Il Tour Music Fest nasce nel 2006 dall’intuito di un giovane talent scout che, dopo una lunga esperienza in materia di concorsi e contest su scala nazionale, da Roma ha lanciato un’idea originale nel panorama musicale.
I numeri hanno dato ragione a Gianluca Musso e oggi il TMF rappresenta un unicum sulla scena italiana. Lo abbiamo incontrato per qualche domanda.
15 anni di Tour Music Fest: quando hai iniziato il mondo della musica era molto diverso da quello di oggi. Ci puoi dire se secondo te è cambiato in meglio o in peggio, dal punto di vista sia dell’organizzatore che di un esordiente?
In questi 15 anni abbiamo visto evolversi la musica, le nuove generazioni, la tecnologia e il mondo in generale e di cambiamenti ce ne sono stati molti. Ricordo che quando abbiamo iniziato nel lontano 2007 spopolavano tra gli emergenti le rock band, il crossover, i cantanti con le canzoni di Mina, Giorgia e la mitologica Adagio di Lara Fabian, i cantautori si rifacevano ai vecchi miti del cantautorato italiano oppure cantavano in inglese, provando una “stupida vergogna” nel poetizzare in italiano. In audizione si portavano i Cd, ma c’era ancora qualcuno che usava le audiocassette, mentre trovare una base per cantare una cover era complicatissimo, mentre Van Basco’s e i suoni midi risolvevano qualsiasi cosa.
Oggi sono cambiati i riferimenti, gli artisti puntano a essere prima personaggi che esecutori di musica mentre il post sui social è diventata la vera urgenza di comunicare. Al contempo in questi ultimi anni abbiamo riscoperto la “possibilità” di scrivere un progetto in Italiano, la tecnologia permette agli artisti di essere più creativi, internet permette di avere più conoscenza musicale e maggiore confronto con il pubblico e maggiore interazione con altri musicisti. Era meglio ieri? Meglio oggi? Non lo so, però ricordo una trasmissione televisiva anni ‘80 in cui Battisti veniva criticato perché secondo il pubblico (di quella trasmissione) non era adatto come cantante rispetto ai miti del bel canto. Penso che sia tutto ciclico, e oggi è talmente tanto veloce il passaggio da un ciclo e l’altro da sentirci dentro una “lavatrice musicale”. Ma magari sono io che sto invecchiando 🙂
Al Tour Music Fest hai visto passare molti artisti esordienti che poi hanno sfondato, pensiamo già solo a Mamhood o Ermal Meta: da cosa riconosci un artista che ha quel “qualcosa in più”?
Dall’amore che ha per la musica, dall’urgenza che ha di comunicare e non di apparire, dalla voglia che ha d’imparare. Se manca uno di questi elementi la strada diventa durissima.
In tanti anni il Tour Music Fest è cresciuto fino a diventare un punto di riferimento per artisti e professionisti: è diventato esattamente quello che avevi immaginato 15 anni fa, quando hai iniziato con la prima edizione?
Direi che siamo andati ben oltre le mie aspettative iniziali. Quando abbiamo iniziato c’erano tanti concorsi di musica e noi venivamo dal nulla ma avevamo una grande punto a favore, ossia quello di pensare alla manifestazione non da produttori od organizzatori ma da artisti. Volevamo concretizzare l’idea di un contest non competitivo, ma che fosse un pretesto per creare un contesto di persone appassionate bisognose di confronto e collaborazioni, in cui ognuno poteva “vincere” qualcosa, o ancora meglio portare a casa un’esperienza di vita e professionale importante. Direi che oggi ci siamo riusciti alla grande, ma per il futuro abbiamo ancora tantissime sfide da superare.
Un punto fermo della vostra mission è la sensibilizzazione del pubblico: nei vostri intenti c’è una sorta di educazione musicale per gli ascoltatori, una guida per sdoganarsi dall’ascolto della musica proveniente solo dai media, governati dalla produzione commerciale. C’è un riferimento ai molti talent che affollano i palinsesti televisivi e poi le classifiche dei dischi?
Il nostro scopo è quello di valorizzare gli artisti, di aiutarli a crescere, a formarsi, a trovare la loro strada. Poi durante i nostri momenti di spettacolo, come ad esempio la finalissima del TMF, cerchiamo di creare una cornice importante per elevare il valore dell’artista sul palco e magari suscitare nel pubblico un pensiero: ”…non pensavo che un artista emergente potesse essere così bravo. Voglio ascoltare il suo disco”.