Abbiamo incontrato i Ghost, la rock band italiana originaria di Roma fondata dai fratelli Alex ed Enrico Magistri. A parlarci è stato Alex, frontman e portavoce del gruppo. A quindici anni dal loro primo album, eccovi le ultime novità (e qualche aneddoto) – la nostra intervista.
Alex, a Roma e dintorni vi conoscono un po’ tutti
È vero, siamo molto popolari nei circuiti cittadini ed anche in tutto il Lazio.
Che ne dici di fare un riepilogo del vostro percorso prima di parlare del presente?
Certo, soprattutto perché conosciamo Onda Musicale e sappiamo che ha molti lettori sparsi su tutto il territorio italiano… quindi la tua richiesta è benaccetta!
Allora… intorno al 2001 vi divertite suonando in piazze e locali di Roma, giusto?
Esatto. Iniziamo a fare sul serio nel 2006, dopo alcuni piccoli tour promozionali e i primi veri apprezzamenti!
Poi pubblicate due singoli: Aveva perso la testa e Farfallina…
Sì. Era nel 2007, veniamo premiati come “Rivelazione pop rock” al Meeting delle Etichette Indipendenti di Faenza.
Ed arriva il primo album…
Vero, pubblichiamo Ghost, il nostro album di debutto. Con il singolo Angie raggiungiamo la sedicesima posizione dei singoli più venduti in Italia, rimanendo in classifica per tredici settimane consecutive.
Tra il 2010 e il 2011 arrivano ulteriori conferme, è così?
Sì, pubblichiamo La vita è uno specchio, che raggiunge la quinta posizione dei singoli più venduti in Italia, rimanendo in top-ten per undici settimane. Entriamo in nomination nella categoria Best New Act degli MTV TRL Awards 2011. Il 22 luglio vinciamo la menzione speciale al Premio Lunezia.
Di cosa si tratta?
Il Premio Lunezia è un riconoscimento che intende premiare e valorizzare la qualità musicale-letteraria delle nuove canzoni italiane. Ricevere un riconoscimento del genere è stato molto importante per noi!
Il 25 maggio 2012 è una data importante per i Ghost. Perché?
Perché quella sera presentammo dal vivo il primo CD Voci di periferia prodotto da Roma Capitale, all’interno dell’Auditorium Parco della Musica. Una grande serata per noi, insieme a Giovanni Baglioni e i Velvet.
Mentre nel 2016?
Esce Hai una vita ancora, eseguito insieme ad Ornella Vanoni. Uno dei momenti più importanti della nostra carriera artistica.
Ti si sono illuminati gli occhi Alex! Come mai?
Dopo l’incontro con Ornella Vanoni ci sentiamo arricchiti sia dal punto di vista artistico che umano. Pubblichiamo Il senso della vita, classificandoci al secondo posto nella categoria “Miglior album di artista italiano” ai Rockol Music Awards 2016. Nel disco suona un altro monumento della musica italiana Enrico Ruggeri. Dopo Ornella Vanoni, ecco Enrico Ruggeri. C’è da farsi girare la testa anche perché la canzone entra in rotazione radiofonica verso la fine dell’anno.
Come avete vissuto la Pandemia?
Inutile far finta di nulla. Ci è mancato praticamente tutto. Come a tanti, come a tutti. Abbiamo scritto Ri-Evoluzione pensando ad un inno alla speranza e alla fiducia, un invito a non smettere mai di sognare. A metà 2021 pubblichiamo un altro singolo, Il mio nome è la dignità.
Ed arriviamo a questo pomeriggio. A cosa state lavorando?
Siamo impegnati nella promozione del nuovo singolo, Sei.
Sai che dopo solo tre ascolti già mi è entrato in testa?
Ti ringrazio, abbiamo cercato di curarlo al meglio in ogni suo aspetto, dall’arrangiamento, al testo, al sound, al videoclip.
Il fatto che tu ed Enrico siate polistrumentisti deve avervi facilitato il compito. Come si diventa polistrumentisti?
Dall’amore per la musica che ci ha inculcato nostro padre. Aveva un piccolo gruppo, una cosa piccola, niente di eccezionale. Avevamo casa piena di strumenti ma di bassa qualità, soprattutto chitarre e tastiere. Per noi era solo un gioco tra fratelli ma fin da quei momenti, imparammo a cogliere la sensazione che regala la vibrazione di una corda, l’emozione legata ad un particolare suono, quello di ogni singolo strumento, che imparavamo a riconoscere separandolo da un altro. Poi, via via, i primi arrangiamenti con quel che trovavamo a casa fino ad arrivare ad un abbozzo di canzone intesa nella sua totalità. Sai, è abbastanza impossibile quantificare quante storie e quanta vita possa contenere una canzone in tre minuti e mezzo. Se ci pensi, è incredibile.
Cos’altro vi ha trasmesso la musica di vostro padre?
Il “concetto di band”. Siamo polistrumentisti che amano parlare la stessa lingua degli altri musicisti. Certo, ognuno ha i suoi compiti e i suoi ruoli. Io sono più estroverso, sono il vocalist e nasco come sassofonista, poi chitarra basso e batteria, mentre mio fratello Enrico, più riflessivo, si occupa di programmazione e di percussioni. I testi sono scritti a quattro mani, tutti. Ed entrambi amiamo curare al meglio ogni singolo effetto sonoro, e ci prepariamo a fondo per questo, al fine di poter dialogare con tutti gli altri artisti che suonano insieme a noi, oltre ai fonici e agli altri specialisti. Per ottenere “quel determinato effetto” bisogna sempre avere bene in testa ciò che si intende realizzare!
