Di cosa parliamo quando parliamo di Com’è profondo il mare? Semplice, parliamo del primo album in cui Lucio Dalla fa tutto da solo, scrivendo finalmente i testi delle sue canzoni.
Com’è profondo il mare, dunque, si può considerare l’album più importante di Lucio Dalla, al di là delle preferenze personali. Il sodalizio con Roberto Roversi si è interrotto infatti col precedente Automobili; a farla breve, la rottura è causata da alcuni episodi di censura della RCA. I due rimangono in buoni rapporti, ma Roversi preferisce tornare a dedicarsi esclusivamente alla poesia.
Com’è profondo il mare è il settimo album di Lucio Dalla, ma solo da poco il cantautore ha raggiunto il successo meritato. In un periodo in cui la presenza scenica, leggi: l’aspetto fisico, è molto importante, Lucio fatica a imporsi. La sua immagine è l’antitesi del ragazzo beat, la sua noncuranza per look e modo di porsi congiura contro il suo successo. Lucio, poi, ha uno stile eclettico che non lo fa appartenere a una categoria particolare, e il suo modo di cantare è spesso frainteso.
Eppure, Dalla è una presenza della scena musicale da tantissimi anni; gli esordi come clarinettista jazz risalgono all’adolescenza, mentre la prima esperienza pop, coi Flippers, è datata 1962. Lo scopre Gino Paoli, colpito dal suo peculiare stile vocale e convinto che possa essere il primo cantante soul italiano. Per Lucio Dalla, però, il soul è solo un ingrediente di quel caleidoscopio che ha in mente.
Gli esordi da solista sono disastrosi.
Al Cantagiro del 1965, tra bei ragazzi inseguiti dalle folle, Lucio fa la figura del freak. Sul palco rimedia più che applausi, fischi e anche qualche pomodoro. Stando ai suoi racconti, una volta si becca anche una mela in pieno petto, riuscendo a continuare il live con grandi difficoltà. Nel 1966 il nostro riesce anche a impadronirsi del palco nazional popolare per antonomasia, quello di Sanremo.
Nella città dei fiori Lucio porta un pezzo beat, piuttosto scialbo, Paff… Bum. La sua partecipazione entra comunque nella leggenda soprattutto grazie all’abbinamento con l’artista straniero, nientemeno che i mitici Yardbirds! La band cerca di dare dignità al pezzo, forte di una line-up che vede Jeff Beck alla chitarra e Jimmy Page al basso.
Lo stesso anno Lucio pubblica anche 1999, bislacco esordio che mischia jazz, pop e qualche felice intuizione. Il riscontro è però scarsissimo e, nei quattro anni successivi, Dalla vive mille peripezie e avventure, sempre senza trovare il suo centro di gravità permanente. Si trova addirittura a fare da spalla al Piper a Jimi Hendrix.
La svolta arriva come autore, quando la sua Occhi di ragazza diventa dinamite commerciale nelle mani del concittadino Gianni Morandi. Siamo nel 1970 e Lucio Dalla, con Terra di Gaibola riesce finalmente a farsi notare. Il ’71 è l’anno della celebre 4/3/1943. Finalmente Dalla raggiunge successo e notorietà: Il Giorno aveva cinque teste è il primo capitolo della trilogia con Roversi. I tre album lo impongono definitivamente come autore dalla vena bizzarra e dal grande talento.
La separazione da Roversi lo lascia però confuso e profondamente deluso; è allora che Dalla decide di ritirarsi alle isole Tremiti, dove concepisce il suo esordio come autore a tutto tondo. E non ci poteva essere debutto più felice: Com’è profondo il mare entra da subito nel novero dei classici italiani.
Per l’album Lucio Dalla si circonda di ottimi musicisti, tra i quali l’onnipresente Ron, e sfodera un pugno di canzoni che entrano nella storia, a partire dalla titletrack.
“Siamo noi, siamo in tanti, ci nascondiamo di notte per paura degli automobilisti, dei linotipisti. Siamo i gatti neri, siamo pessimisti, siamo i cattivi pensieri, e non abbiamo da mangiare.”
