview” è il disco di Van Morrison più ambizioso e prodotto fino al momento della sua uscita, nel luglio del 1972. Presenta un impressionante assemblaggio di idee musicali che devono essere ascoltate più volte, per cogliere ogni possibile sfaccettatura. Il disco non ha l’accessibilità di “Tupelo Honey”, perché è melodicamente meno prevedibile, eppure risulta musicalmente molto più ricco e più avventuroso.

Delle sette tracce, due spiccano più delle altre. Soprattutto per la loro durata. Non che il fatto sia importante di per sé, ma perché Van Morrison, con i dischi precedenti, ci ha abituato ad un sound più mainstream, mentre “Listen to the Lion” e “Almost Independence Day” ci riportano alle sognanti atmosfere di “Astral Weeks”.

Le diversità sonore dell’album mostrano come, elegantemente, Morrison sia in grado di fondere i generi tra di loro, attraverso il sapiente uso della melodia che riflette, sempre e delicatamente, qualcosa di personale. “Saint Dominic’s Preview”, così come il disco precedente, segna uno spostamento verso un sound più vicino alle tradizioni celtiche. Un po’ come tornare a casa, essendo Van Morrison irlandese. Mossa, questa, che segnerà anche le produzioni future.

Questo sesto disco da solista è un po’ un’antologia dei lavori precedenti, che armonizza tutto ciò che è stato registrato in un’esperienza più grande della somma delle parti.

Le tracce

Il disco si apre con una canzone molto orecchiabile dedicata ad una leggenda, Jackie Wilson. Considerato uno dei più importanti performer di tutti i tempi, Wilson è stato leader dei The Dominoes, prima di intraprendere una carriera da solista niente male.

La canzone, intitolata “Jackie Wilson Said (I’m in Heaven When you Smile)”, è particolarmente ballabile e lascia il sorriso sulle labbra. Guidata da una sezione di fiati implacabilmente potente, è il brano più corto dell’album, ma non per questo il meno interessante.

Il secondo brano della track list di “Saint Dominic’s Preview” è “Gypsy”, ottimo esempio dell’abilità di Morrison di usare, senza soluzione di continuità, la vasta gamma di influenze da cui sta traendo ispirazione. Il brano attinge da un pozzo molto caro al cantante irlandese, quello del mondo gitano. In effetti la canzone evoca immagini legate alla cultura tzigana, con tempi musicali che passano da un metro all’altro, dando la sensazione di essere un brano proveniente dal vicino oriente.

I Will be There” è il tipo di canzone che avrebbe scritto qualcuno come Ray Charles, qualche anno prima. Non regge il confronto con le altre (tano meno con la successiva nell’LP), ma ci mostra un Van Morrison che attinge alle sue radici. È la canzone scritta dall’appassionato di R&B che vuole emulare i suoi artisti preferiti. La parte migliore è data dal testo e dalle piccolezze che rendono vivo quello che Morrison scrive:

Going to grab my razor and my suitcase and my toothbrush/And my overcoat and my underwear”

(Andiamo a prendere il mio rasoio e la mia valigia e il mio spazzolino da denti/E il mio cappotto e la mia biancheria)

Il brano centrale è “Listen to the Lion”, la prima vera perla. Di fatto è una sorta di mantra, una meditazione estesa e lunghissima di ben 11 minuti. Un’esortazione a trovare il “leone dentro di te”. Il canto si fa via via più ipnotico. Durante la canzone, Morrison inizia a perdere la sua capacità di essere intelligibile e le parole diventano come dei ringhi che nascono con passione viscerale. Un vero capolavoro.

La title track si accosta a Dylan e alla sua capacità poetica. Il testo è arcano e unisce immagini di viaggi mitici con l’alienazione sociale, prendendo a braccetto James Joyce e la drammatica situazione in Irlanda del Nord.

Il sesto pezzo di “Saint Dominic’s Preview” è “Redwood Tree” che richiama molti temi tipici del canone di Van Morrison. I cori, maestosi ed epici, rimandano al gospel, ad una preghiera per Madre Terra. Per Van Morrison, la sua infanzia è sempre stata fonte di grande ispirazione, e questa canzone vede un oratore introspettivo ripercorrere i passi della sua giovinezza.

Il brano conclusivo è “Almost Independence Day”. Così come “Listen ti the Lion”, anche il brano di chiusura ha una durata considerevole. Il flusso di coscienza è di nuovo protagonista e Van Morrison cerca di nuovo di raggiungere la verità attraverso i suoi vocalizzi, che, nuovamente, danno l’idea di un mantra. Ripetizioni su ripetizioni e un’atmosfera densa, data anche dall’utilizzo del moog, danno al brano un potere spirituale. Verso la fine è come se Morrison si accorgesse di quanto sia piccolo nei confronti dell’universo, e semplicemente scompare, riducendo la sua voce (e quella dei suoi musicisti) ad un sussurro sommesso.

Un disco meraviglioso, dal corpo unico e unito: una storia continua che impiega 41 minuti per raggiungere la sua gioiosa conclusione.

— Onda Musicale

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