Che ricordi avete delle esperienze con i “grandi” della musica italiana? Mi riferisco ad Ornella Vanoni ed Enrico Ruggeri
Guarda, Ornella è la signora della canzone italiana. Uno se la immagina distaccata e distante e potrebbe crederla supponente. Invece ha dimostrato un senso di affabilità, di umiltà, di disponibilità… pensa, era il 14 di agosto… uno se la immagina in ferie in qualche parte splendida di mondo ed invece era lì con noi ad incidere Una vita ancora. Una donna elegantissima, una personalità brillante, la modernità fatta persona.
E con Enrico Ruggeri?
Il pensiero di poter eseguire un pezzo con un artista dello spessore di Ruggeri ci ha condizionato non poco. Ti racconto un altro aneddoto. Ci inviano i pezzi su cui lavorare di venerdì mattina. Quello che ci interessa, Il senso della vita, è stato scritto da Giuseppe Anastasi, che non è uno qualsiasi [Nel 2014, Anastasi ha vinto come autore il Festival di Sanremo con il brano Controvento, interpretato da Arisa – N.d.A] il pezzo è accompagnato da un arrangiamento assai incompleto, che lo faceva quasi apparire una sorta di stornello. Sì, a pensarci era proprio stornellato… e allora faccio a mio fratello “ma non possiamo far cantare Ruggeri su una base musicale del genere”. E così ci mettiamo a lavorare h24 fino al lunedì successivo. Quelle notti abbiamo anche scritto interamente il testo che avrebbe cantato Ruggeri. Facci caso, lui esegue la sua parte con un registro leggermente più alto al suo normale standard. Gli siamo andati incontro nello stile e lui ha fatto altrettanto con noi. Siamo orgogliosi del livello raggiunto da questa produzione e felici, perché è stata una grande collaborazione con uno che ha scritto pagine e pagine di musica, fin dai tempi dei primissimi Decibel.
Qual è stato l’artista, il gruppo, che vi ha maggiormente influenzato?
Non posso risponderti, faremmo grandi torti a troppa gente.
E se entrassi ora a casa tua, quale disco troverei nel tuo lettore CD?
Troveresti i Toto. Sì, anche loro ci hanno influenzato con la loro grande tecnica, che non era finalizzata allo sfoggio e allo svolazzo, ma era progettata per arrivare a tutti, indipendentemente dalla preparazione musicale di ciascuno. La grande tecnica deve essere finalizzata e vista come un dono riservato al pubblico, non un vanto da esibire ai soli esperti.
Se foste un piatto da mangiare, che cibo sareste?
Se fossimo un piatto [ride, N.d.A.], vorremmo essere il pollo con le patate arrosto. Un piatto dove ogni componente migliora l’altro, insaporendosi reciprocamente. Un pollo ruspante e sincero. Pollo e Patate si integrano vicendevolmente, sono complementari. Come Enrico e io!
Qual’ è stata la vostra ultima vacanza?
Adesso non vogliamo pensare alle vacanze perché abbiamo solo tanta voglia di suonare e rivedere i nostri fans. Però, ripensando a quel 14 agosto trascorso insieme ad Ornella Vanoni… quello sì che è stato un Ferragosto davvero indimenticabile!
Tournée in vista?
Certo, come ti dicevo prima, c’è tanta voglia di ripartire. In questi giorni intensissimi stiamo ancora promuovendo Sei.
A breve aggiorneremo il sito, a luglio e agosto saremo molto in giro. Vogliamo ritrovare il nostro pubblico e arrivare a nuovi fans che non ci conoscono ancora.
Siete molto popolari a Roma. Che rapporto avete con la città?
È la nostra città, da lì è partito tutto. Però, per una serie di fortunate coincidenze, l’ingresso nel mondo della musica professionistica l’abbiamo fatto a Milano. Al Massive Art Studios, quanto di meglio un musicista possa desiderare. Comprendemmo quanto fosse importante perfezionarsi, studiare, ascoltare e conoscere altri generi musicali, amare le diversità e dare sempre la massima attenzione a chi ci sta parlando. Sai, nel nostro piccolo, abbiamo guardato anche ai bambini, al mondo del sociale. In passato abbiamo avviato progetti, piccoli stage scolastici. Dotavamo i bambini di bidoni della spazzatura capovolti, da utilizzare come tamburi. Poi palline da tennis e legnetti. Tutto ciò per far lavorare insieme una classe scolastica, per fargli capire che attraverso il gioco si poteva afferrare e comprendere la musica. Non solo superficialmente, ma molto più in profondità. Con quella strumentazione rudimentale, dal costo inferiore ai 10 euro, abbiamo introdotto concetti fondamentali, i Quarti, gli Ottavi, i Sedicesimi.
Mi hai fatto pensare ai primissimi Beatles, quando John Lennon suonava la prima chitarrina facendosi accompagnare dall’asse del bucato con la corda e altri oggetti rimediati nel giardino di casa della zia Mimì…
Magari… sai, adesso che mi ci fai pensare, nel nostro primo album, Ghost, abbiamo anche inserito una cover di “Come together”. Forse perché nostro padre amava tanto i Beatles, poi le altre band in generale, fino ai complessi italiani di quegli anni, come la PFM. Nostra madre invece preferiva la musica italiana, le composizioni firmate Mogol/Battisti, e De Andre, e De Gregori.