“Com’è profondo il mare
Fin dall’attacco, Com’è profondo il mare presenta un autore dalla mano ferma e decisa. Sospese tra humor, surrealismo e denuncia social, le canzoni di Dalla convincono e mostrano di non dover dipendere da nessuno. Lucio dice che ha imparato tutto da Roversi, ma pare il tipico caso in cui l’allievo supera il maestro; musicalmente, il bolognese è unico, forse qualche debito è con De Gregori, con cui intreccerà di lì a poco una collaborazione di grande successo.
Com’è profondo il mare è un instant classic.
L’attacco acustico, il fischio che traccia la melodia, lo splendido testo punteggiato dalla ripetizione del titolo, tutto è perfetto. Sei minuti abbondanti di grande magia.
Si prosegue con Treno a Vela, pezzo che nella progressione armonica ricorda la celebre Everybody’s Talkin’ di Fred Neil, portata al successo da Harry Nilsson. Il testo, sotto una parvenza surreale, nasconde un’aspra denuncia sociale; l’arrangiamento offre squarci al limite del prog, con ampio uso dell’elettronica.
Una citazione per i Krisma: “Poi c’è gente che viene dal Veneto/per vedere il cantante Patrizio / e il suo porno comizio.”
La successiva Il cucciolo Alfredo è una bellissima ballata, dai toni alla De Gregori e dal testo abbastanza criptico. L’incedere è lento e malinconico, con qualche suggestione floydiana. La voce di Lucio Dalla è qui spettacolare, un’interpretazione dolente e partecipe che fa capire più delle parole stesse.
Nulla sappiamo di Alfredo, eppure ci pare quasi di essere in giro per la città con lui, alla vigilia di un Natale non proprio sereno. Sferzante la critica alla musica andina, allora di grande successo e mal sopportata un po’ da tutti. Sì, parliamo probabilmente degli Inti-Illimani.
Corso Buenos Aires ha un attacco quasi blues, coi vocalizzi scat di Dalla, ma poi si trasforma. La voce di Lucio è espressiva al massimo grado, si arrota, si sfina, recita e urla: perfetta. Il testo è una specie di cronaca in diretta di un episodio di nera. Pare quasi di vedere la sarabanda dei personaggi ai margini tanto cari al cantautore, nella sua battaglia contro il moralismo.
E proprio un attacco frontale a un certo moralismo, anche di sinistra, è la successiva e celeberrima Disperato Erotico Stomp. L’arrangiamento, tra stomp jazzistico e reggae, si articola su due accordi. Il testo è vagamente autobiografico nel raccontare gli assurdi incontri di Lucio dalla in una Bologna notturna; il cantautore incrocia i suoi destini con una prostituta colta e di sinistra, con un turista berlinese che si è perso e alla fine si risolve a tornare a casa per dedicarsi all’onanismo. Poco da dire, un capolavoro senza tempo e senza vergogna.
Quale allegria è invece una canzone molto classica, incisa anche da Ornella Vanoni. Comunque, un passaggio di grande classe, in cui Dalla dimostra di saper fare benissimo anche restando nei canoni; la melodia del ritornello propone uno di quei ganci in cui il bolognese è sempre stato maestro. Un gioiello.
La chiusura, dopo un registro polemico e surreale, si tinge di malinconia. E non andare più via, bellissima ballata con dalla che si accompagna al piano, è emblematica. Pian piano si aggiungono gli strumenti, con gli archi e una splendida ed evocativa chitarra elettrica che riesce a non strafare.
Com’è profondo il mare, questo irripetibile capolavoro, si chiude con la languida Barcarola. Una chitarra elettrica trattata col phaser, a sembrare un mandolino, conferisce un’atmosfera liquida come il mare cantato. Una chiusura suggestiva che lascia con la voglia di ascoltare altro.
L’album ha grande successo ma sarà superato dai dischi successivi, a partire da quello eponimo di due anni dopo. Com’è profondo il mare rimane tuttavia una pietra miliare nella storia discografica di Lucio Dalla, sorta di irripetibile chiave di volta della sua storia.
E della storia della musica pop italiana.